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vivava, e come vile e funesto abbandonarono l'esercizio delle armi (1).

Del resto nè anco i Comuni erano stati restii a valersi de' mercenarii, sia per accertare l'esito di alcuna grande intrapresa, sia per resistere a strapotente nemico, sia per tenere in divozione le città del dominio, o per non consumare i cittadini col peso soverchio delle cavallate (2). S'aggiungevano a ciò le guardie prezzolate dei re angioini e svevi, le masnade de' podestà e dei capitani del popolo, le squadre che si serbavano a stipendio per assicurare il buon ordine interno. S'aggiungevano gli esempi delle milizie cittadine di Milano, di Verona, di Ferrara e di Modena, oppresse dagli stipendiati dei Torriani, dei Visconti, degli Scaligeri, degli Estensi : « a tale essere ridotto l'onore delle repubbliche, che di due venturieri catalani l'uno veniva chiamato podestà di Reggio, all'altro era conferito il comando di due sestieri di Firenze (3): oramai per tanto sangue sparso, per tanto (1) « Dim. Or dimmi; in quelle armate vannovi de’Fioren

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tini a piè?

Risp. Dicoti che solevano usare andarvene assai; ma quando erano presi, perchè sono ricchi e sono temuti, erano fatti ricomperare molti denari, e per questo la città ha veduto che è più utile avere altra gente, e i detti cittadini paghino i denari del loro soldo». Dati Cron. p. 37. (Firenze 1735.)

(2) «In casu necessitatis ponantur potius soldati, quam ca« vallaria; maxime ex eo quia pro cavallariis consueverunt «< destrui domus et bona civitatis et districtus Vercellarum ». Statut. Vercell. f. LIX.

(3) Alb. Mussat. Hist. Aug. L. XIII. Rub. 4. — Memor. Potest. Regiens. p. 1172 (R. I. S. t. VIII.)

intrecciarsi di partiti essersi raddolcite le ire, che già sotto spezie di patria carità rendevano il combattere necessità e passione: oramai i grassi traffichi, le arti, e le lettere rinascenti aprire vie nuove, splendide, certe all'umana attività, senzachè per seguirle si lasci in pericolo la patria; anzi un po' d'oro bastare a sicurarla. Ciò posto, la vita d'un gentiluomo valer forse quella d'un mascalzone, che l'ha venduta a quattro fiorini al mese? Membra fortissime, giornaliero maneggio delle armi, disperato proposito di gente che non ha che perdere, pugnare pe' mercenarii: il vincerli adunque, quanto inutile, malagevole: per lo contrario non bastar ai cittadini due o tre anni ad apprendere la milizia, richiedervisi tutta la vita; e quando havvi tante nuove strade d'impiegarla molto meglio, e quando l'onore della guerra non esiste più, chi la vorrà sciupare a quel modo? Perchè piuttosto a mercenarii comprati con oro, altri mercenarii a prezzo di altro oro non si opporranno, Friulani a Tedeschi, a Catalani Borgognoni? »

Con simiglianti ragionamenti i cittadini si ritraevano a poco a poco dalle ordinarie fazioni di guerra, e serbandosi solamente a'più pericolosi casi, cedevano il luogo ai venturieri. Firenze nel 1260 aveva 800 militi di cavallate, nel 1289 ne aveva 600 (1), e nel 1325 300 soli. Fu un tempo, nel quale Pavia metteva in campo 15,000 fanti e 3000 cavalli: nel 1315, quando cadde sotto il dominio visconteo, il numero de' suoi cavalieri era di 60 (2).

(1) Albert. Mussat. de Gest. Ital. L. VII. R. 11. (2) G. Vill. VI. 79. VII. 130.

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Così stando le cose, ognuno ben vede che due tre esperimenti di battaglie perdute dalle milizie cittadine contro i venturieri dovevano bastare per rimuoverle affatto dall'esercizio della guerra. Le storie di Firenze e di Padova ne mostreranno gli ultimi sforzi operati, benchè infelicemente, dalle milizie cittadine a difesa della libertà: i casi di Milano ne saranno specchio di quello che già poteva l'audacia e l'avarizia dei venturieri al soldo dei principi.

II.

L'intento di fregiarsi a Roma della corona impeA. 1310 riale, e rinstaurare in Italia le ragioni quasi obbliate dell'impero, trasse di qua dalle Alpi Enrico vn di Lucemburgo, già creato re di Germania. Molti fuorusciti d'oltremonti e nostrali, molti signori per obbligo di feudo e per volontario affetto, il seguirono alacremente alla spedizione; ma molto più numerosa fu la gente che a suo nome venne assoldata oltre il Reno, o a mano a mano condotta a stipendio nelle provincie italiche (1). Con siffatto esercito Enrico vii sforzò a divozione la Lombardia, e stabili per vicarii imperiali, Matteo Visconti in Milano, Cangrande della Scala in Verona, Passerino de' Bonaccorsi in Mantova, Ghiberto da Correggio in Parma: quindi per la riviera di Genova si accinse a entrare in Toscana.

Aveva bene la repubblica di Firenze, sempre guelfa e propensa alla casa d'Angiò, preparato le sue difese, coll'invocare aiuto da tutte le città amiche, e crescere il ruolo delle cavallate cittadine a 1,300, e

(1) Ferret. Vicent, hist. IV, 1057.

il numero dei militi stipendiarii a 700 sotto un maresciallo angioino (1). Ma a che le giovò l'avere dentro le mura molto più che doppio esercito del nemico, se mancò l'ardire e l'uso delle armi nei cittadini descritti in fretta a quella milizia? Cinque mesi e mezzo stettero gli imperiali all'assedio di essa città: cinque mesi e mezzo il popolo di Firenze potè contemplare dagli spaldi gli scherni, lo incendio, e la rapina delle proprie sostanze: ma tranne i cavalieri della Banda (2), i quali ne uscivano tratto tratto a duellare a vista delle gentildonne, niuno fu che sortisse a rintuzzare il nemico, o almeno ad inseguirlo, quando in gran silenzio e paura di notte se ne ritirava. Insomma non le armi dei difensori, ma la fame e le intemperie rimossero l'imperatore dall'assedio di Firenze.

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Poco stante Enrico vir moriva d'infermità a Buon- 24 agost convento: e una più vicina potenza e più terribile ai Fiorentini si elevava per mezzo de' venturieri, da esso lui lasciati senza capo e partito.

Era principal consigliere nell' esercito imperiale un Uguccione dalla Faggiuola stato poc'anzi vicario di Enrico a Genova. Una selvaggia rocca presso Rimini era stata culla e retaggio a cotes t'uomo di animo e di corpo gigantesco: ma in breve l'industria e il valor suo l'avevano innalzato al comando della fazione ghibellina della Romagna e della Toscana. Otto volte podestà d'Arezzo, tratto tratto capitano generale d'Imola, di

(1) G. Vill. IX. 43.

(2) Intorno a questi cavalieri ved. sopra Parte I. Capit. VIII. §. VI. pag. 292.

Cesena, di Forli e di Faenza, ora scomunicato ora assolto, or vinto or vincitore, la buona e l'avversa fortuna l'avevano provato esimio guerriero, e indomito parteggiatore (1). A costui Pisa, disperata per la morte dell'imperatore di resistere onoratamente alla lega Guelfa, deliberò di confidare se stessa insieme con un migliaio tra Tedeschi, Brabantesi e Fiamminghi, ́ che allo sciogliersi del campo imperiale sotto un Baldovino da Corneto e un Tomaso da Sette-Fontane erano accorsi a servirla. Uguccione non ebbe appena ricevuto quell'autorità dalle unanimi voci degli atterriti cittadini, che di precaria e limitata ch'ella era, pose mente a renderla perenne ed assoluta. A questo fine tu l'avresti veduto maneggiarsi co' doni, colle promesse, colla supremazia del comando attorno a quei mercenarii, e lusingarli, e farseli divoti; e per acquistarseli affatto, anzichè imporre fine alle guerre, incominciarne una colla vicina Lucca.

Invano questa innocente città s'affrettò a implorare pace, invano i Pisani imposero ad Uguccione di concederla, e licenziare le soldatesche straniere. Uguccione finse bensì di essere pronto a obbedire: ma intantochè il popolo si addormenta sulle false trattative di un accordo col nemico, egli uccide i capi di quei che vogliono la pace, costringe Lucca a ricettare i Ghibellini fuorusciti, e rivolgendo su Pisa le forze da essa medesima assoldate, la sforza a giurargli sommessione. Quindi sotto nuovi pretesti rifà guerra giugno a Lucca, vi risuscita addosso a' Guelfi i Ghibellini testè ripatriati, vi s'introduce a tradimento per una

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(1) Troya, Veltro allegorico.

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