Ma all'incontro valgono molto per additare, pei soggetti rappresentati, il ciclo mitologico, a cui appartiene questa particolare figura di Pallade. Il chiarissimo Panofka negli Annali dell' Inst. 1829 p. 292 ha pubblicato una stoviglia volcente (1), sulla quale una donna col mezzo corpo sporgente dalla terra presenta un nudo bambino a Minerva. La dea coll'egida e la vesta fregiata di stelle è sul punto di accogliere quel bambino. Ad eccezione di quella egida stellata la dea non ha nessun attributo caratteristico; la testa in vece del solito elmo è cinta alle tempia di una benda. Stà dirimpetto a lei uomo barbato di grave aspetto colla destra appoggiata sul fianco, non vestito, meno di piccola clamide, che cade giù dalle spalle. Da ambe le parti chiudono la composizione, quasi come compimento, alcuni arabeschi, sui quali hanno posati i piedi due fanciulli alati. Il Panofka ha spiegato questa rappresentanza per il nascimento d'Erittonio. Quell' uomo barbato peraltro non è in nessun modo caratterizzato come Vulcano. Perciò il ch. Braun col confronto d'altra stoviglia volcente (2), dove è rappresentato un bello e deciso Giove, ha riferita l'anzidetta figura a Giove, spiegando tutta la rappresentanza pel nascimento di Bacco (3). Sebbene non sanno niente di questo mito le tradizioni scritte della greca mitologia, il ch. Iahn, per provarlo (4), oltre un passo di Nonno XLVIII, 948, dove Pallade apparisce con Bacco in un rapporto rassomigliante a quello d'Erittonio, ha allegato un rilievo di piastra d'oro, passato dal gabinetto del fù Durand nel Museo di medaglie a Parigi, dove nel nascimento di esso Bacco la Minerva in luogo dell' Ilizia è oc (1) M. I. dell'Inst. I, 10. Mueller ed Oesterley, Denkm. d. a. K. I, 46. 271. (2) Lenormant et de Witte, Elite céram. I, 85. (3) Annal. 1841, p. 92. (4) O. Iahn, Archaeol. Aufsaetze, 1845 p. 60 sq. cupata a trarre in luce dalla coscia di Giove il nascente fanciullo dio del vino (1). Porge importante confronto un'altra stoviglia chiusina edita dal Braun negli Annali 1841, M. I. III, 30, nella quale per il deciso carattere di Vulcano si conosce evidentemente il nascimento d'Erittonio. Rassomiglia essa assai nella composizione alla pittura ora descritta, ma è abbondantissima di ornamenti. L'egida della Minerva invece di essere stellata è fregiata d'un ornamento a scacchi romboidali, l'elmo è coperto di squamme. Di tanto più importanza è un demone acquatico dietro la dea, il quale non è da chiamare Nettuno o Nereo, ma, come mostrerò più tardi, Tritone. Questo demone ha una bell'analogia cogli attributi della statua nel casino de' Rospigliosi e della testa di terra cotta nel casino di Pirro Ligorio. È da mentovare che in questo dipinto l'abito di Vulcano è tempestato di stelle e quello della Minerva di meandri. Ma che sieno meri ornamenti, il prova l'analogia di molti altri vasi e lo stile lussureggiante. Di questa foggia una terza stoviglia si trova nella raccolta reale di Monaco (2). Rappresenta essa la storia di Nausicaa, che con una compagna ha sospesa ad un albero biancheria. Subito Ulisse (Od. VI. 135-140.) la sorprende: ὡς Ὀδυσεὺς κούρησιν ἐυπλοκάμοισιν ἔμελλεν Tra Nausicaa ed Ulisse apparisce Minerva. Sull'egida, là dove suol essere altre volte il gorgoneion, stà chiara (1) De Witte, cat. Durand, n. 2165. 2166. Nouv. Annales I, p.369. (2) Bullet 1838 р. 12. mente la mezza luna e tutta l'egida dippoi è coperta di stelle. Ciò che in principio deve sorprendere. È chiaro però, che la Minerva quivi non è presa come la sapiente dea protettrice di Ulisse, ma in un rapporto molto più profondo e già dal poeta prescritto al fino ingegno del pittore. Nausicaa ordina ad Ulisse di aspettare vicino al κλυτὸν ἄλσος ἱρὸν ̓Αθηναίης. Quivi alla supplicazione di esso la dea si mostra propizia (Od. VII. 41.): ἡ ῥά οἱ ἀχλὺν θεσπεσίην κατέχευε, φίλα φρονέουσ ̓ ἐνὶ θυμῷ e lo conduce nella casa di Alcinoo. Quindi (ibd. 78.) se ne va via. Ὣς ἄρα φωνήσασ' ἀπέβη γλαυκῶπις ̓Αθήνη Evidentemente dunque la dea della nostra scena è la dea dell'Eretteo, l'Atene Polias, cioè la dea di universale significato naturale. Abbiamo una quarta classe di stoviglie colla Pallade stellata, nella quale apparisce la dea come la protettrice dei giuochi di astragali. Dico quelle frequenti rappresentanze, dove due eroi giuocano a' dadi a' piedi della dea. Giustamente il ch. Welcker (1) ha distinto questa classe dalla altra molto consimile, dove giuocano semplicemente due guerrieri o a' dadi (κυβεία) ο a tavole (πεττεία). Chè quivi il giuoco facendosi ai piedi di una dea, cotale luogo non è eletto senza intenzione. Sovente quella tutela di dea è accennata per il Palladio, che in mossa (1) Rhein. Museum 1835, p. 601. vivace manifestando la sua decisione è ben accomodato alla scena, siccome p. e. nella rappresentanza pubblicata dal Raoul-Rochette, Monumens inédits in Tav. 56, ma spiegata da lui falsamente per il ratto del Palladio. Spesse volte peraltro apparisce la dea stessa, come nel vaso arcaico comunicato dal Gerhard, Minervenidole Tav. V, 9. Anche in tali composizioni la Pallade è stellata. La ragione di ciò ricavasi dal Polluce ed Eustazio. Dice Polluce IX, 6: che quel sacro giuoco degli astragali si facea vicino al tempio dell' Atene Skiras. L'albero secco, che si trova sovente fra questi giocatori, accenna senza dubbio l'aridezza terribile al tempo delle Skiroforie (1). Ed in accordo con questa notizia Eustazio riferisce nella Odyss. I, 107 questo giuoco appunto ai giri astronomici delle stelle pel cielo. Laonde da tutte queste pitture ricavasi, che, siccome si poteva già conghietturare dal musaico vaticano e dalla terracotta nel casino di Pirro Ligorio, la stellata e tritonia Pallade stà in intimo connesso colle ctonie e siderie divinità. Imperciocchè indubitatamente un tale rapporto si ritrova nei miti della dea d'Eretteon, del nascimento di Bacco, oppure di Jacco e nel mistico giuoco degli astragali. È vero che quelli hanno un' idea assolutamente falsa della natura e dell'origine dei miti e specialmente della vaghezza della fantasia greca, i quali in guisa di anatomici disseccando quelli tenerissimi tessuti di profondissima poesia, la vogliono ridurre a mero simbolismo naturale. In quest'ultimi tempi abbiamo bastantemente avuto l'opportunità di convincerci, dove conduce il meteorologizzare costantemente nei miti eseguito. Pare proprio impossibile di restringere il ricco e variato essere (1) Gerhard, Etrusk. u. Campanische Vasenbilder p. 29. Tav. XIX. Panofka, Bullet. 1832. dell'Atene, di questa vera ensarcosi dell'ingegno greco stesso, ad alcune scarse ed astratte formole fisiche. Ma ciò dopo i profondi studj del Welcker e dell' O. Mueller sicuramente bisogna consentire, essere una gran parte dei miti greci nata da poetiche considerazioni della natura, che in freschezza di giovanile fantasia divinizzano i fenomeni e fra loro si connettono dippoi variamente non senza qualche intenzione profondissima. Ciò che emerge specialmente dalla base dell'antichissima greca religione, la quale sussistendo spesse volte nel culto in traccie poco intese, è divenuta la profonda madre di molte poetiche favelle posteriori. Così anche nei culti e miti di Pallade varj vestigj rammentano le profonde e fantastiche dee dei tempi anteriori. Questa dea, che è la costante e perpetua protettrice di vita intellettuale e propriamente la dea della sapienza, anch'essa, dico, benchè sempre in intimo connesso col suo padre eterno, col Giove ὑψίζυγος ἐν αἰθέρι ναίων, nondimeno nella profonda fantasia dei Greci ha molte relazioni col culto di Cerere, di Nettuno e di Bacco. Fra Giunone e Pallade sussiste qualche inimicizia (1) e Vulcano ora da essa vien ripudiato burlandosi di lui, ora gli serve da abile operajo. È in questo senso, che conviene alla dea l'epiteto ἄγλαυρος, γλαυκῶπις, Χρύση, Αἴθρα, Αὐγὴ e che le figlie di Cecrope ̓́Αγλαυρος (la chiaramente brillante), Ἕρση (la rugiada) e Πάνδροσος (quella che tutto ingemma di rugiada), le vergini Agraulidi sono le di lei sacerdotesse. Anzi s'invocava la dea stessa in Atene come ̓́Αγλαυρος (2) e Πάνδροσος e le erseforie sono uno dei più importanti atti del culto. Perciò in arcaiche pitture vascularie e, al dire di (1) Mueller Allgem. Encycl. v. s. Pallas Athene §. 62. 1 |