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1409

giovane Filippo Maria Visconti, e gli portò in dote 400 mila fiorini, le potenti schiere dell'estinto consorte, e in una parola la padronanza della Lombardia. Quali premii ne ricavasse la misera, il saprà ognuno che consideri, quali ne preparino gli uomini ambiziosi ai troppo grandi beneficii.

III.

Fra queste turbolenze di Lombardia era mancato 26 aprile ai vivi per mal di uretra, in una oscura terra del Perugino, Alberico da Barbiano, il gran conestabile (1); ma cotesta perdita veniva ampiamente compensata da due suoi allievi, i cui nomi erano destinati a reggere il mestiere dell'armi in Italia per tutto il xv secolo. Dir vogliamo di Braccio e di Sforza.

Passavano un giorno alcune squadre di Boldrino da Panigale presso a Cotignola in Romagna, e scorgendo ne'campi un garzoncello intento a lavorare colla marra le non molte terre paterne, l'addimandavano della via. La speditezza delle costui risposte avendone fatto osservare la gagliardia delle membra e la fierezza dell'aspetto, da buoni camerati il richiesero di arruolarsi con loro. Il villanello dubbioso ed impaziente di consultare tra sé quel partito, abbandonò alla sorte di chiarirlo: detto fatto, lancia la marra fra gli spessi rami d'una quercia, e seco stesso fa patto di prendere l'armi quand'essa ricadesse (2). La A. 1382 marra ricadde, e Muzio Attendolo (tolto segretaniente di casa un cavallo) seguì alla guerra in qualità di ra

(1) J. de Delayto, Ann. Est. p. 1052 1083 (R. I. S. t. XVHI). - Cron. misc. di Bol. 594 (t. XVIII).

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(2) Intorno a questo fatto V. Murat. AA. 1401.

gazzo un uomo d'arme Spoletino detto per soprannome lo Scorruccio. In capo a quattro anni, essendo già diventato valoroso domatore di cavalli, tornò a casa con voglia di maggior sorte.

Ardeva allora in Cotignola acerba contesa tra la stirpe Attendola e quella dei Pasolini; sicchè avresti veduto le affumicate mura delle case di Muzio coperte alla mescolata di strumenti villici e guerreschi, e le ampie camere guernite di straordinarii deschi e focolari, e di letti grandissimi, dove a caso dormivano le squadre armate dei consorti, mangiando poi furiosamente le grosse vivande messe loro dinnanzi dalle donne e dai servitori. Tra questa turba d'uomini forti e audacissimi non è a dire se riuscisse agevole a Muzio di trovare compagni: la vendita di alcuni poderetti somministrò denaro, il denaro somministrò armi e cavalli.

Furono compagni dell'Attendolo, sotto le insegne primieramente di Alberico da Barbiano e quindi sotto quelle del Broglia, Bartolo e Francesco soprannomato il Beccaletto fratelli suoi, e Bosio e Lorenzo e Michele e Foschino suoi congiunti dal lato di padre, e Santoparente de' Peracini, di lui cugino materno. Infiammavano questo drappello di feroci i viventi esempii di venturieri saliti a grande stato, il piemontese Broglia signore d'Assisi, Biordo de’Michelotti principe di Perugia e di Orvieto, l'Acuto padrone della loro Cotignola e di Bagnacavallo, e il Barbiano gran conestabile del regno di Napoli (1). Ma in quell'istante nel quale l'Attendolo, cupido più di preda che di gloria, but(1) Leod. Cribell. Vita Sfort. p. 631 (t. XIX). Corio, 501. 520. — Giovio, Vita dello Sforza, L. I. c. I - XII.

tavasi con sette compagni alla milizia di ventura, chi gli avrebbe pronosticato che egli era per acquistare al suo figliuolo il dominio della più ricca parte d'Italia? Di tanto l'uomo cresce i pensieri colla fortuna! sicché poscia appaia avere sin dal principio avuto sempre la mira a quell'ultimo punto, a cui effettivamente non si andò avvicinando che a poco a poco per mutazioni d'animo successive.

Robustissimo di corpo, presto alle più arrischiate fazioni, scarso di sonno e di diletti, in breve ora il giovane Muzio come si rese terribile a' nemici, così, sia per certo suo fare fiero e sdegnoso, sia per la sorte comune quasi ad ogni uomo straordinario, diventò non solo diverso, ma quasi odioso a' compagni. Un di ch'egli stava dibattendo rabbiosamente non so qual preda col Tarantola e collo Scorpione, sopraggiunse per definire la lite Alberico da Barbiano. Ma elle eran parole: chè Muzio non si voleva acquetare per verun patto. « Tu dunque hai viso di sforzare anche me?» gli gridò il gran conestabile: «ebbene, abbiti il nome di Sforza». E questo nome diventò immortale (1).

Dopo avere militato sotto il Barbiano nel regno di Napoli e in Lombardia, lo Sforza pigliò servigio presso il Broglia poscia avendo d'accordo con Lorenzo Attendolo messo insieme una banda di cavalli, passò settemb. a difendere Perugia dalle armi del duca di Milano. Quivi si conciliò tal riputazione di animoso e di sperimentato guerriero, che il Comune per pubblico decreto lo donò di alcuni vasi d'argento, e quando poi la (1) Bonincont. Ann. Min. 54. 65 (t. XXI). — Corio, 509. 533. 541. Leod. Cribell, 1. cit.

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città si diede in obbedienza al duca, questi gli raddoppiò la paga, e lo fece scrivere a' proprii stipendii. Siccome però le genti dell'Attendolo non arrivavano ancora a formare una giusta compagnia di cavalli, accomunolle egli in una sola condotta con quelle di un Perino da Tortona altro simile caposquadra, e venne con esso lui in Lombardia. Pari essendo il grado, differentissima la fama dei due capitani, non è da aggiungere se Perino ne concepisse invidia. Bentosto, disperando di sopravanzare il collega nell'onore, studio modo di torselo di mezzo mercè delle calunnie. Lo Sforza, licenziato da Milano quasi in forma di traditore, fuggi in Toscana con 50 lancie, e vi prese servigio di mesi sei co' Fiorentini. Colà sotto gli auspizii della repubblica, e precisamente nella terra di S. Miniato, una Lucia di Terzano, da lui tenuta in luogo di concubina, gli partori il figliuolo Francesco 23 genn. destinato dal cielo a grandi cose (1).

Fu poscia lo Sforza mandato da Firenze oltre gli Apennini, sia affine di darvi mano alla calata del re Roberto, sia affine di difendere Bologna dagli insulti del duca di Milano. Nella prima impresa consegui egli dal re per premio delle sue nobili fatiche la facoltà di aggiungere all'arme sua, che era un pomo cotogno, il leone rampante, insegna propria di quel principe; nell'altra impresa, essendo stato rotto l'esercito di Firenze per colpa soprattutto d'Angelo Lavello detto il Tartaglia, Sforza ne arrabbiò tanto, e tanto ne gridò che si accese una immortale inimicizia tra lui e il Tartaglia. I Fiorentini, per compensarlo della

(1) Boninc. cit. 76-84. - Corio, 549. 556.-Leod. Cribell. 638.

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fede e della diligenza che aveva impiegato a riunire e ricondurre in Toscana le reliquie delle schiere rilasciate in libertà dal nemico, acèrebbero la sua condotta infino al numero di 500 cavalli (1). Quindi la guerra già cominciata contro Pisa intrattenne entrambi gli emuli sulle rive dell'Arno.

In verità sul principio la emulazione tra lo Sforza ed A. 1405 il Tartaglia fu onorevole ad entrambi e vantaggiosa allo Stato. Avevano i capitani dell'esercito fiorentino messo mano a costrurre sull'opposta riva del fiume una bastita per tener meglio assediata Pisa. Una volta l'Arno ingrossò inaspettatamente di sorta, che interruppe le comunicazioni fra le due sponde: perciò i capitani veggendo di non potere nè guardare la bastita con quel poco di gente che vi era rimasta, nè mandarvene dell'altra, consultavano di atterrarla; quand' ecco lo Sforza, levatosi da ultimo a favellare, offrirsi pronto a pigliarne la guardia sopra di sè. Essendo stato approvato il partito, con somma maraviglia di tutti gli astanti, Sforza prese seco due famigli e senza più buttossi in un barchetto per passare al di là. Ciò veggendo il Tartaglia, gettasi in un altro schifo, e lo segue; a forza di remi e di molta pazienza superarono il furore veramente terribile della corrente. Tosto approdati, radunano i contadini occupati nel lavoro della bastita, li mettono in ischiera e li fanno marciare contro i Pisani sortiti per impadronirsene. Questi ingannati da tale vista, supposero che l'esercito fiorentino avesse trovato modo di passare il fiume,

1) Leod. Cribell. 640 (t. XIX).

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