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praticando ancora i trentasei riformatori delle altre cose a benefizio comune.

Il Conte Guido per nutrire i soldati ordinò di porre una taglia ai cittadini, dove trovò tanta difficultà, che non ardì di far forza di ottenerla. E parendogli aver perduto lo stato, si ristrinse con i capi dei Ghibellini, e deliberarono torre per forza al popolo quello che per poca prudenza gli avevano conceduto. E quando parve loro essere ad ordine con le armi, sendo insieme i trentasei, fecero levare il romore onde che quelli spaventati si ritirarono alle loro case, e subito le bandiere delle Arti furono fuori con assai armati dietro. Ed intendendo come il Conte Guido era con la sua parte a S. Giovanni, fecero testa a S.a Trinita, e dierono l' ubbidienza a Messer Giovanni Soldanieri. Il

Conte dall'altra parte sentendo dove il popolo era, si mosse per ire a trovarlo. Nè il popolo ancora fuggì la zuffa, e fattosi incontro al nimico, dove è oggi la loggia dei Tornaquinci, si riscontrarono, dove fu ributtato il Conte con perdita e morte di più suoi; donde che sbigottito temeva che i nimici la notte lo assalissero, e trovandosi i suoi battuti ed inviliti, lo ammazzassero. E tanto fu in lui potente questa immaginazione, che, senza pensare ad altro rimedio, deliberò, piuttosto fuggendo che combattendo, salvarsi, e contro al consiglio de' Rettori e della Parte, con tutte le genti sue ne andò a Prato. Ma come prima per trovarsi in luogo sicuro gli fuggì la paura, riconobbe l' error suo; e volendolo ricorreggere la mattina, venuto il giorno, tornò con le sue genti a Firenze per rientrare in quella città per forza, che egli aveva per viltà abbandonata. Ma non gli successe il disegno, perchè quel popolo che con difficultà l'avrebbe potuto cacciare, facilmente lo potette tener fuora ; tanto che dolente e svergognato se ne andò in Casentino; ed i Ghibellini si ritirarono alle loro ville. Restato adunque il popolo vincitore, per conforto di coloro che amavano il bene della Repubblica, si deliberò di riunire la città, e richiamare tutti i cittadini così Ghibellini come Guelfi, i quali si trovassero fuori. Tornarono adunque i Guelfi sei anni dopo che gli erano stati cacciati, ed a' Ghibellini ancora fu perdonata la fresca ingiuria, e ripoAN. 1267. sti nella patria loro: nondimeno dal popolo e dai Guelfi erano forte odiati, perche questi non potevano cancellare della memoria l'esilio, e quello si ricordava troppo della tirannide loro, mentre che visse sotto il governo di quelli ; il che faceva che nè l' una nè l'altra parte posava l'animo. Mentre che in questa forma in Firenze si viveva, si sparse la fama che Corradino, nipote di Manfredi, con gente veniva della Magna all'acquisto di Napoli; donde che i Ghibellini si riempierono di speranza di potere ripigliare la loro autorità, ed i Guelfi pensavano come si avessero ad assicurare dei loro nimici, e chiesero al Re Carlo ajuti per potere, passando Corradino, difendersi. Venendo pertanto le genti di Carlo fecero diventare i Guelfi insolenti, ed in modo sbigottirono i Ghibellini, che due giorni avanti allo arrivar loro, senza essere cacciati, si fuggirono.

Partiti i Ghibellini riordinarono i Fiorentini lo stato della città, ed elessero dodici per capi i quali sedessero in Magistrato due mesi, i quali non chiamarono Anziani, ma Buoni uomini: appresso di

questo un consiglio di ottanta cittadini, il quale chiamavano la Credenza; dopo questo erano i popolani trenta per Sesto, i quali con la Credenza, e i dodici Buoni uomini si chiamavano il Consiglio generale. Ordinarono ancora un altro consiglio di cento venti cittadini popolani e nobili, per il quale si dava perfezione a tutte le cose negli altri consigli deliberate, e con quello distribuivano gli uffici della Repubblica. Fermato questo governo, fortificarono ancora la parte Guelfa con magistrati ed altri ordini, acciocchè con maggiori forze si potessero dai Ghibellini difendere; i beni dei quali in tre parti divisero, delle quali l' una pubblicarono, l'altra al magistrato della parte, chiamato i Capitani, la terza ai Guelfi per ricompenso de' danni ricevuti, assegnarono. Il Papa ancora, per mantere la Toscana Guelfa, fece il Re Carlo Vicario Imperiale di Toscana. Mantenendo adunque i Fiorentini, per virtù di questo nuovo governo, dentro con le leggi, e fuori con le armi, la riputazione loro, morì il Pontefice, e dopo una lunga disputa, passati due anni, fu eletto Papa Gregorio X, il quale per essere stato lungo tempo in Soria, ed esservi ancora nel tempo della sua elezione, e discosto dagli umori delle parti, non istimava quelle nel modo, che dai suoi antecessori erano state stimate. E perciò sendo venuto in Firenze per andare in Francia, stimò che fusse officio di un ottimo pastore riunire la città, e operò tanto che i Fiorentini furono contenti ricevere i Sindachi dei Ghibellini in Firenze per praticare il modo del ritorno loro. E benchè l'accordo si concluAN. 1273. desse, furono in modo i Ghibellini spaventati, che non vollero tornare. Di che il Papa dette la colpa alla città; e sdegnato scomunicò quella, nella qual contumacia stette quanto visse il Pontefice, ma dopo la sua morte fu da Papa Innocenzio V, ribenedetta. Era venuto il Pontificato in Niccolò III, nato di casa Orsina; e perchè i Pontefici temevano sempre colui, la cui potenza era diventata grande in Italia, ancora che la fusse con i favori della Chiesa cresciuta, e perch' ei cercavano di abbassarla, ne nascevano gli spessi tumulti e le variazioni che in quella seguivano, perchè la paura di un potente faceva crescere un debole, e cresciuto che egli era, temere, e temuto, cercare di abbassarlo. Questo fece trarre il regno di mano a Manfredi, e concederlo a Carlo; questo fece dipoi aver paura di lui, e cercare la rovina sua. Niccolò III pertanto mosso da queste cagioni operò tanto, che a Carlo per mezzo dell' Imperatore fu tolto il governo di Toscana, ed in quella AN. 1279. provincia mandò, sotto nome dell'imperio, Messer Latino suo Legato.

AN. 1275.

spesse

Era Firenze allora in assai mala condizione, perchè la nobiltà Guelfa era diventata insolente, e non temeva i Magistrati, in modo che ciascun dì facevano assai omicidj ed altre violenze, senza esser puniti quelli che le commettevano, sendo da questo e quell'altro nobile favoriti. Pensarono pertanto i capi del popolo, per frenare questa insolenza, ch'e' fusse bene rimettere i fuorusciti ; il che dette occasione al Legato di riunire la città, ei Ghibellini tornarono, e in luogo de' dodici governatori ne facero quattordici, di ogni AN. 1280. parte sette, che governassero un an

no, e avessero ad essere eletti dal Papa. Stette Firenze in questo governo due anni, infino che venne al Pontificato Papa Martino, di nazione Francese, il quale restitui al Re Carlo tutta quella autorità, che da Niccolo gli era stata tolta. Talche subito risuscitarono in Toscana le parti, perchè i Fiorentini presero le armi contro al governatore dell' Imperatore, e per privare del governo i Ghibellini, e tenere i potenti in freno, ordinarono nuova forma di reggimento. Era l'anno mille dugento ottantadue, e i corpi delle Arti, poichè fu dato loro i Magistrati e le insegne, erano assai riputati; donde che quelli per la loro autorità ordinarono, che in luogo dei quattordici si creassero tre cittadini, che si chiamassero Priori, c stessero due mesi al governo della repubblica, e potessero essere popolani e grandi, purchè fussero mercatanti o facessero arti. Ridussonsi dopo il primo magistrato a sei, acciocchè di qualunque Sesto ne fusse uno, il qual numero si mantenne infino al mille trecento quarantadue che ridussero la città a quartieri, e i Priori ad otto, non ostante che in quel mezzo di tempo alcuna volta per qualche accidente ne facessero dodici. Questo AN. 1282. magistrato fu cagione, come con il tempo si vide, della rovina de' nobili, perchè ne furono dal popolo per varj accidenti esclusi, e dipoi senza alcuno rispetto battuti. A che i nobili nel principio acconsentirono per non essere uniti, perche desiderando troppo torre lo stato l'uno all'altro, tutti lo perderono. Consegnarono a questo magistrato un palagio, dove continuamente dimorasse, sendo prima consuetudine che i magistrati e i consigli per le Chiese convenissero; e quello ancora con sergenti ed altri ministri necessarj onorarono. E benchè nel principio gli chiamassero solamente Priori, nondimeno dipoi per maggiore magnificenza il nome di Signori gli aggiunsero. Stettero i Fiorentini dentro alcun tempo queti, nel quale fecero la guerra con gli Aretini, per aver quelli cacciati i Guelfi, ed in Campaldino felicemente gli vinsero. E crescendo la città di uomini e di ricchezze, parve ancora di accrescerla di mura, e le allargarono il suo cerchio in quel modo che al presente si vede, con ciò sia che AN. 1289. il suo diametro fusse prima solamente quello spazio, che contiene dal ponte vecchio in fino a S. Lorenzo.

Le guerre di fuori, e la pace di dentro avevano come spente in Firenze le parti Ghibelline e Guelfe: restavano solamente accesi quelli umori, i quali naturalmente sogliono essere in tutte le città intra i potenti e il popolo ; perchè volendo il polo vivere secondo le leggi, ei potenti comandare a quelle, non è possibile capino insieme. AN. 1293. Questo umore mentre che i Ghibellini

po..

fecero loro paura non si scoperse; ma come prima quelli furono domi, dimostrò la potenza sua, e ciascun giorno qualche popolare era ingiuriato, e le leggi e i magistrati non bastavano a vendicarlo, perchè ogni nobile con i parenti e con gli amici dalle forze dei Priori e del Capitano si difendeva. I principi pertanto delle Arti, desiderosi di rimediare a questo inconveniente, provvidero che qualunque Signoria nel principio dell'ufficio suo dovesse creare un Gonfaloniere di Giustizia, uomo popolano, al quale dettero scritti sotto

venti bandiere mille uomini, il quale con il suo gonfalone, e con gli armati suoi fusse presto a favorire la giustizia, qualunque volta da loro o dal Capitano fusse chiamato. Il primo eletto fu Ubaldo Ruffoli. Costui trasse fuori il gonfalone, e disfece le case de' Galletti, per avere uno di quella famiglia morto un popolano in Francia. Fu facile alle Arti fare quest'ordine per le gravi inimicizie, che intra i nobili vegghiavano, i quali non prima pensarono al provvedimento fatto contro di loro, che videro l'acerbità di quella esecuzione. Il che dette loro da prima assai terrore, nondimeno poco dipoi si tornarono nella loro insolenza; perchè sendone sempre alcuno di loro de'Signori, avevano comodità d'impedire il Gonfaloniere che non potesse fare l'ufficio suo. Oltra di questo, avendo l'accusatore bisogno di testimone quando riceveva alcuna offesa, non si trovava alcuno, che contro ai nobili volesse testimoniare. Talche in breve tempo si ritornò Firenze nei medesimi disordini, ed il popolo riceveva dai grandi le medesime ingiurie, perchè i giudicj erano lenti, e le sentenze mancavano delle esecuzioni loro. E non sapendo i popolani che partiti si prendere, Giano della Bella, di stirpe nobilissimo, ma della libertà della città amatore, dette animo ai capi delle Arti a riformare la città, e per suo consiglio si ordinò che il Gonfaloniere si risedesse con i Priori, ed avesse quattromila uomini a sua ubbidienza. Privaronsi ancora tutti i nobili di poter sedere dei Signori, e obbligaronsi i consorti del reo alla medesima pena che quello; fecesi che la pubblica fama bastasse a giudicare. Per queste leggi le quali si chiamarono gli ordinamenti della giustizia, acquistò il popolo assai riputazione, e Giano della Bella assai odio, perchè era in malissimo concetto de' potenti, come di loro potenza distruttore; e i popolani ricchi gli avevano invidia perchè pareva loro che la sua autorità fusse troppa; il che come prima lo permise, l'occasione si dimostro. Fece adunque la sorte che fu morto un popolano in una zuffa, dove più nobili intervennero, intra i quali fu Messer Corso Donati, al quale come più audace che gli altri, fu attribuita la colpa. E perciò fu dal Capitano del popolo preso, e comunque la cosa s'andasse, o che Messer Corso non avesse errato, o che il Capitano temesse di condannarlo, e' fu assoluto. La quale assoluzione tanto al popolo dispiacque, che prese le armi, e corse a casa Giano della Bella a pregarlo, dovesse essere operatoche si osservassero quelle leggi, delle quali egli era stato inventore. Giano che desiderava che Messer Corso fusse punito, non fece posare le armi, come molti giudicavano che dovesse fare, ma gli conforto ad ire ai Signori a dolersi del caso, e pregargli che dovessero provvedervi. Il popolo pertanto pieno di sdegno, parendogli essere offeso dal Capitano, e da Giano della Bella abbandonato, non a' Signori, ma al palagio del Capitano itosene, quello prese e saccheggio. Il quale atto dispiacque a tutti i cittadini, e quelli che amavano la rovina di Giano, lo accusavano, attribuendo a lui tutta la colpa; di modo che trovandosi intra gli Signori, che dipoi seguirono, alcuno suo niinico, fu accusato al Capitano come sollevatore del popolo; e mentre che si praticava la causa sua, il popolo si armò, e corse alle sue case, offrendo

re,

gli contro ai Signori, e suoi nimici la difesa. Non volle Giano fare isperienza di questi popolari favori, nè commettere la vita sua ai magistrati, perchè temeva la malignità di questi, e la instabilità di quelli; tale che per torre occasione ai nimici d'ingiuriare lui, e agli amici di offendere la

pa

tria, deliberò di partirsi, e dar luogo AN. 1295. all'invidia, e liberare i cittadini dal timore che eglino avevano di lui, e lasciare quella città la quale con suo carico e pericolo aveva libera dalla servitù de' potenti, e si elesse volontario esilio.

Dopo la costui partita la nobiltà salse in speranza di ricuperare la sua dignità; e giudicando il male suo essere dalle sue divisioni nato, si unirono i nobili insieme, e mandarono due di loro alla Signoria, la quale giudicavano in loro favore, a pregarla fusse contenta temperare in qualche parte l'acerbità delle leggi contro di loro fatte. La qual domanda, come fu scoperta, commosse gli animi dei popolani, perchè dubitavano, che i Signori la concedessero loro; e così tra il desiderio dei nobili e il sospetto del popolo, si venne alle armi. I nobili feciono testa in tre luoghi, a S. Giovanni, in Mercato nuovo, ed alla piazza de’Mozzi, e sotto tre capi Messer Forese Adimari, Messer Vanni de' Mozzi, e Messer Geri Spini; i popolani in grandissimo numero sotto le loro insegne al palagio de' Signori convennero, i quali allora propinqui a San Procolo abitavano. E perchè il popolo aveva quella Signoria sospetta, deputò sei cittadini che con loro governassero. Mentre che l'una e l'altra parte si preparava alla zuffa, alcuni, così popolani come nobili, e con quelli certi Religiosi di buona fama, si messero di mezzo per pacificargli, ricordando ai nobili, che degli onori tolti, e delle leggi contro di loro fatte ne era stata cagione la loro superbia ed il loro cattivo governo, e che l'avere preso ora le armi, e rivolere con la forza quello che per la loro disunione e loro non buoni modi si erano lasciati torre, non era altro che volere rovinare la patria loro, e le loro condizioni raggravare; e si ricordassero, che il popolo di numero e di ricchezze, e d'odio era molto a loro superiore; e che quella nobiltà, mediante la quale e' pareva loro avanzare gli altri, non combatteva, e riusciva, come e' si veniva al ferro, un nome che contro a tanti a difendergli non bastava. Al popolo, dall'altra parte, ricordavano, come non era prudenza voler sempre l'ultima vittoria, e come e' non fu mai savio partito fare disperare gli uomini, perchè chi non spera il bene non teine il male; e che doveva pensare che la nobiltà era quella, la quale aveva nelle guerre quella città onorata, e pero non era bene nè giusta cosa con tanto odio perseguitarla; e come i nobili il non godere il loro supremo magistrato facilmente sopportavano, ma non potevano già sopportare, che fusse in potere di ciascuno, mediante gli ordini fatti, cacciargli della patria loro. E però era bene mitigare quelli, e per questo benefizio far posare le armi; nè volessero tentare la fortuna della zuffa confidandosi del numero, perchè molte volte si era veduto gli assai dai pochi essere stati superati. Erano nel popolo i pareri diversi; molti volevano che si venisse alla zuffa, come a cosa che un giorno di necessità a venire vi si avesse, e pero era

vano,

meglio farlo allora che aspettare che i nemici fussero più potenti; e se si credesse che rimanessero contenti mitigando le leggi, che sarebbe bene mitigarle, ma che la superbia loro era tanta, che non poseriano mai se nou forzati. A molti altri, più savi e di più quieto animo pareva, che il temperare le leggi non importasse molto, ed il venire alla zuffa importasse assai, di modo che la opinione loro prevalse, e provvidero che alle accuse de' nobili fussero necessari i testimoni.

Posate le armi, rimase l'una e l'altra parte piena di sospetto, e ciascuna con torri e con armi si fortificava; e il popolo riordinò il governo, ristringendo quello in minor numero, mosso dallo essere stati quei Signori favorevoli ai nobili, del quale rimasero principi Mancini, Magalotti, Altoviti, Peruzzi, e Cerretani. Fermato lo stato, per maggior magnificenza e più sicurtà de' Signori, nell'anno mille dugento novant'olto fondarono il palagio loro, e feciongli piazza delle case, che furono già degli Uberti. Cominciaronsi ancora in AN. 1298. quel medesimo tempo le pubbliche prigioni; i quali edifici in termine di pochi anni si finirono; nè mai fu la città nostra in maggiore e più felice stato, che in questi tempi, sendo di uomini, di ricchezze, e di riputazione ripiena; i cittadini atti alle armi a trentam.la, e quelli del suo contado a settantamila aggiugnevano: tutta la Toscana parte come soggetta, parte come amica le ubbidiva. E benchè intra i nobili e il popolo fusse alcuna indignazione e sospetto, nondimeno non facevano alcuno maligno effetto, ma unitamente ed

in pace ciascuno si viveva. La qual pace se dalle nuove inimicizie dentro non fusse stata turbata, di quelle di fuori non poteva dubitare, perchè era la città in termine, che la non temeva più l'imperio, ne i suoi fuorusciti, ed a tutti gli stati d'Italia avrebbe potuto con le sue forze rispondere. Quel male pertanto che dalle forze di fuori non gli poteva esser fatto, quelle di dentro gli feciono.

Erano in Firenze due famiglie, i Cerchi e i Donati, per ricchezze, nobiltà ed uomini potentissime. Intra loro per essere in Firenze e nel contado vicine, era stato qualche dispiacere, non AN. 1300. però sì grave che si fusse venuto alle

armi, e forse non avrebbero fatti grandi effetti, se i maligni umori non fussero da nuove cagioni stati accresciuti. Era intra le prime famiglie di Pistoja quella de' Cancellieri. Occorse che giuocando Lore di Messer Guglielmo, e Geri di Messer Bertacca, tutti di quella famiglia, e venendo a parole, fu Geri da Lore leggermente ferito. Il caso dispiacque a Messer Guglielmo, e pensando con la umanità di torre via lo scandalo, lo accrebbe, perchè comandò al figliuolo che andasse a casa il padre del ferito, e gli domandasse perdono. Ubbidi Lore al padre; nondimeno questo umano atto non addolci in alcuna parte l'acerbo animo di Messer Bertacca; e fatto prendere Lore, per maggior dispregio dai suoi servitori, sopra una mangiatoja gli fece tagliar la mano, dicendogli: torna a tuo padre, e digli che le ferite con il ferro, e non colle parole si medicano. La crudeltà di questo fatto dispiacque tanto a Messer Guglielmo, che fece pigliare le armi ai suoi per vendicarlo, e Messer Bertacca ancora si armo per difendersi; e non solamente quella famiglia, ma tutta la città di Pi

stoja si divise. E perchè i Cancellieri erano discesi da Messer Cancelliere, che aveva avute due mogli, delle quali l'una si chiamò Bianca, si nominò ancora l'una delle parti, per quelli che da lei erano discesi, Bianca; e l'altra per torre, nome contrario a quella, fu nominata Nera. Seguirono intra costoro in più tempo molte zuffe con assai morte di uomini, e rovina di case; e non potendo intra loro unirsi, stracchi nel male, e desiderosi o di porre fine alle discordie loro, o con la divisione d'altri accrescerle, ne vennero a Firenze, ed i Neri per avere famigliarità con i Donati furono da Messer Corso, capo di quella famiglia, favoriti; donde nacque che i Bianchi, per avere appoggio potente che contro ai Donati gli sostenesse, ricorsero a Messer Veri de' Cerchi, uomo per ciascuna qualità non punto a Messer Corso inferiore.

Questo umore da Pistoja venuto, l'antico odio intra i Cerchi e i Donati accrebbe ; ed era già tanto manifesto, che i Priori e gli altri buoni cittadini dubitavano ad ogni ora che non si venisse fra loro alle armi, e che da quelli di poi tutta la città si dividesse. E perciò ricorsero al Pontefice, pregando che a questi umori mossi quel rimedio, che per loro non vi potevano porre, con la sua autorità vi ponesse. Mando il Papa per Messer Veri, e lo gravò a far pace con i Donati; di che Messer Veri mostrò maravigliarsi, dicendo che non aveva alcuna inimicizia con quelli ; e perchè la pace presuppone la guerra, non sapeva, non essendo intra loro guerra, perchè fusse la pace necessaria. Tornato adunque Messer Veri da Roma senza altra conclusione, crebbero in modo gli umori, che ogni piccolo accidente, siccome avvenne, gli poteva far traboccare. Era del mese di Maggio, nel qual tempo e ne' giorni festivi pubblicamente per Firenze si festeggia. Alcuni giovani pertanto dei Donati insieme con i loro amici a cavallo a veder ballar donne presso a Santa Trinita si fermarono, dove sopraggiunsero alcuni de' Cerchi, ancora loro da molti nobili accompagnati; e non conoscendo i Donati che erano davanti, desiderosi ancora loro di vedere, spinsero i cavalli intra loro, e gli urtarono; donde i Donati tenendosi offesi strinsero le armi, a' quali i Cerchi gagliardamente risposero; e dopo molte ferite date da ciascuno e ricevute, si spartirono. Questo disordine fu di molto male principio, perchè tutta la città si divise, così quelli di popolo come quelli de' grandi, e le parti presero il nome dai Bianchi e Neri. Erano capi della parte Bianca i Cerchi, ed a loro si accostarono gli Adimari, gli Abati, parte dei Tosinghi, de'Bardi, dei Rossi, de' Frescobaldi, de' Nerli, e dei Mannelli, tutti i Mozzi, gli Scali, i Gherardini, i Cavalcanti, Malespini, Bostichi, Giandonati, Vecchietti, ed Arrigucci. A questi si aggiunsero molte famiglie popolane insieme con tutti i Ghibellini che erano in Firenze; talche per il gran numero che gli seguivano avevano quasi che tutto il governo della città. I Donati dall'altro canto erano capo della parte Nera, e con loro erano quelle parti, che delle sopra nomate famiglie ai Bianchi non si accostavano, e di più tutti i Pazzi, e i Bisdomini, Manieri, Bagnesi, Tornaquinci, Spini, Buondelmonti, Gianfigliazzi, Brunelleschi. Ne solamente questo umore contaminò la città, ma ancora tutto il contado divise. Donde che i Capitani

di Parte, e qualunque era de' Guelfi e della Repubblica amatore, temeva forte che questa nuova divisione non facesse con la rovina della città risuscitare le parti Ghibelline; e mandarono di nuovo a Papa Bonifacio perchè pensasse al rimedio, se non voleva che quella città, che era stata sempre scudo della Chiesa, o rovinasse, o diventasse Ghibellina. Mandò pertanto il Papa in Firenze Matteo d'Acquasparta, Cardinale Portuese, Legato; e perchè trovò difficoltà nella parte Bianca, la quale, per parergli essere più potente, temeva meno, si partì di Firenze sdegnato, e la interdisse, di modo che la rimase in maggior confusione, che la non era avanti la venuta sua.

Essendo pertanto tutti gli animi degli nomini sollevati, occorse che ad un mortorio trovandosi assai de' Cerchi e de' Donati, vennero insieme a parole, e da quelle alle armi, dalle quali allora non nacque altro che tumulti. E tornato ciascuno alle sue case, deliberarono i Cerchi di assaltare i Donati, e con gran numero di gente gli andarono a trovare, ma per la virtù di Messer Corso furono ributtati, e gran parte di loro feriti. Era la città tutta in arme; e i Signori e le leggi erano dalla furia de' potenti vinte ; i più savi e i migliori cittadini pieni di sospetto vivevano. I Donati e la parte loro temevano più, perchè potevano meno; donde che per provvedere alle cose loro, si ragunò Messer Corso con gli altri capi Neri, e An. 1301, i capitani di Parte, e convennero che si domandasse al Papa uno di sangue reale che venisse a riformare Firenze, pensando che per questo mezzo si potesse superare i Bianchi. Que sta ragunata e deliberazione fu ai Priori notificata, e dalla parte avversa come una congiura contro al viver libero aggravata. E trovandosi in arme ambedue le parti, i Signori, de' quali era in quel tempo Dante, per il consiglio e prudenza sua presero animo, e feciono armare il popolo, al quale molti del contado aggiunsero, e di poi forzarono i capi delle parti a posare le armi, e confinarono con Messer Corso Donati molti di parte Nera. E per mostrare di essere in questo giudizio neutrali, confinarono ancora alcuni di parte Bianca, i quali poco dipoi sotto colore di oneste cagioni

tornarono.

e

re,

Messer Corso e i suoi perchè giudicavano il Papa alla loro parte favorevole, ne andarono a Roma, quello che già avevano scritto al Papa alla presenza gli persuasero. Trovavasi in corte del Papa Carlo di Valois, fratello del Re di Francia, il quale era stato chiamato in Italia dal Re di Napoli per passare in Sicilia. Parve pertanto al Papa, sendone massimamente pregato dai Fiorentini fuoriusciti, infino che il tempo venisse comodo a navigadi mandarlo a Firenze. Venne adunque Carlo; e benchè i Bianchi, i quali reggevano, l'avessero a sospetto, nondimeno per essere capo dei Guelfi, e mandato dal Papa, non ardirono d' impedirgli la venuta. Ma per farselo amico gli dettero autorità, che potesse secondo l'arbitrio suo disporre della città. Carlo avuta questa autorità, fece armare tutti i suoi amici e partigiani; il che dette tanto sospetto al popolo che non volesse torgli la sua libertà, che ciascuno prese le armi e si stava alle case sue per esser presto, se Carlo facesse alcun moto. Erano i Cerchi e i capi di parte

Bianca, per essere stati qualche tempo capi della Repubblica e portatisi superbamente, venuti all' universale in odio; la qual cosa dette animo a Messer Corso ed agli altri fuoriusciti Neri di venire a Firenze, sapendo massime che Carlo e i capitani di Parte erano per favorirgli. E quando la città per dubitare di Carlo era in arme, Messer Corso con tutti i fuoriusciti, e molti altri che lo seguitavano, senza essere da alcuno impediti, entrarono in Firenze. E benchè Messer Veri de' Cerchi fusse ad andargli incontro confortato, non lo volse fare, dicendo che voleva che il popolo di Firenze, contro al quale veniva, lo gastigasse, Ma ne avvenne il contrario, perchè fu ricevuto, non gastigato da quello; ed a Messer Veri convenne, volendo salvarsi, fuggire. Perchè Messer Corso, sforzata che egli ebbe la porta a Pinti, fece testa a San Pietro Maggiore, luogo propinquo alle sue case, e ragunati assai amici e popolo, che desideroso di cose nuove vi concorse, trasse la prima cosa delle carceri qualunque o per pubblica o per privata cagione vi era ritenuto. Sforzò i Signori a tornarsi privati alle case loro, ed elesse i nuovi popolani, e di parte Nera, e per cinque giorni si attese a saccheggiare quelli, che erano i primi di parte Bianca. I Cerchi e gli altri principi della setta loro erano usciti della città, e ritirati ai loro luoghi forti, vedendosi Carlo contrario, e la maggior parte del popolo nimica. E dove prima e' non avevano mai voluto seguitare i consigli del Papa, furono forzati a ricorrere a quello per ajuto, mostrandogli come Carlo era venuto per disunire, non per unire Firenze. Onde che il Papa di nuovo vi mandò suo Legato Messer Matteo d' Acquasparta, il quale fece fare la pace tra i Cerchi e i Donati, e con matrimonj e nuove nozze la fortifico. E volendo che i Bianchi ancora degli officj participassero, i Neri che tenevano lo stato non vi consentirono; in modo che il Legato non si parti con più sua soddisfazione, nè meno irato che l'altra volta, e lasciò la città, come disubbidiente interdetta.

Rimase pertanto a Firenze l'una e l'altra parte, e ciascuna malcontenta ; i Neri per vedersi la parte nimica appresso temevano che la non ripigliasse con la loro rovina la perduta autorità, e i Bianchi si vedevano mancare dell' autorità e onore loro ; AN. 1302. ai quali sdegni e naturali sospetti si

aggiunsero nuove ingiurie. Andava Messer Niccolo de' Cerchi con più suoi amici alle possessioni sue, ed arrivato al ponte ad Affrico, fu da Simone di Messer Corso Donati assaltato. La zuffa fu grande, e da ogni parte ebbe lagrimoso fine; perchè Messer Niccolò fu morto, e Simone in modo ferito, che la seguente notte mori. Questo caso perturbò di nuovo tutta la città, e benchè la parte Nera vi avesse più colpa, nondimeno era da chi governava difesa. E non essendone ancora dato giudicio, si scoperse una congiura tenuta dai Bianchi con Messer Piero Ferrante, Barone di Carlo, con il quale praticavano di essere rimessi al governo. La qual cosa venne a lume per lettere scritte dai Cerchi a quello, nonostante che fusse opinione le lettere esser false, e dai Donati trovate per nascondere la infamia, la quale per la morte di Messer Niccolò si avevano acquistata. Furono pertanto confinati tutti i Cerchi e i loro se

guaci di parte Bianca, intra i quali fu Dante poe. ta, e i loro beni pubblicati, e le loro case disfatte. Sparsonsi costoro con molti Ghibellini che si erano con loro accostati per molti luoghi, cercando con nuovi travagli nuova fortuna, E Carlo avendo fatto quello perchè venne a Firenze, si parti e ritornò al Papa per seguire l'impresa sua di Sicilia, nella quale non fu più savio nè migliore che si fusse stato in Firenze; tanto che vituperato, con perdita di molti de'suoi, si tornò in Francia.

Vivevasi in Firenze dopo la partita di Carlo assai quietamente; solo Messer Corso era inquieto, perchè non gli pareva tenere nella città quel grado, quale credeva convenirsegli; anzi AN. 1304. sendo il governo popolare, vedeva la Repubblica esser amministrata da molti inferiori a lui. Mosso pertanto da queste passioni penso di adonestare con una onesta cagione la disonestà dell'animo suo; e calunniava molti cittadini, i quali avevano amministrato danari pubblici, come se gli avessero usati ne' privati comodi, e che egli era bene ritrovargli e punirli. Questa sua opinio. ne da molti che avevano il medesimo desiderio che quello era seguita. Al che si aggiugneva l'ignoranza di molti altri i quali credevano Messer Corso per amor della patria muoversi. Dall'altra parte i cittadini calunniati, avendo favore nel popolo, si difendevano. E tanto trascorse questo disparere, che dopo ai modi civili si venne alle armi. Dall'una parte era Messer Corso e Messer Lottieri Vescovo di Firenze con molti grandi ed alcuni popolani; dall'altra parte erano i Signori con la maggior parte del popolo, tanto che in più parti della città si combatteva. I Signori, veduto il pericolo grande nel quale erano, mandarono per aiuto ai Lucchesi, e subito fu in Firenze tutto il popolo di Lucca, per l'autorità del quale si composero per allora le cose, e si fermarono i tumulti, e rimase il popolo nello stato e libertà sua, senza altrimenti punire i motori dello scandalo.

Aveva il Papa inteso i tumulti di Firenze, e per fermargli vi mandò Messer Niccolò da Prato suo Legato. Costui sendo uomo per grado, dottrina, e costumi di grande riputazione acquisto, subito tanta fede, che si fece dare autorità di potere uno stato a suo modo fermare. E perchè era di nazione Ghibellino aveva in animo ripatriare gli usciti. Ma volse prima guadagnarsi il popolo, e per questo rinnovò le antiche compagnie del popolo, il quale ordine accrebbe assai la potenza di quello, e quella de' grandi abbassò. Parendo pertanto al Legato aversi obbligata la moltitudine, disegnò di far tornare i fuoriusciti se nel tentare varie vie, non solamente non gliene successe alcuna, ma venne in modo a sospetto a quelli che reggevano, che fu costretto a partirsi; e pieno di sdegno se ne tornò al Pontefice, e lasciò Firenze piena di confusione, e interdetta. E non solo quella città da un umore, ma da molti era perturbata, sendo in essa le inimicizie del popolo e de' grandi, dei Ghibellini e Guelfi, de' Bianchi e Neri. Era adunque tutta la città in arme, o piena di zuffe; perchè molti erano per la partita del Legato mal contenti, sendo desiderosi che i fuoriusciti tornassero. E i primi di quelli che muoverono lo scandalo, erano i Medici e i Giugni, i quali in favor de' ribelli si erano con il Legato scoperti. Com

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