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mona; e queste città erano da loro usurpate appunto mediante il braccio di quelle squadre, che avevano giurato di custodirle e difenderle. In conclusione il giovane duca si trovò in termine da dover implorare l'aiuto di Facino Cane, e stipulare una tregua col Fondulo e col Vignate proprii suoi condottieri, e proibire nelle provincie di rendere giustizia o rogare atti prima che fossero pagate le imposizioni, e fare cancellare il pacem dalle pubbliche preci, e rovesciare le schiere armate sopra il popolo che domandavala per mercè.

Aveva il duca Gian Galeazzo eletto specialmente alla tutela de' suoi figliuoli Iacopo del Verme, l'integro e valoroso condottiero; e questi solo fra tanti traditori s'era mantenuto fedele. Ma veggendosi apertamente odiato dalla turba degli sciaurati che a modo di fazione regolavano le pubbliche faccende, e schivato con molte apparenze di rispetto dal principe Giovanni Maria, pel quale la lussuria la crudeltà tenevano luogo d'imperio, aveva egli alla fine dovuto ritirarsi come in disparte. Anzi, stante la fatale necessità delle rivoluzioni, aveva dovuto dare pressochè l'aspetto di fazione armata alla propria difesa. Per la qual cosa la somma del potere restò in Facino Cane, che da condottiero divenuto nemico, e quindi alleato, erasi ultimamente reso il signore, o per meglio dire il tiranno, non che dello Stato, della persona medesima del principe. Quando la costui insolenza parve troppa, e la pestilenza recata in Milano dalle popolazioni accorsevi per iscampare dalla guerra e dalla A.1406 fame, accrebbe esca al male, e lutto a lutto, fu lacopo del Verme segretamente supplicato dal duca, affinchè

l'aiutasse a ricuperare l'autorità. Iacopo, trovandosi privo di soldati, di denari e di ogni altra comodità, chiamò a capo dell'impresa Ottobuon Terzo, feroce condottiero, che con scettro di ferro signoreggiava Parma e Reggio. Questi ragunò in fretta 7000 uomini tra soldati e banditi, e stimolandone le brame colla promessa del sacco di Milano, passò l'Adda a Trezzò, ed occupò Desio, Magenta e Rosate. Presso a Mori21 f. mondo si fece ad essi incontro Facino Cane, uscito 1407 da Milano con 3000 uomini d'arme, e tosto con molto vantaggio li investi. La notte sospese il combattimento. Ma non si era appena il nemico addormentato dentro i proprii alloggiamenti, che Iacopo del Verme con somma gagliardia ve lo assaliva. Le tenebre gli agevolarono la vittoria. Facino ebbe appena tempo di salvarsi colle reliquie del suo esercito dentro Pavia. Milano aperse le porte ai vincitori (1).

Fu il duca così amorevole verso lacopo ed Ottobuono, come era stato verso Facino, e come era pe essere verso ognuno che fosse più potente di lui. Ottobuono Terzo venne subito creato governatore della persona di lui e conte di Pavia; ma non contento di ciò, chiese che in guiderdone della vittoria gli venisse conceduto il sacco delle case e dei beni della fazione sconfitta: poscia passò a pretendere per sè le ricchezze di tutta Milano, la quale città se fu salva, il riconobbe dalla virtù di Iacopo del Verme. Non veggendosi soddisfatto nè dell'una domanda nè dell'altra, il furibondo Ottobuono imbestialito egualmente contro Guelfi e Ghibellini, partissi a guisa di

(1) A. de Billiis, II. 30. Rosmini, St. di Milano L. VIII. P 231. Corio, St. di Mil. parte IV.

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nemico da Milano, per concertare a Monza coi fuorusciti i modi di guerreggiarla apertamente. Quanto a Jacopo del Verme, posciachè ei mirò nella vil corte di Giovanni Maria Visconti posposta la forte fede alla corruttrice adulazione, l'austero valore all'abbietto servire, e, stante la insufficienza de'suoi sforzi, la propria persona non solo inutile ed odiosa, ma forse atta soltanto ad accrescere per violento fine il lutto e la ignominia della patria, cedette la tutela del duca a Carlo Malatesta, e gettato un ponte sull' Adda, cercò nuova patria e padrone presso i Veneziani. Pochi mesi di poi, nel pugnare fortemente contro i Turchi a'servigi della repubblica, rimaneva ucciso (1). Capitano che avrebbe sollevato molto più del Barbiano il proprio nome, se come lui fosse nato libero signore di terre e di castella, e non già suddito di un gran principe, a'cui cenni era obbligato di conformare giorno e notte tutte le sue forze, i suoi disegni, e la gloria sua.

Partito Iacopo del Verme, il duca ricevè come suo liberatore Carlo Malatesta; ma bentosto era condotto ad altri pensieri dalle armi di Facino Cane, che, acquistata Vercelli ed Alessandria, col favore degli esuli Ghibellini, di Giovanni da Vignate e del marchese di Monferrato, cingeva Milano di bastite, e con non molta fatica se ne insignoriva. La incostanza del Visconti, le congiure intestine, e l'arrivo di seimila Francesi condotti dal Boucicault governatore di Genova, scrollarono tuttavia alquanto il potere di Facino. Ma questi alla fine, essendosi con una segna

(1) A. de Billiis H. 31. Corio AA. 1407.

lata vittoria presso Novi assicurato del Boucicault, astrinse il giovane duca a implorare pace di nuovo, 68bre ed accoglierlo in trionfo e signoria dentro Milano.

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Parvero a questo modo posate per sempre le cose dello Stato, e forse sarebbe stato realmente cosi, se la superbia ed i soprusi, proprii di chi dalle miserie dell'esiglio si estolle al comando della patria, non avessero col pungolo di quotidiane ingiurie svegliato a vendetta ed ai tradimenti i vinti Guelfi. Fu travolto nella trama anche il duca, che non potendo nè comandare nè obbedire, congiurava: effettivamente dispose ogni cosa per opprimere Facino la prima volta che venisse a corte; nè il disegno mancava, se la troppa fretta di chi gli voleva male non l'avesse salvato. Già il condottiero era penetrato nel secondo cortile del 15 aprile palagio ducale, quando il Visconti, non potendo più capire in sè dalla allegrezza, « tu sei mio prigione » gli grida. A queste voci Facino caccia a fiaccacollo in fuga il destriero, e tutto lacero e sanguinoso corre a porsi in sicuro a Rosate (1).

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Alla sventata macchinazione successero quindi per parte del duca e del suo consiglio tali umiliazioni e scuse e preghiere, che il condottiero finse di prestarvi fede, 7 maggio ed acconsenti ad una nuova pace. Ritornò pertanto in Milano governatore per anni tre. Poscia col braccio della fazione ghibellina rapi Pavia a Filippo Maria, il fratello minore del duca di Milano. Avvenne che nell' entrare in città, Facino ritrovò le case de'Guelfi già saccheggiate dai suoi aderenti: Ea me nulla rimarrà adunque? sclamò alle squadre: «Guelfi o Ghibellini, io

(1) A. de Billiis, II. 34. Corio, IV. 592.

voglio la mia parte», e la città andò a ruba. Nell'universale scompiglio di depredati e depredatori Filippo Maria rifuggissi a stento nel castello, col favore soprattutto di un oscuro soldato da Carmagnola, il cui nome, pronunziato allora la prima volta nella milizia, era per risuonare poco stante non senza gloria nei fasti d'Italia. Però dopo alquanti giorni d'assedio, altresì il castello si arrese al vincitore, che lasciato a Filippo Maria il titolo e le insegne di signore, ne ritenne per sè le ricchezze e l'autorità.

Piegati in tal guisa i due Visconti, addolcita la plebe coll'abbondanza de' viveri, sottoposte al suo giogo Milano, Novara, Pavia, Tortona, Como, e le terre che si specchiano nel Lago Maggiore, Facino Cane rivolse la mente a riunire nelle proprie mani tutto l'ampio retaggio di Gian Galeazzo, e disegnò la prima impresa contro Pandolfo Malatesta. Aveva questi, come narrammo, usurpato Brescia. Facino vi avvicinò l'esercito, e circondolla di stretto assedio: ma non gli bastò la vita a vederne il termine. Sorpreso da mortale assalto di gotta, fu condotto semivivo a Pavia; e quivi le ultime ore gli vennero ancora amareggiate dalla inaspettata nuova dell'assassinio del duca Giovanni Maria. Colle estreme voci Facino rac- maggio 4412 comandò la vendetta di questa uccisione, e la persona della sua moglie Beatrice di Tenda agli amici, che gli stavano attorno: quindi non pago de'suoi voti, male soddisfatto dell'opre sue, non rassegnato, non dispe rato, spirava (4). <

Morto Facino, la provetta Beatrice di Tenda sposò il

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