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da un folto nevazio, le accostò a Parabiago. Le grida degli assaliti e dei morenti avvertirono i Milanesi prima del danno che del pericolo. Chi rimase, fece disperata difesa fino a sesta. Ciò fatto, i venturieri, coll'impeto che dà la vittoria, si avviarono verso Nerviano.

Passato Canegrate, s'abbatterono in Luchino che 21 febb. al rumore dello scempio di Parabiago, sopraggiun4339 geva con tutto l'esercito a far battaglia; e di subito, abbassate le lancie e tesi gli archi e le balestre, l'un esercito e l'altro a gara si azzuffarono. Infiammava i Lodrisiani la bramosia della preda, la recente vittoria, la disperazione del proprio stato; rinfrancava i Milanesi l'onore e la salute propria e della patria; e sopra tutti erano accesi di tali sensi parecchi nobili garzoni che Luchino, e poco prima e allora eziandio, aveva creato cavalieri: le bande poi alleate e gli stipendiarii d'Azzo Visconti venivano scaldati a incorrotta difesa dalla propria riputazione è dalla strage de' compagni. Diedero dentro primamente que' di Lodrisio, gridando San Giorgio: sostennero l'urto i Milanesi e i Tedeschi di Luchino, gridando S. Ambrogio, e Cavalieri d' Enrico (1). Sventolava da entrambe le parti l'insegna della vipera; ed erano pure cugini i capitani de' due eserciti; e cento sessantatrè anni innanzi que' medesimi campi avevano pure mirato altri Milanesi alle prese contro altri Tedeschi; ma per quanto più nobile e generosa

causa:

Dopo un lungo contrasto, nel quale a Luchino

(1) Galv. Flamm, Opusc. cit. p. 1925,

vennero ammazzati sotto parecchi destrieri, trovandosi sfinita dalla fatica l'una parte e l'altra alquanto si posò. Posarono dappresso questi a quelli appoggiati alle aste, guardandosi iratamente, e minacciandosi e provocandosi coi gesti e colle parole; nè così tosto ebbero ripreso un po' di lena, che più ferocemente tornarono ad affrontarsi. Raddoppiava lo spavento e la confusione della lotta mortale la varietà non solo delle nazioni, ma delle armi, come spade, lancie, spadoni, azze, partigiane, archi, balestre, fionde, labarde, mazze d'arme, le quali tra loro urtandosi o percotendo sulle armature, mandavano commisto allo strepito delle grida e degli strumenti un orrendo suono, di strage. Mille forme poi di morte e di combattimento; posciachè attaccavansi corpo a corpo, colla lancia, colla spada, col pugnale, e chi s'avvinghiava al nemico per gettarlo di sella, e chi gli feriva il destriero per traboccarlo a terra, e chi sotto la rovina dell'avversario si seppelliva. Finalmente i Lodrisiani, fatta una gran punta, arrivano sino a Luchino, lo gettano abbasso dal cavallo, l'opprimono, e strettamente l'avvincono ad un noce.

Per questo fattò a' Milanesi sbigottiti non rimaneva altro più da tentare che una prudente ritirata, ed ai soldati della compagnia di S. Giorgio, che un valoroso assalto. Arrestaronsi adunque per raccogliere le forze, questi per darlo, quelli per sostenerlo. Ma quando già stanno per rovesciarsi addosso, eccoti alle spalle de' Milanesi un alto clamore che li avvisa di prossimo scampo. Era un Ettore da Panigo, fuoruscito bolognese, che con 700 cavalli partiti sul tardi da Milano, accorreva a ri

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storare la fortuna d'Azzo Visconti. Invano i venturieri di S. Giorgio stanchi e mezzo sbandati opposero l'estremo delle loro forze all'inaspettato nemico : in breve tutta la compagnia fu in fuga od al filo delle spade: Lodrisio stesso rimase fra' prigioni. Nė fu di leggiero incremento alla universale letizia la disfatta e presa del Malerba, che essendo stato inviato da Ledrisio subito dopo la presa di Parabiago a occupare il passo dell'Olona con 700 barbute, si scontro ne' vincitori ritornanti a Milano colle spoglie de' vinti e coi proprii morti e feriti sulle carra.

Il giorno dopo tutta Milano uscì a esaminare il sito della battaglia; e nel contemplare le grandi ferite, nel misurare collo sguardo gli sterminati corpi de' giacenti rabbrividi del pericolo poc'anzi passato. Corse poi voce che S. Ambrogio, patrono della città, fosse stato veduto nel bel mezzo della mischia, e a cavallo colla sferza in mano combattesse a favore dei Milanesi incontro a' venturieri. Fatto sta che sul luogo medesimo della battaglia s'eresse una Chiesa, e vi si ordinò un'annua festa per ricordanza dell'accaduto; sicchè il racconto, avendo cogli anni acquistato credito e paese, restò negli animi, nelle pitture e sulle monete ad attestare la semplicità de' tempi e la grandezza dello spavento concepito (1).

Il conflitto di Parabiago, senza dubbio il più forte e sanguínoso di quanti se ne fecero in Italia d'indi alla calata di Carlo vi, dimostrò a sufficienza quanto diversamente si menino le mani per proprio interesse o per l'altrui. Restarono uccisi 'tra una banda e l'altra quattromila cavalieri e molto più fánti: i (1) Cavallero, Racconto storico ecc.

prigionieri, come prima furono spogliati delle armi e de'cavalli, ed ebbero promesso di non guerreggiare più contro a' Visconti, vennero incontanente licenziati; così esigendo il costume già introdotto non senza loro profitto da' mercenarii (1). Lodrisio penò dieci anni in una gabbia di ferro nel castello di S. Colombano: a' soldati vincitori, secondo gli usi, venne distribuita una paga doppia: de' fuggiaschi e liberati altri riparò in Toscana a militarvi nella guerra di Lucca, altri si disperse qua e là per l'Italia, «ed io « ne vidi, dice un contemporaneo, venire a Roma da dugentocinquanta a piedi, quale cógli speroni at« taccati alla coreggia, quale con una targhetta, chi portando un cimiero, e chi cavalcando un ronzino, secondo sua condizione »

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(2).

Quanto al Malerba, la sera stessa della battaglia il signor di Milano se ne volle assicurare, stipendiandolo quasi per forza con certo numero di seguaci (3): ma poco tempo durò egli in riposo. Rottasi guerra nel Canavese tra i signori di Valperga e quei di S. Martino, passò con 500 barbute ai servigi dei primi; e colà le reliquie della famosa compagnia, gridando S. Giorgio! s'impadronivano poco stante a viva forza della terra di Caluso (4).

(1) « More Theutonicorum omnes Theutonici fuerunt relaa xati a Theutonicis, sola promissione tamen habita redeundi, «armis tantum et equis spoliati». Cortus. Hist. VII. 15, narrando un combattimento sotto Montagnana nel 1338.

(2) Fragm. hist. Rom. cit. p. 303.

(3) Petr. Azar. Chron. c. VIII. p. 315 (R. I. S. t. XVI). (4) Petr. Azar. De Bell. Canap. p. 427. segg. (R. I. S. t. XVI). Benvenut. da s. Giorgio p. 464 (t. XXIII). — Annal. Mediolan. c. 112.-Gazatá, Chr. Regiens. p. 56 (t. XVIII).

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A

IV.

Non minor turbine frattanto s'addensava nelle parti della Toscana. Già narrammo come Lucca fosse pervenuta nelle mani di Mastino della Scala. Ora questi, trovandosi aggravato dall'obbligo di reggerla e difenderla, aveva pensato di sbrigarsene, vendendola per doppio trattato nel tempo stesso a' Pisani ed a' Fiorentini. Questi ne accordarono per mezzo d'ambasciatori la compra in duecento cinquantamila fiorini: i Pisani non avendo denari, cinsero la terra di fossi e bertesche, onde conseguirla per forza. Di qui provenne una fierissima guerra tra le due emule città; per conclusione della quale i Fiorentini vinti al di fuori in più battaglie, e consumati al di dentro dalla tirannide del duca d'Atene, e dalle cure segrete del congiurare, dovettero abbandonare a' nemici l'ambita preda. Sciolta però Pisa da ogni timore, affrettossi a licenziare le masnade tedesche; alcune delle quali le erano venute da molte parti spontaneamente agli stipendii, altre le erano state inviate dai principi ghibellini. La pace, accomunandole tutte nella necessità di riscattarsi col ferro dalla miseria e dall'ozio, le royesciò a' danni dell'Italia.

Primo su tutti i capi appariva Guarnieri, il duca di A. 1312 Urslingen, nel quale al vanto delle ardite gesta, all'alterezza e bravura dell'animo, ed alla forza del corpo accresceva pregio la nobiltà de' natali sempre osservata appo i rozzi uomini: ně i suoi antenati erano stranieri a questa Italia; ma Ancona e Spoleto avevano, a quel che sembra, obbedito loro ai tempi della

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