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Romane. Privati adunque i Visigoti delle provvisioni loro, per essere meglio ordinati a vendicarsi della ingiuria, crearono Alarico loro Re, ed assalito l'Imperio, dopo molti accidenti guastarono l'Italia, e presero e saccheggiarono Roma. Dopo la quale vittoria mori Alarico, e successe a lui Ataulfo, il quale tolse per moglie Placidia sirocchia degl'Imperatori, e per quel parentado convenne con loro di andare a soccorrere la Gallia e la Spagna, le quali provincie erano state dai Vandali, Burgundi, Alani, e Franchi, mossi dalle sopraddette cagioni, assalite. Di che ne seguì che i Vandali, i quali avevano occupata quella parte di Spagna detta Betica, sendo combattuti forte dai Visigoti, e non avendo rimedio, furono da Bonifazio, il quale per l' Imperio governava l'Affrica, chiamati che venissero a occupare quella provincia, perchè sendosi ribellato, temeva che il suo errore non fosse dall'Imperatore conosciuto. Presero i Vandali per le ragioni dette volentieri quell'impresa, e sotto Genserico loro Re s'insignorirono d'Affrica. Era in questo mezzo successo all'Imperio Teodosio figliuolo d'Arcadio, il quale pensando poco alle cose di Occidente, fece che ste popolazioni pensarono di poter possedere le cose acquistate. E così i Vandali in Affrica, gli Alani e Visigoti in Ispagna signoreggiavano, e i Franchi ed i Burgundi non solamente presero la Gallia, ma quelle parti che da loro furono occupate, furono ancora dal nome loro nominate, donde l'una parte si chiamò Francia, l'altra Borgogna. I felici successi di costoro destarono nuove popolazioni alla destruzione dell'Imperio, ed altri popoli detti Unni occuparono Pannonia, provincia posta in sulla ripa di qua dal Danubio, la quale oggi avendo preso il nome da questi Unni, si chiama Ungheria. A questi disordini si aggiunse, che veden. dosi l'Imperatore assalire da tante parti, per aver meno nemici, cominciò ora con i Vandali, ora con i Franchi a fare accordi; le quali cose accrescevano la potenza e l'autorità dei barbari, e quella dell' Imperio diminuivano. Nè fu l'isola di Brettagna, la quale oggi si chiama Inghilterra, sicura da tanta rovina, perchè temendo i Brettoni di quei popoli che avevano occupata la Francia, e non vedendo come l'Imperatore potesse difenderli, chiamarono in loro ajuto gli Angli, popoli di Germania. Presero gli Angli sotto Votigerio loro Re la impresa, e prima gli difesero, dipoi gli cacciarono dall'isola, e vi rimasono loro ad abitare, e dal nome loro la chiamarono Anglia. Ma gli abitatori di quella, sendo spogliati della patria loro, diventarono per la necessità feroci, e pensarono, ancora che non avessero potuto difendere il paese loro, di potere occupare quello d'altri. Passarono pertanto colle famiglie loro il mare, ed occuparono quei luoghi che più propinqui alla marina trovarono, e dal nome loro chiamarono quel paese Brettagna. Gli Unni, i quali dicemmo disopra avere occupata Pannonia, accozzatisi con altri popoli detti Zepidi, Eruli, Turingi, ed Ostrogoti (che così si chiamano in quella lingua i Goti Orientali), si mossero per cercare nuovi paesi; e non potendo entrare in Francia, che era dalle forze barbare difesa, ne vennero in Italia sotto Attila loro Re, il quale poco davanti per essere solo nel regno avea morto Bleda suo fratello; per la

qual cosa diventato potentissimo, Andarico Re dei Žepidi, e Velamir Re degli Ostrogoti, rimasero come suoi soggetti. Venuto adunque Attila in Italia assedio Aquileja, dove stette senz'altro ostacolo due anni, e nella ossidione di essa guastò tutto il paese all' intorno, e disperse tutti gli abitatori di quello; il che, come nel suo luogo diremo, dette principio alla città di Vinegia. Dopo la presa e rovina di Aquileja, e di molte altre città, si volse verso Roma, dalla rovina della quale si astenne per i prieghi del Pontefice, la cui riverenza po tette tanto in Attila, che si uscì d'Italia, e ritirossi in Austria, dove si mori. Dopo la morte del quale, Velamir Re degli Ostrogoti, e gli altri capi delle altre nazioni presero le armi contro a Enrico e Uric suoi figliuoli, e l'uno ammazzaro. no, e l'altro costrinsero con gli Unni a ripassare il Danubio, e ritornarsi nella patria loro; e gli Ostrogoti ed i Zepidi si posero in Pannonia, e gli Eruli e i Turingi sopra la ripa di là dal Danubio si rimasero. Partito Attila d'Italia, Valentiniano Imperatore Occidentale pensò d'instaurare quella, e per essere più comodo a difenderla dai barbari abbandonò Roma, e pose la sua sedia in Ravenna, Queste avversità che aveva avute l'Imperio Occidentale, erano state cagione che l'Imperatore, il quale in Costantinopoli abitava, aveva concesso molte volte la possessione di quello ad altri, come cosa piena di pericoli e di spesa, e molte volte ancora senza sua permissione i Romani, vedendosi abbandonati, per difendersi creavano per loro medesimi un Imperatore, o alcuno per sua autorità si usurpava l' Imperio, come avvenne in questi tempi che fu occupato da Massimo Romano dopo la morte di Valentiniano, e costrinse Eudossa, stata moglie di quello, a prenderlo per marito ; la quale desiderosa di vendicare tale ingiuria, non potendo nata di sangue Imperiale sop portare le nozze di un privato cittadino, conforto segretamente Genserico, Re de' Vandali e signore di Affrica, a venire in Italia, mostrandogli la facilità e la utilità dell'acquisto. Il quale allettato dalla preda subito venne, e trovata abbandonata Roma, saccheggiò quella, dove stette quattordici giorni; prese ancora, e saccheggiò più terre in Italia, e, ripieno sè e l'esercito suo di preda se ne tornò in Affrica. I Romani ritornati in Roma, sendo morto Massimo, crearono Imperatore Avito Ro mano. Dipoi dopo molte cose seguite in Italia e fuori, e dopo la morte di più Imperatori pervenne l'Imperio di Costantinopoli a Zenone, e quello di Roma ad Oreste ed Augustolo suo figliuolo, i quali per inganno occuparono l'Imperio. E mentre che disegnavano tenerlo per forza, gli Eruli e i Tu ringi, i quali dissi essersi posti dopo la morte di Attila sopra la ripa di là dal Danubio, fatta lega insieme sotto Odoacre loro capitano, vennero in Italia; e nei luoghi lasciati vacui da quelli vi entrarono i Longobardi, popoli medesimamente settentrionali, condotti da Godogo loro Re, i quali furono, come nel suo luogo diremo, l'ultima peste d'Italia. Venuto adunque Odoacre in Italia, vinse ed ammazzò Oreste propinquo a Pavia, ed Augustolo si fuggì. Dopo la qual vittoria, perchè Roma variasse con la potenza il titolo, si fece Odoacre, lasciando il nome dell'Imperio, chiamare Re di Roma, e fu il primo che de' capi

non per alcuna estrinseca forza, ma solamente per civile discordia, dove si vede come le poche variazioni ogni repubblica ed ogni regno, ancora che potentissimo, rovinano, si potrà dipoi facilmente immaginare quanto in quei tempi patisse l'Italia e le altre provincie Romane, le quali non solamente variarono il governo e il principe, ma le leggi, i costumi, il modo del vivere, la religione, la lingua, l'abito, i nomi; le quali cose ciascuna per sè, non che tutte insieme, fariano, pensandole, non che vedendole e sopportandole, ogni fermo e costante animo spaventare. Da questo nacque la rovina, il nascimento, e l'augumento di molte città. Intra quelle che rovinarono fu Aquileja, Luni, Chiusi, Popolonia, Fiesole, e molte altre; intra quelle che di nuovo si edificarono, furono Vinegia, Siena, Ferrara, l'Aquila ed altre assai terre e castella, che per brevità si omettono ; quelle che di piccole divennero grandi, furono Firenze, Genova, Pisa, Milano, Napoli e Bologna; alle quali tutte si aggiugne la rovina e il rifacimento di Roma, e molte che variamente furono disfatte e rifatte. Intra queste rovine e questi nuovi popoli sursono nuove lingue, come apparisce nel parlare che in Francia e in Ispagna e in Italia si costuma ; il quale mescolato con la lingua patria di quei nuovi popoli e con l'antica Romana fa un nuovo ordine di parlare. Hanno, oltre di questo, variato il nome non solamente le provincie, ma i laghi, i fiumi, i mari, e gli uomini ; perchè la Francia, l'Italia, e la Spagna sono ripiene di nuovi nomi, ed al tutto dagli antichi alieni, come si vede, lasciandone indietro molti altri, che il Pò, Garda, l'Arcipelago sono per nomi disformi dagli antichi nominati; gli uomini ancora di Cesari e Pompei, Pieri, Giovanni e Mattei diventarono. Ma intra tante variazioni non fu di minor momento il variare della religione, perchè combattendo la consuetudine dell'antica fede coi miracoli della nuova, si generarono tumulti e discordie gravissime intra gli uomini. E se pure la Cristiana Religione fusse stata unita, ne sareb bero seguiti minori disordini; ma combattendo la Chiesa Greca, la Romana, e la Ravennate insieme, e di più le Sette eretiche con le cattoliche in molti modi contristavano il mondo. Di che ne è testimone l'Affrica, la quale sopportò molti più affanni mediante la Setta Ariana, creduta dai Vanche per alcuna loro avarizia o naturale crudeltà. Vivendo adunque gli uomini intra tante persecuzioni, portavano descritto negli occhi lo spavento dell'animo loro, perchè, oltre agli infiniti mali ch'e' sopportavano, mancava a buona parte di loro di poter rifuggire all' ajuto di Dio, nel quale tutti i miseri sogliono sperare; perchè sendo la maggior parte di loro incerti a quale Dio dovessero ricorrere, mancando di ogni aiuto e di ogni speranza, miseramente morivano.

de' popoli che scorrevano allora il mondo, si posasse ad abitare in Italia, perchè gli altri, o per timore di non la poter tenere, per essere pɔtuta dall' Imperatore Orientale facilmente soccorrere, o per altra occulta cagione, l'avevano spogliata, e dipoi cercò altri paesi per fermare la sedia loro. Era pertanto in questi tempi l' Imperio antico Romano ridotto sotto questi principi: Zenone regnando in Costantinopoli comandava a tutto l'Imperio Orientale, gli Ostrogoti Mesia Pannonia signoreggiavano; i Visigoti, Svevi ed Alani la Guascogna tenevano e la Spagna, i Vandali l'Affrica, i Franchi e Burgundi la Francia, gli Eruli e Turingi l'Italia. Era il regno degli Ostrogoti pervenuto a Teodorico nipote di Velamir, il quale tenendo amicizia con Zenone Imperatore Orientale gli scrisse, come ai suoi Ostrogoti pareva cosa ingiusta, sendo superiori di virtù a tutti gli altri popoli, essere inferiori d' Imperio, e come gli era impossibile potergli tenere ristretti dentro a' termini di Pannonia; talchè veggendo come gli era necessario lasciare loro pigliar l'armi, e ire a cercar nuove terre, voleva prima farlo intendere a lui, acciocchè potesse provvedervi, concedendo loro qualche paese, dove con sua buona grazia potessero più onestamente e con maggiore loro comodità vivere. Onde che Zenone, parte per paura, parte per il desiderio aveva di cacciare d'Italia Odoacre, concesse a Teodorico il venire contro a quello, e pigliare la possessione d'Italia. Il quale subito parti di Pannonia, dove lasciò i Zepidi, popoli suoi amici ; e venuto in Italia ammazzò Odoacre e il figliuolo, e con l'esempio di quello prese il titolo di Re d'Italia, e pose la sua sedia in Ravenna, mosso da quelle cagioni che fecero già a Valentiniano abitarvi. Fu Teodorico uomo nella guerra e nella pace eccellentissimo, donde nell'una fu sempre vincitore, nell'altra beneficò grandemente le città ed i popoli suoi. Divise costui gli Ostrogoti per le terre con i capi loro, acciocchè nella guerra gli comandassero, e nella pace gli correggessero: accrebbe Ravenna, istaurò Roma, ed, eccettochè la disciplina militare, rende ai Romani ogni altro onore; contenne dentro ai termini loro, e senza alcun tumulto di guerra, ma solo con la sua autorità, tutti i Re barbari occupatori dell' Imperio: edificò terre e fortezze intra la punta del mare Adriatico e le Alpi, per impedire più facilmente il passo ai nuovi barbari che volessero assalire l'Italia. E se tante virtù non fossero state bruttate nell' ultimo della sua vita da alcune crudeltà causate da varii sospetti del regno suo, come la morte di Simmaco e di Boezio, uomini santissimi, dimostra, sarebbe al tutto la sua memoria degna da ogni parte di qualunque onore ; perchè mediante la virtù e la bontà sua, non solamente Roma ed Italia, ma tutte le altre parti dell' Occidentale Imperio, libere dalle continue battiture, che per tanti anni da tante inondazioni di barbari avevano sopportate, si sollevarono, e in buon ordine ed assai felice stato si ridussero. E veramente se alcuni tempi furono mai miserabili in Italia ed in queste provincie corse da' barbari, furono quelli che da Arcadio ed Onorio infino a lui erano corsi. Perchè se si considererà di quanto danno sia cagione ad una repubblica o a un regno variare principe o governo,

dali,

Meritò pertanto Teodorico non mediocre lode, sendo stato il primo che facesse quietare tanti mali; talche per trentotto anni che regnò in Italia, la ridusse in tanta grandezza, che le antiche battiture più in lei non si riconoscevano. Ma venuto quello a morte, e rimaso nel regno Atalarico, nato di Amalasciunta sua figliuola, in poco tempo, non sendo ancora la fortuna sfogata, negli antichi suoi affanni si ritornò ; perchè Atalarico poco dipoi

che l'avolo mori, e rimaso il regno alla madre, fu tradita da Teodato, il quale era stato da lei chiamato perchè l'aiutasse a governare il regno. Costui avendola morta e fatto se Re, e per questo sendo diventato odioso agli Ostrogoti, dette animo a Giustiniano Imperatore di credere poterlo cacciare d'Italia, e deputò Bellisario per capitano di quella impresa, il quale avea già vinta l'Affrica, e cacciatine i Vandali, e ridottala sotto l'Imperio. Occupó adunque Bellisario la Sicilia, e di quivi passato in Italia occupò Napoli e Roma. I Goti, veduta questa rovina, ammazzarono Teodato loro Re, come cagione di quella, ed elessero in suo luogo Vitigete, il quale, dopo alcune zuffe, f ա da Bellisario assediato e preso in Ravenna; e non avendo ancora conseguita al tutto la vittoria fu Bellisario da Giustiniano rivocato, ed in suo luogo posto Giovanni e Vitale, disformi in tutto da quello di virtù e di costumi, dimodochè i Goti ripresero animo, e crearono loro Re Ildovaldo, che era governatore in Verona. Dopo costui, perche fu ammazzato, pervenne il regno a Totila, il quale ruppe le genti dell' Imperatore, e ricuperò la Toscana e Napoli, e ridusse i suoi capitani quasi che all'ultimo di tutti gli stati, che Bellisario avea ricuperati. Per la qual cosa parve a Giustiniano di rimandarlo in Italia; il quale ritornato con poche forze, perdè piuttosto la riputazione delle cose prima fatte da lui, che di nuovo ne racquistasse. Perche Totila, trovandosi Bellisario con le genti ad Ostia, sopra gli occhi suoi espugnò Roma, e veggendo non potere nè lasciare nè tenere quella, in maggior parte la disfece, e caccionne il popolo, ed i Senatori menò seco, e stimando poco Bellisario,

ne andò coll'esercito in Calabria a rincontrare le genti, che di Grecia in aiuto di Bellisario venivano. Veggendo pertanto Bellisario abbandonata Ro

ma,

si volse ad una impresa onorevole, perchè entrato nelle Romane rovine, con quanta più celerità potette rifece a quella città le mura, e vi richiamò dentro gli abitatori. Ma a questa sua lodevole impresa si oppose la fortuna, perchè Giustiniano fu in quel tempo assalito dai Parti, e richiamò Bellisario; e quello per ubbidire al suo signore abbandonò l' Italia, e rimase quella provincia a discrizione di Totila, il quale di nuovo prese Roma. Ma non fu con quella crudeltà trattata che prima, perchè pregato da San Benedetto, il quale in quei tempi aveva di santità grandissima opinione, si volse piuttosto a rifarla. Giustiniano intanto avea fatto accordo coi Parti; e pensando di mandare nuova gente al soccorso d'Italia, fu dagli Sclavi, nuovi popoli settentrionali ritenuto, i quali avevano passato il Danubio, ed assalito l'Illiria e la Tracia, in modo che Totila quasi tutta la occupò. Ma vinti che ebbe Giustiniano gli Sclavi, mandò in Italia con gli eserciti Narsete eunuco, uomo in guerra eccellentissimo, il quale arrivato in Italia ruppe ed ammazzò Totila, e le reliquie che dei Goti dopo quella rotta rimasero, si ridussero in Pavia, dove crearono Teja loro Re. Narsete dall'altra parte dopo la vittoria prese Roma, ed in ultimo si azzuffo con Teja presso a Nocera, e quello ammazzò e ruppe. Per la qual vittoria si spense al tutto il nome dei Goti in Italia, dove settanta anni da Teodorico loro Re a Teja avevano regnato,

Ma come prima fu libera l'Italia dai Goti, Giustiniano morì, e rimase suo successore Giustino suo figliuolo, il quale per il consiglio di Sofia sua moglie revocò Narsete d' Italia, e gli mandò Longino suo successore. Seguitò Longino l'ordine degli altri di abitare in Ravenna, ed oltre a questo dette all' Italia nuova forma; perchè non costitui governatori di provincie, come avevano fatto i Goti, ma fece in tutte le città e terre di qualche momento capi, i quali chiamò Duchi. Ne in tale distribuzione onorò più Roma che le altre terre, perchè tolto via i Consoli e il Senato, i quali nomi insino a quel tempo vi si erano mantenuti, la ridusse sotto un Duca, il quale ciascun anno da Ravenna vi si mandava, e chiamavasi il Ducato Romano, ed a quello che per l'Imperatore stava a Ravenna, e governava tutta Italia, pose nome Esarco. Questa divisione fece più facile la rovina d'Italia, e con più celerità dette occasione ai Longobardi di occuparla. Era Narsete sdegnato forte contro l'Imperatore, per essergli stato tolto il governo di quella provincia, che con la sua virtù e con il suo sangue aveva acquistata, perchè a Sofia non bastò ingiuriarlo rivocandolo, che ella vi aggiunse ancora parole piene di vituperio, dicendo che lo voleva far tornare a filare con gli altri eunuchi; tantochè Narsete, ripieno di sdegno, persuase ad Alboino Re de' Longobardi, che allora regnava in Pannonia, di venire a occupare l'Italia. Erano, come di sopra si mostrò, entrati i Longobardi in quelli luoghi presso al Danubio, che erano dagli Eruli e Turingi stati abbandonati, quando da Odoacre Re loro furono condotti in Italia; dove sendo stati alcun tempo, e pervenuto il regno loro ad Alboino, uomo efferato ed audace, passarono il Danubio, e si azzuffarono con Commundo Re de' Zepidi, che teneva la Pannonia, lo vinsero. E trovandosi nella preda Rosmunda figliuola di Commundo, la prese Alboino per moglie, e s' insignori di Pannonia, e mosso dalla sua efferata natura fece del teschio di Commundo una tazza, con la quale in memoria di quella vittoria bevea. Ma chiamato in Italia da Narsete, con il quale nella guerra de' Goti aveva tenuta amicizia, lasciò la Pannonia agli Unni, i quali dopo la morte di Attila dicemmo essersi nella loro patria ritornati, e ne venne in Italia, e trovando quella in tante parti divisa, occupò in un tratto Pavia, Milano, Verona, Vicenza, tutta la Toscana, e della Flamminia quasi la maggior parte, la quale oggi si chiama Romagna. Talche parendogli per tanti e si subiti acquisti avere già la vittoria d'Italia, celebrò in Verona un convito, e per il molto bere diventato allegro, sendo il teschio di Commundo pieno di vino, lo fece presentare a Rosmunda Regina, la quale all'incontro di lui mangiava, dicendo in voce alta in modo che quella potette udire, che voleva che in tanta allegrezza la bevesse con suo padre. La qual voce come una ferita fu nel petto di quella donna, e deliberata di vendicarsi, sapendo che Almachilde, nobile Lombardo, giovane e feroce, amava una sua ancilla, tratto con quella che celatamente desse opera che Almachilde in suo cambio dormisse con lei. Ed essendo Almachilde, secondo l'ordine di quella, venuto a trovarla in luogo oscuro, credendosi essere con l' ancilla, giacè con Rosmunda, la

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quale dopo il fatto se gli scoperse, e mostrogli come in suo arbitrio era o ammazzare Alboino, e godersi sempre lei ed il regno, o esser morto da quello come stupratore della sua moglie. Consenti Almachilde di ammazzare Alboino, ma da poi che eglino ebbero morto quello, veggendo come non riusciva loro di occupare il regno, anzi dubitando di non essere morti dai Longobardi per lo amore che ad Alboino portavano, con tutto il tesoro regio se ne fuggirono a Ravenna a Longino, il quale onorevolmente gli ricevette. Era morto in questi travagli Giustino Imperatore, ed in suo luogo rifatto Tiberio, il quale, occupato nelle guerre dei Parti, non poteva all'Italia sovvenire; ondechè a Longino parve il tempo comodo a poter diventatare, mediante Rosmunda ed il suo tesoro, Re de' Longobardi e di tutta Italia, e conferì con lei questo disegno, e le persuase ad ammazzare Almachilde, e pigliar lui per marito. Il che fu da quella accettato, ed ordinò una coppa di vino avvelenato, la quale di sua mano porse ad Almachilde che assetato usciva del bagno; il quale come l'ebbe bevuta mezza, sentendosi commovere gl'interiori, ed accorgendosi di quello che era, sforzò Rosmunda a bere il resto; e così in poche ore l'una e l'altro di loro morirono, e Longino si privò di speranza di diventare Re. I Longobardi intanto ragunatisi in Pavia, la quale avevano fatta sedia principale del loro regno, fecero Clefi loro Re, il quale riedificò Imola stata rovinata da Narsete, occupò Rimini, e infino a Roma quasi ogni luogo; ma nel corso delle sue vittorie morì. Questo Clefi fu in modo crudele, non solo contro agli esterni, ma ancora contro i suoi Longobardi, che quelli sbigottiti della potestà regia non vollero rifare più Re; ma feciono intra loro trenta Duchi, che governassero gli altri. Il qual consiglio fu cagione che i Longobardi non occupassero mai tutta Italia, e che il regno loro non passasse Benevento, e che Roma, Ravenna, Cremona, Mantova, Padova, Monselice, Parma, Bologna, Faenza, Forli, Cesena, parte si difendessero un tempo, parte non fossero mai da loro occupate. Perchè il non aver Re li fece meno pronti alla guerra; e poichè rifecero quello, diventarono per essere stati liberi meno ubbidienti, e più atti alle discordie intra loro; la qual cosa prima ritardò la loro vittoria, dipoi in ultimo gli cacciò d'Italia. Stando adunque i Longobardi in questi termini, i Romani e Longino ferono accordo con loro, che ciascuno posasse le armi, e godesse quello che possedeva.

In questi tempi cominciarono i Pontefici a venire in maggiore autorità che non erano stati per l'addietro, perchè i primi dopo S. Pietro per la santità della vita e per i miracoli erano dagli uomini riveriti, gli esempi de' quali ampliarono in modo la Religione Cristiana, che i principi furono necessitati, , per levar via tanta confusione che era nel mondo, ubbidire a quella. Sendo adunque l'Imperatore diventato Cristiano, e partitosi di Roma, e gitone in Costantinopoli, ne segui, come ne! principio dicemmo, che l' Imperio Romano rovinò più tosto, e la Chiesa Romana più presto crebbe. Nondimeno infino alla venuta dei Longobardi, sendo l'Italia sottoposta tutta agl' Imperatori o ai Re, non presero mai i Pontefici in quei tempi altra autorità, che quella che dava loro la

MACHIAVELLI

riverenza de' loro costumi e della loro dottrina. Nelle altre cose o agl' Imperatori o ai Re ubbidivano, e qualche volta da quelli furono morti, e come loro ministri nelle azioni loro operati. Ma quello che gli fece diventare di maggior momento nelle cose d'Italia, fu Teodorico Re de' Goti, quando pose la sua sedia in Ravenna, perchè rimasa Roma senza principe, i Romani avevano cagione per loro rifugio di prestare più obbedienza al Papa: nondimeno per questo la loro autorità non crebbe molto; solo ottenne di essere la Chiesa di Roma preposta a quella di Ravenna. Ma venuti i Longobardi, e ridotta Italia in più parti, dettero cagione al Papa di farsi più vivo; perchè sendo quasi che capo in Roma, l'Imperatore di Costan tinopoli e i Longobardi gli avevano rispetto, talmentechè i Romani, mediante il Papa, non come soggetti, ma come compagni, con i Longobardi e con Longino si collegarono. E così seguitando i Papi ora di essere amici dei Longobardi ora de' Greci, la loro dignità accrescevano. Ma seguita dipoi la rovina dell' Imperio Orientale, la quale segui in questi tempi sotto Eraclio Imperatore, perchè i popoli Sclavi, dei quali facemmo di so pra menzione, assaltarono di nuovo l'Illiria, e quella occupata chiamarono dal nome loro Sclavonia, e le altre parti di quello Imperio furono prima assaltate dai Persi, dipoi dai Saracini, i quali sotto Maumetto uscirono di Arabia, ed in ultimo dai Turchi, e toltogli la Soria, l'Affrica e l'Egitto, non restava al Papa, per l'impotenza di quello Imperio, più comodità di rifuggire a quello nelle sue oppressioni; e dall' altro canto crescendo le forze dei Longobardi, pensò che gli bisognava cercare nuovi favori, e ricorse in Francia a quei Re. Dimodochè tutte le guerre che a questi tempi furono da'barbari fatte in Italia, furono in maggior parte dai Pontefici causate, e tutti i barbari che quella inondarono, furono il più delle volte da quelli chiamati. Il qual modo di procedere dura ancora in questi nostri tempi, il che ha tenuto e tiene l'Italia disunita ed inferma. Pertanto nel descri vere le cose seguite da questi tempi ai nostri, non si dimostrerà più la rovina dell'Imperio che è tutto in terra, ma l'augumento de Pontefici, e di quelli altri principati che dipoi l'Italia infino alla venuta di CarloVIII governarono. E vedrassi come i Papi, prima colle censure, dipoi con quelle e con le armi insieme mescolate con le indulgenze, erano terribili e venerandi ; e come per avere usato male l'uno e l'altro, l'uno hanno al tutto perduto, dell' altro stanno a discrezione d'altri. Ma ritornando all'ordine nostro, dico come al Papato era pervenuto Gregorio III, e al regno de'Longobardi Aistolfo, il quale contra gli accordi fatti occupò Ravenna, e mosse guerra al Papa. Per la qual cosa Gregorio, per le cagioni soprascritte, non confidando più nell' Imperatore di Costantinopoli per esser debole, nè volendo credere alla fede dei Longobardi, che l'avevano molte volte rotta, ricorse in Francia a Pipino II, il quale, di Signore d' Austrasia in Brabante, era diventato Re di Francia, non tanto per la virtù sua, quanto per quella di Carlo Martello suo padre, e di Pipino suo avolo. Perchè Carlo Martello, sendo governatore di quel regno, dette quella memorabil rotta ai Saracini presso a Torsi in sul fiume di Loira, dove furono morti più di

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dugento mila di loro: donde Pipino suo figliuolo per la riputazione del padre e virtù sua diventò poi Re di quel regno. Al quale, Papa Gregorio, come è detto, mandò per ajuto contra i Longobardi, a cui Pipino promesse mandarlo, ma che desiderava prima vederlo, ed alla presenza onorarlo. Pertanto Gregorio ne andò in Francia, e passò per le terre dei Longobardi suoi nemici senza che lo impedissero; tanta era la riverenza che si aveva alla Religione. Andato adunque Gregorio in Francia, fu da quel Re onorato, e rimandato con i suoi eserciti in Italia, i quali assediarono i Longobardi in Pavia. Onde che Aistolfo costretto da necessità si accordò coi Francesi, e quelli fecero l'accordo per i prieghi del Papa, il quale non volse la morte del suo nemico, ma che si convertisse e vivesse; nel quale accordo Aistolfo promesse rendere alla Chiesa tutte le terre che le aveva occupate. Ma ritornate le genti di Pipino in Francia, Aistolfo non osservò l'accordo, ed il Papa ricorse di nuovo a Pipino, il qual di nuovo mandò in Italia, e vinse i Longobardi, e prese Ravenna; e contra la voglia dell'Imperatore Greco la dette al Papa con tutte quelle altre terre che erano sotto il suo Esarcato, e vi aggiunse il paese d'Urbino e la Marca. Ma Aistolfo nel consegnare queste terre morì, e Desiderio Lombardo, che era Duca di Toscana, prese le armi occupare il regno, e domandò ajuto al Papa, promettendogli l'amicizia sua, e quello gliene concesse, tantoche gli altri principi cederono. E Desiderio osservò nel principio la fede, e seguì di consegnare le terre al Pontefice, secondo le convenzioni fatte con Fipino; nè venne più Esarco da Costantinopoli in Ravenna, ma si governava secondo la voglia del Pontefice. Mori dipoi Pipino, e successe nel regno Carlo suo figliuolo, il quale fu quello che per la grandezza delle cose fatte da lui fu nominato Magno. Al Papato intanto era successo Teodoro primo. Costui venne in discordia con Desiderio, e fu assediato in Roma da lui, talchè il Papa ricorse per aiuto a Carlo, il quale superate le Alpi assedio Desiderio in Pavia, e prese lui e i figliuoli, e gli mandò prigioni in Francia; e ne andò a visitare il Papa a Roma, dove giudicò che il Papa Vicario di Dio non potesse essere dagli uomini giudicato; e il Papa e il popolo Romano lo fecero Imperatore. E così Roma incominciò ad avere l' Imperatore in Occidente; e dove il Papa soleva essere raffermo dagl' Imperatori, cominciò l'Imperatore nella elezione ad aver bisogno del Papa, e veniva l'Imperio a perdere i gradi suoi, e la Chiesa ad acquistarli, e per questi mezzi sempre sopra i principi temporali cresceva la sua autorità.

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Erano stati i Longobardi dugento trentadue anni in Italia, e di già non ritenevano di forestieri altro che il nome; e volendo Carlo riordinare l'Italia, il che fu al tempo di Papa Leone III, fu contento abitassero in quei luoghi dove si erano nutriti, e si chiamasse quella provincia dal nome loro Lombardia. E perchè quelli avessero il nome Romano in reverenza, volle che tutta quella parte d'Italia a loro propinqua, che era sottoposta all' Esarcato di Ravenna, si chiamasse Romagna. Ed oltre a questo creò Pipino suo figliuolo Re d'Italia, la giurisdizione del quale si distendeva

infino a Benevento, e tutto il resto possedeva l'Imperatore Greco, con il quale Carlo aveva fatto accordo. Pervenne in questi tempi al Pontificato Pascale I, e i parrocchiani delle Chiese di Roma, per essere più propinqui al Papa, e trovarsi alla elezione di quello per ornare la loro potestà con uno splendido titolo, si cominciarono a chiamare Cardinali, e si arrogarono tanta reputazione, massime poi ch' egli esclusero il popolo Romano dall' eleggere il Pontefice, che rade volte la elezione di quello usciva del numero loro; onde morto Pascale, fu creato Eugenio II, del titolo di Santa Sabina. E la Italia poichè ella fu in mano de' Francesi, mutò in parte forma e ordine, per aver preso il Papa nel temporale più autorità, ed avendo quelli condotto in essa il nome de' Conti e de' Marchesi, come prima da Longino Esarco di Ravenna vi erano stati posti i nomi de' Duchi. Pervenne dopo alcun Pontefice al Papato Osporco Romano, il quale per la bruttura del nome si fece chiamare Sergio, il che dette principio alla mutazione de'nomi, che fanno nella loro elezione i Pontefici.

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Era intanto morto Carlo Imperatore, al quale successe Lodovico suo figliuolo, dopo la morte del quale nacquero tra i suoi figliuoli tante differenze, che al tempo dei nipoti suoi fu tolto alla casa di Francia l'Imperio, e ridotto nella Magna, e chiamossi il primo Imperatore Tedesco Arnolfo. Ne solamente la famiglia de' Carli per le sue discordie perde l'imperio, ma ancora il regno d'Italia; perchè i Longobardi ripresero le forze, e offendevano il Papa e i Romani; tantochè il principe non vedendo a chi si rifuggire, creò necessità Re d'Italia Berengario Duca del Friuli. Questi accidenti dettero animo agli Unni, che si trovavano in Pannonia, di assaltare l'Italia; e venuti alle mani con Berengario, furono forzati tornarsi in Pannonia, ovvero in Ungheria, che così quella provincia da loro si nominava. Romano era in questi tempi Imperatore in Grecia, il quale aveva tolto l'Imperio a Costantino, sendo prefetto della sua armata. E perchè se gli era in tal novità ribellata la Puglia e la Calabria, che all' imperio suo, come di sopra dicemmo, ubbidivano, sdegnato per tal ribellione permesse ai Saracini che passassero in quei luoghi; i quali venuti, e prese quelle provincie, tentarono di espugnare Roma. Ma i Romani, perchè Berengario era occupato in difendersi dagli Unni, fecero loro capitano Alberico Duca di Toscana, e mediante la virtù di quello salvarono Roma dai Saracini, i quali partiti da quello assedio fecero una rocca sopra il monte Gargano, e di quivi signoreggiavano la Puglia e la Calabria, e il resto d'Italia battevano. E così veniva l'Italia in questi tempi ad essere maravigliosamente aflitta, sendo combattuta di verso le Alpi dagli Unni, e di verso Napoli dai Saracini. Stette l'Italia in questi travagli molti anni, e sotto tre Berengari, che successero l'uno all'altro; nel qual tempo il Papa e la Chiesa era ad ogni ora perturbata, non avendo dove ricorrere, per la disunione de' principi Occidentali, e per la impotenza degli Orientali. La città di Genova e tutte le sue riviere furono in questi tempi dai Saracini disfatte, donde ne nacque la grandezza della città di Pisa, nella quale assai popoli cacciati dalla patria sua ricorsero; le

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