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lanese e il Padovano, i cui signori, facendosi schermo della lontananza, rifiutavano di somministrarle le solite provvigioni (1). Solo una volta il duca Guarnieri accenno di indietreggiare affine di liberare dall' assedio Ettore e i suoi seguaci; ma tosto era ritornato all'usata stazione, mantenendo l'esercito colle prede e colle taglie o avute di queto, o levate a forza dalle squadre qua e là. Finalmente Taddeo dei Pepoli signore di Bologna, essendo stanco di una guerra che senza lasciargli speranza di vittoria gli inferiva tutti i danni d'una sconfitta, per interposizione del Malatesta accordava co' capi della compagnia, che passassero in pace sul suo dominio, avessero durante il tragitto vittovaglie e soldo di sessantamila fiorini; ma, acciocchè niun di loro si sbrancasse per istrada a far bottino o guasto, si marchiassero con marchio apposito tutti i cavalli della compagnia.

Ciò stipulato (ed era il più fitto del verno), la gran 26 genn. compagnia varcò il Lamone, e costeggiando fil filo la rosta che da Ponte Maggiore per Malavolta si stendeva fin sotto le mura di Bologna, entrò nel Modenese. Tosto entratavi volle tornare addietro ; ma fu costretta dalle buone guardie a procedere innanzi (2). Quivi il passaggio de' venturieri fu come di bufera distruggitrice. Invano il Comune di Modena somministrò a dovizia denari, vittovaglie ed ogni altra occorrenza; invano gli abitatori del contado sperarono che l'inermità propria fosse per essere di riparo, se non alla roba, alla vita: il Colombario, il Montale, Mugnano, For

(1) Bronner, cit. §. 22.

(2) Joh. de Bazano cit. 600.- Cortus. hist. cit. L. VIII. c. 10.

migine, Casinalbo, il Curlo, Bazuaria per sette di andarono al ferro e al fuoco; le genti, se giovani e vaghe, segno a lascivie, se attempate, a tormenti : chè straziavanle per avere indizio di tesori nascosti, scempiavanle per trastullo, per esperimento della propria forza. Più iniquo fine era serbato a' villani, a cui fosse mancato il tempo di ricoverarsi nei luoghi forti; e orrendi frutti penzolavano dagli alberi della squallida campagna. Di questo modo la compagnia, traversato il Modenese, si versava nel Reggiano, poi tornava a disertare Ganaceto, Soleria, Carpi, Campogalliano, S. Zenone, Cortile, S. Martino, Camurana e Sorbaria; e già appressandosi al Po minacciava Mantova.

Frattanto i principi di Lombardia radunati a Ferrara in concilio per consultare le vie di riparare a questa rovina, s'accorgevano, ma troppo tardi, quanto manchevoli sieno le fondamenta delle signorie fondate sulla oppressione e sulla ignavia. « I sudditi divezzi dall'armi, avviliți, malcontenti per la gravità de' tributi, per le infamie di chi regge, per la ricordanza dell' ancor fresca libertà, essere anzi di terrore che di giovamento quanto alle masnade mercenarie, e chi vorrà spedirle in campo contro que'camerata, co'quali hanno di comune il mestiere, le passioni e la origine? Essère uopo adunque di comprare vilmente coll'oro la quiete; quand' anche questa viltà debba essere sgabello ad altra maggiore; quand'anche un esercito alle spalle, il Po e le difese apparecchiate alla fronte, il paese sollevato, e tutte le forze della Lombardia in armi debbano rendere, come rendono, al nemico il fuggire, il vincere, il rimanere difficoltosissimo ».

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Compratosi l'accordo, datine gli ostaggi, il duca 42 aprile di Urslingen divise la compagnia per ischiere o insegne, e ad una ad uṇa, a misura che aveva consegnato a ciascuna la sua giusta parte di preda e di moneta, avviolle verso l'Alemagna. Nulladimeno dieci, non sazie ancora di sangue e di bottino, si incamminarono verso la Toscana; otto s'arrestarono a Carpi. Egli poi, il duca Guarnieri, dopo essere stato ospiziato cortesemente in Ferrara da Obizzo d'Este, risali coll'ultima insegna le Alpi Friulane, seco portando a' suoi paesani infinita preda e infiammati discorsi ad accenderli del desiderio d'imitarne la sorte (1). Colà negli infami bagordi, colà nell'ozio e nel giuoco si divoravano il sangue e l'onore, a noi colle torture, a noi co' tradimenti rapito: ned altro omai ci restava, che un vil piangere e soffrire, toltoci per le pazze discordie e ambizioni il modo di sbandire que' scellerati, e coi petti nostri e colle nostre armi scacciarli dalle abbominate case e da' profanati templi.

Restringeremo qui in poche parole le ultime vicende de' capi italiani della gran compagnia. Ettoré da Panigo, rimasto a' soldi di Luchino Visconti, andò con 200 cavalli a Pisa, in vista per trattarvi certe sue nozze, in realtà per tramare co'figliuoli del morto Castruccio contro il conte di Donoratico, chẽ vi signoreggiava. Scoperta la trama e mandato fuori onestamente dalla città, finse di avere abbandonato i servigi di Luchino Visconti, e di essere passato a quelli del signore di Mantova. Sotto questo colore guerreggiò il marchese di Ferrara, e lo sconfisse presso

(1) Bronner cit. § 31.

le sponde della Lenza (1). Finalmente per ordine di Luchino si recò in Garfagnana a concludere una restituzione di alcune castella. Quivi, mentre separato dalla comitiva sta a colloquio con Niccolò da Gragnano, uomo molto potente di quelle parti, gli arrivò da costui tal motto, che senza più, sguainata la spada, Ettore gli calava un fendente sulla testa. Cansollo Nicolò, chinandosi e ricevendo la botta sulla spalla difesa dalla corazzina: nel medesimo istante un suo compagno stramazzava il Panigo d'una lanciata nel petto; e tosto Niccolò, piantandogli lo stocco tra il pettignone e il bellico, lo conficcava al suolo come. morto (1). Pochi giorni innanzi Mazarello da Cusano, reo di avere rivelato al marchese di Ferrara i disegni del signore di Mantova suo padrone, aveva avuto mozzo il capo per mano del carnefice (2).

Tale era il fine de'condottieri italiani della gran compagnia.

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(1) Cròn. di Pisa p. 1014 (R. I. S. t. XV). — Ist. Pistolesi, p. 491. 506 (t. XI).

(2) Ist. Pistolesi, 509. — Cron. Miscell. di Bol. p. 393. (3) Cron. Miscell. di Bol. p. 395 (t. XVIII).

marzo

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