Immagini della pagina
PDF
ePub

CAPITOLO SECONDO

Dalla morte di Gian Galeazzo Visconti a quella del Re Ladislao.

FACINO CANE OTTOBUON TERZO

PRIMORDII

DI BRACCIO E SFORZA.

1.

La compagnia della Rosa fu per avventura l'ultima in Italia, che avesse proprio nome. Oramai tutte pigliavano dal loro condottiere, ed alla differenza nel nome era venuta a corrispondere una non minore differenza nella sostanza medesima della instituzione.

Infatti, al tempo delle compagnie straniere solitamente era il caso che metteva insieme i varii elementi, che da molte cagioni erano stati prodotti o ravvivati. Quando un bando di pace od un ammutinamento suscitava nelle soldatesche il proposito di riunirsi in una compagnia, esse eleggevansi bensì un capitano supremo, ma siccome i guadagni e le imprese erano comuni, così non gli concedevano la facoltà di dare il nome alla compagnia. Questa perciò prendeva il suo titolo vuoi da qualche accidente, vuoi dal Santo patrono, o dal capriccio, o dalle divise portate. Per lo stesso motivo le risoluzioni del capitano dipendevano da un consiglio nominato dal voto. universale delle schiere; sicchè la compagnia rendeva in certa guisa similitudine a una ragione di commercio, dove ognuno ha la sua parte di peri

coli e di vantaggi. Del resto, siccome l'esistenza di siffatti consorzii non era assicurata dal possedimento di veruna terra o provincia, così era mestieri che durasse solo, quanto la propria fortuna o la dappocaggine altrui; pochi villani alle Scalelle, la vista di un esercito al campo delle Mosche sbandavano la gran compagnia: un freddissimo verno, un poco più di pace e di concordia bastavano a risolverne altre parecchie.

Molto più saldo era il potere esercitato dai condottieri italiani. E primamente, non il caso, non un improvviso furore formava, generalmente parlando, le loro compagnie; ma, secondo l'opportunità, eglino stessi a poco a poco le radunavano, prima raccogliendo in una piccola squadra i proprii amici e congiunti (4); poscia colla fortuna accrescendola a poco a poco. Per conseguenza il capo della compagnia non era eletto dai soldati, ma bensì era egli medesimo, che riuniva e sceglieva loro. Quanto ne dovesse rimanere avvantaggiata la disciplina, ognun ben vede. Diventavano poi capi di compagnia od i signori feudatarii d'ampie castella e tenute, ad esempio dell'Ubaldini, de' conti da Barbiano e de' Malatesta, oppure famosi guerrieri, cui la propria bravura aveva

(1) Di questa fatta era la squadra de'Tolomei di 20 lancie da tre cavalli ciascuna, che nel 1395 venne assoldata dal Comune di Firenze. «Ita quod sint et esse debeant Steph. de << Tolomeis praed. cum tribus lanceis et uno piacto, Raynerius << praed. cum 3 lanceis, Petrus Bindini de Tolomeis cum 2 << lanceis minus uno piacto, Meus Petri de Tolomeis cum 2 « lanceis et uno piacto, Andreas Petri de Tolomeis cum 2 lanc. << minus uno piacto, Georgius D. Jacobi de Tolomeis ecc. » — (Archivio delle Riformazioni, el. XIII. dist. II. N. 15, f. 5. terg.).

sollevato per gradi al punto da poter ragunare una compagnia. Nel primo caso la schiera componevasi particolarmente di vassalli, di dipendenti e d'uomini di masnada: nel secondo caso veniva essa constituita di antichi camerati, o di divoti allievi in entrambi l'obbedienza del soldato era rafforzata da profondi sensi di affetto e riverenza. Aggiungevasi a tutto ciò che il capitano trattava egli a suo arbitrio con i principi, e pagava ed armava col proprio denaro le sue soldatesche. Quindi sia le imprese, sia i guadagni erano suoi proprii (1). Aggiungevasi che, tranne i balestrieri e qualche nerbo di fanteria eletta, restava esclusa dalle compagnie italiane la turbolenta moltitudine a piè, solita già prima a mettersi alla coda delle compagnie straniere per crescere colla seconda e svanire coll'avversa fortuna. Aggiungevasi infine la perpetuità, che i condottieri italiani avevano oramai saputo procacciare alla propria potenza, sia mediante il possedimento certo di terre e contrade, sia mediante le varie forme di condotta introdotte nel loro servizio,

Erano esse comunemente di tre sorta. Dicevasi che un condottiero serviva a soldo disteso, quando questi con un determinato numero di cavalli e di fanti militava attivamente sotto il comando del capitano generale: era condotto a mezzo soldo, quando senz'obbligo di passare la mostra, e in forma di compagnia guerreggiava a suo bell' agio le terre, sovra

(1) Nel 1387 i Fiorentini richiesero Pandolfo Malatesta che smettesse dal depredare colla sua compagnia il Perugino. Questi rispose loro « d'avere speso più di 30,000 fiorini a mettere « insieme le genti, e che non poteva stare senza fare le scor<< rerie ». Ammirato, XV. 790.

le quali era mandato; finalmente stava egli in aspetto, quando per certa piccola paga il principe teneva come accaparrata la compagnia di lui per ogni caso di guerra (1). Solitamente questo contratto di aspetto pei signori padroni di castella cambiavasi in una raccomandigia; posciachè il principe non solo si obbligava a passare ad essi una certa provvigione in pace ed una maggiore in guerra, ma eziandio ne riceveva in protezione i dominii (2). Così per qualsiasi tempo il sostentamento di coteste compagnie era sicuro, e la dignità e la possanza di chi le guidava diveniva per così dire perpetua.

Da ciò scaturivano due beni. In primo luogo i condottieri italiani, essendo padroni pressochè assoluti di compagnie vecchie ed affezionate, vi potevano comodamente introdurre que' perfezionamenti, che invano i capitani stranieri avrebbero tentato d'introdurre in quelle loro bande tumultuarie e di poca durata. Perciò il conte Alberico da Barbiano potè aggiungere la ventaglia all'elmo degli uomini d'arme, e munirne il collo di una goletta, e coprirne i destrieri di barde lunghe sino al ginocchio di cuoio cotto dipinte e indorate (3), e ornare il frontale di questi con uno stile di ferro aguzzo: i quali perfezionamenti, venendo imitati prestamente dagli altri`con

(1) Vedi la nota XIV.

(2) Vedi la nota XIV. A.

(3) Molti non isprégievoli dipintori ricavavano allora il vivere dall'istoriare coteste barde a varii lavori e partimenti di imprese, più o meno vistose secondo il potere di chi le portava. V. Vasari, Vita di Lazzaro Vasari.

dottieri italiani, procacciavano poi ad essi i vantaggi testè descritti sopra i Tedeschi (1).

In secondo luogo, le compagnie italiane essendo al paragone delle straniere molto più agguerrite, obbedienti e maneggiabili, non fa meraviglia se chi le comandava perfezionasse anche il modo di trattare la guerra. Molti anni per verità erano ancora da scorrere prima che la supremazia nel mestiere delle armi dipendesse dalla eccellenza delle facoltà mentali, epperciò tra capitano e capitano si potessero assegnare vere e sostanziali differenze; ma intantochè si stavano provando quelle nuove ed imperfette armi da polvere, che allargarono poi immensamente il campo delle guerresche operazioni, intantochè si stava attendendo quella più squisita distinzione di gradi, e quella fermezza di disciplina (necessaria condizione d'ogni buona impresa, e mediante la quale ogni opera, ogni volere, come raggi a centro, colliman nella mente del capitano supremo), è fuori di dubbio, che i condottieri italiani ridussero la pratica della guerra alla più sottil perfezione, a cui essa giungesse da'Romani in poi. E in verità, sia presso le milizie feudali, sia presso quelle de'Comuni, sia presso le compagnie straniere, le battaglie erano state quasi niente altro che accaniti scontri di schiere contro a schiere; perchè quando l'unione fra le varie parti dell'esercito è come nulla, e la disciplina è precaria, che fa il soldato, se non se accorrere dove vede sventolare il suo pennone, e combattervi il nemico che incontra, vinca o perda la squadra vicina? Giovanni Acuto, non so se ultimo dei

(1) P. Jovii, Elogia, L. II. 190 (Basilea, 1571), e V. sopra parte III. c. I. §. VI.

« IndietroContinua »