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vano per gli Italiani giusta causa, buon volere, e risoluzione di vincere non per se stessi, ma per una patria. Nè la fortuna negò corona di vittoria al generoso proposito. Il primo ad assalire fu Piero di Sagra. Questi investi con tale impeto la squadra del Pepoli, che essa dopo avere alquanto balenato si disordinò ma tosto alle riscosse sopraggiungeva il Barbiano, che, riurtando ferocemente il Sagra, lo sgominava e faceva prigione, e, rotto quindi e trapassato anche il secondo squadrone, rovesciavasi per ultimo su quello comandato dal Mongioia. Aspra tenzone fu quivi combattuta; avvegnachè tutto il risultato della zuffa, anzi pure le sorti dell'italica civiltà, anzi, per così dire, quelle del cristianesimo vi fossero raccolte. Alla fine il senno di Alberico, la costanza, e il coraggio della compagnia di S. Giorgio restarono superiori alla brutale bravura de' Brettoni. Dopo cinque ore di ostinata battaglia, Alberico si rivolse a Roma trionfante e lieto, quantunque pur nell'ebbrezza della vittoria non egli certo s'avvedesse d'avere a Marino posto radice a una nuova e nazionale milizia (1).

Quella grande città, che da tanti secoli non aveva festeggiato che la vanitosa pompa di principi stranieri od anche nemici, esultò questa volta di propria gloria e vantaggio, mirando passarsi dinanzi i vincitori scintillanti di gioia, e trascinantisi dietro le conquistate

(1) A. Gataro, St. Padov. 277 (t. XVII). — Chron. Estens. 503 (t. XV). - Cron. Sanese, 263. — Cron. Riminese, 920. Ghirardacci, XXV. 378. Ann. Foroliv. 190 (t., XXII). Raynald. Ann. Eccles. A. 1379. §. 24. 25. — Collẹnuccio, Compendio della St. di Napoli, L. V. Barellii, de Alberico 11 cognom. Magno. Note (Milano 1782).

insegne, e i cavalli e le armi predate, e i' capitani vinti in catene. Dissesi poscia, che se gli Italiani proseguendo la vittoria si fossero di buon passo spinti sopra Anagni, forse riuscivano a spegnere d'un colpo le compagnie straniere e lo scisma d'occidente. Comechè sia la cosa, il papa rendè solenni grazie al Cielo della fausta giornata, processionando a piè nudi, e creò Alberico cavaliere, e lo donò solennemente di una insegna, nella quale era dipinta una croce rossa col motto: Italia liberata dai barbari. Questa insegna si perpetuò con molta gloria ne' discendenti di Alberico. Quindi il papa si valse di lui per assoggettare alla Chiesa le terre rubellate.

I feriti dell'esercito italiano per pubblico decreto della città di Roma vennero, giusta il suggerimento di santa Caterina, distribuiti fra le più ricche famiglie, e con gran diligenza curati (1). I Brettoni qua e là dispersi errarono ancora lungo tempo dopo la battaglia di Marino, pigliando soldo a piccole squadre, o intromettendosi a uomo a uomo nelle compagnie italiane. Quanto a'loro capi, soggiungeremo, che il Maléstroit dalle superbe risposte mancava tre anni dipoi per malattia oscuramente a Napoli (2); il Bude, e Bernardo della Sala lasciavano la vita entrambi in Francia, quegli qual masnadiero per man d'un carnefice in Avignone, questi nelle fazioni civili degli Armagnacchi (5).. Tale fu la fine di quelle schiere,

(1) S. Caterina, lett. 196.

(2) Froissart, t. II. c. 36.

(3) Si ricava questo dalla lettera di Facopo del Verme, nel Giulini, Continuaz. 1. 74. p. 536.

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terribili finchè stemmo divisi, vinte ed annichilate
al primo congiungersi di poche braccia!

II.

Con ben altra fortuna da quella del Barbiano Ettore A.4379 Manfredi raccozzava ne' medesimi giorni sul Parmigiano 600 lancie e 2000 fanti tra fuorusciti e venturieri bolognesi e romagnoli sotto nome di Compagnia della Stella. Era il suo intento di innoltrarsi sino a Faenza, città allora posseduta da lui, farvi capo ad altri seguaci, e poi tutti insieme assaltare Rimini e Bologna. Le buone guardie poste sui confini del Modenese dal marchese d'Este impedirono il passaggio alla compagnia; perlochè essa, superati gli Apennini, scagliossi sopra Genova, e ne riscosse una taglia di tredicimila fiorini. Ciò conseguito, tornò cogli antichi disegni nel Reggiano, e nuovamente, riscontrati gli stessi ostacoli, avventossi contro Genova. Ma questa volta il grave pericolo, la rotta fede, e lo strano inso24 7bre lentire delle soldatesche svegliarono a solenne vendetta la plebe ferocissima della popolosa città. Stavano i venturieri accampati dentro il letto del Bisagno appiè delle colline di Albaro, che con dolce pendio seminato d'orti e di case, di quà fronteggiano la costa orientale della città, di là prospettano con bellissima vista il Mediterraneo. Quivi i cittadini da tante parti e con tant'impeto li assalirono, che la compagnia fu prima oppressa che potesse pensare al modo di resistere. L'angustia del sito chiuso dalla città, dai colli e dal mare rese più piena e più sanguinosa la vittoria ; Ettore fuggi a stento mediante grandi promesse dalle mani di alcuni contadini; degli altri capi fu preso

1379

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*

a furore di popolo spietato supplizio. Così entro il breve giro d'un anno fu ristretto il principio e il termine della compagnia della Stella (1).

Mentre queste cose avvenivano verso le parti di A. 1379 Genova e di Roma, Giovanni Acuto e Lucio Lando, entrambi diventati generi di Bernabò Visconti, facevano le viste di combattere a nome di lui in Lombardia contro i signori di Verona. Ma quale delle potenze fosse in questa guerra la servita, quale la combattuta, è incerto; di tanti e tanto ravviluppati inganni si vestivano allora, i tradimenti! Infine venne la cosa al punto che Bernabò sdegnatissimo, almeno in sembiante, dal mirare le proprie provincie desolate da gente, ch' ei pur pagava duecentocinquantamila fiorini l'anno, bandi una taglia di trenta fiorini sopra ogni venturiero che venisse preso od ammazzato. Ma forse era ancora questo un ribaldo giuoco per mandare senza scoprirsi i condottieri sopra la Toscana, la quale, benchè amica, era sempre da lui molto desiderata. Infatti l'Acuto e il conte Lando, essendosi uniti in numero di 1200 lancie, prima passarono a levare una imposta di 20 mila fiorini dalla città di Bologna, poscia misero l'assedio a Montepulciano; superato il quale ostacolo, grandi guai sarebbero sovrastati a tutta la Toscana, se i Comuni di Lucca, Siena, Perugia, Pisa e Firenze non vi avessero provveduto il rimedio col venire a patti ed assoldare la compagnia a cento o duecento lancie ciascuna

(1) Georg. Stell. Ann. Gen. 1112 (t. XVII).— Cron. misc. di Bòl. 520.—Cron. Sanese, 265. — Chron. Estens. 504 (t. XV). · Chron. Placent. 541 (t. XVI).— Boninc. Ann, Miniat. 34 (t. XXI).

città (1). Per effetto di questo accordo l'Acuto si ridusse con una sola squadra a Bagnacavallo e Cotignola, terre che già gli aveva donato il papa Gregorio XI come primo esempio di stabile dominazione concessa dai principi d'Italia ad un condottiero di ventura (2).

Ma breve fu quel riposo; poco stante sia l'Acuto, A. 1380 sia il conte Lucio Lando venivano entrambi richiesti instantemente da Firenze a volerla difendere contro Alberico da Barbiano, il quale con uno stuolo di Ungheri e di Tedeschi e colla propria compagnia di S. Giorgio era entrato in Toscana. Rotto dal conte Lando sotto Malmantile, il Barbiano volò a raggiungere il principe Carlo di Durazzo, che dalla Ungheria calava in Italia affine di conquistare il regno di Napoli, e gli sottomise durante il viaggio Agobbio ed Arezzo, e gli fu potentissimo braccio al conseguimento de' suoi disegni. Presa poi Napoli, ed assestate alla meglio le cose del regno, Alberico corse ad Arezzo per mantenerla sotto la divozione del principe di Durazzo contro gli sforzi della fazione guelfa, la quale aveva costretto il regio vicario a ritirarsi nella fortezza. Bentosto, come a convegno, si trovarono raccolte pel medesimo fine sotto Arezzo, oltre le genti del Barbiano, quelle della compagnia dell'Uncino testè A. 1381 formata da un Villanozzo da Villafranca, e grosse squadre di Ungheri e di Brettoni, e 400 lancie di un

XXV. 378..

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(1) Ann. Mediol. 772. — Chr. Placent. 542. - Chr. Estens. 503.-Cron. misc. di Bologna, 520. Ghirardacci, St. di Bol. Cron. Sanese, 263. — Cron. di Pisa, 1077. (2) Boninc. Ann. Miniat, 22 (t. XXI). — Manni, Vita dell'Acuto, 636 (Script. Etrusc.) - Corio, St. di Mil.

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