Standosi Dante nella quarta bolgia, vede gl'Indovini, i quali piangendo camminavano, ed avendo il viso volto alle reni, forzati erano andare a ritroso; e Virgilio gli mostra alcuni di quei dannati, tra' quali era Manto tebana, e gli narra come da questa avesse l'origine ed il nome la città di Mantova, In fine seguono il viaggio.
Di nuova pena mi convien far versi, E dar materia al ventesimo canto Della prima canzon ch'è de' sommersi.
Io era già disposto tutto quanto A risguardar nello seoverto fondo, Che si bagnava d'angoscioso pianto:
E vidi gente per lo vallen tondo Venir, tacendo e lagrimando, al passo Che fanno le letane in questo mondo.
Com 'l viso mi scese in lor più basso. Mirabilmente apparve esser travolto Ciascun dal mento al principio del casso: Chè dalle reni era tornato il volto, E indietro venir gli convenia, Perchè 'l veder dinanzi era lor tolto. Forse per forza già di parlasia Si travolse così alcun del tutto; Ma io nol vidi, nè credo che sia.
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto Di tua lezione, or pensa per te stesso Com'io potea tener lo viso asciutto
Quando la nostra imagine da presso Vidi sì torta che 'l pianto degli occhi Le natiche bagnava per lo fesso.
Certo io piangea, poggiato ad un de' rocchi Del duro scoglio, sì che la mia Scorta Mi disse; Ancor se' tu degli altri sciocchi? Qui vive la pietà quando è ben morta. Chi è più scelerato di colui
Ch'al giudicio divin passion porta?
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui S'aperse agli occhi de' Teban, la terra, Per che gridavan tutti: Dove rui, Anfiarao? perchè lasci la guerra? E non restò di ruinare a valle Fino a Minds, che ciascheduno afferra. Mira, c'ha fatto petto delle spalle: Perchè volle veder troppo davante, Dirietro guarda, e fa ritroso calle.
Vedi Tiresia, che mutò sembiante, Quando di maschio femmina divenne, Cangiandosi le membra tutte quante;
E prima poi ribatter le convenne Li duo serpenti avvolti colla verga, Che riavesse le maschili penne.
Aronta è quei che al ventre gli s'atterga. 45 Che nei monti di Luni, dove ronca
Lo Carrarese che di sotto alberga,
Ebbe tra bianchi marmi la spelonca Per sua dimora; onde a guardar le stelle E'l mar non gli era la veduta tronca.
E quella che ricopre le mammelle, Che tu non vedi, con le trecce sciolte, E ha di là ogni pilosa pelle,
Manto fu, che cercò per terre molte; Poscia si pose là dove nacqu' io: Onde un poco mi piace che m'ascolte. Posciachè il padre suo di vita uscio, E venne serva la città di Baco, Questa gran tempo per lo mondo gio. Suso in Italia bella giace un laco Appiè dell'alpe che serra Lamagna Sovra Tiralli, ed ha nome Benace.
Per mille fonti, credo, e più, si bagna, Tra Garda e Val Camonica, Pennino Dell'acqua che nel detto lago stagna,
Luogo è nel mezzo là dove 'l Trentino Pastore, e quel di Brescia, e'l Veronese Segnar potria, se fesse quel cammino.
Siede Peschiera, bello e forte arnese Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, Ove la riva intorno più discese.
Ivi convien che tutto quanto caschi Ciò che in grembo a Benaco star non può, E fassi fiume giù pei verdi paschi.
Tosto che l'acqua a correr mette co,
Non più Benaco, ma Mincio si chiama Fino a Governo, dove cade in Po.
Non molto ha corso che trova una lama, Nella qual si distende e la 'mpaluda. E suol di state talora esser grama. Quindi passando la vergine cruda Vide terra nel mezzo del pantano Senza cultura, e d'abitanti nuda.
Là, per fuggire ogni consorzio umano Ristette coi suoi servi a far sue arti, E visse, e vi lasciò suo corpo vano. Gli uomini poi, che intorno erano sparti S'accolsero a quel luogo ch'era forte Per lo pantan ch'avea da tutte parti:
Fer la città sovra quell'ossa morte; E per colei, che il luogo prima elesse, Mantova l'appellâr senz'altra sorte. Già fur le genti sue dentro più spesse, Prima che la mattia di Casalodi Da Pinamonte inganno ricevesse. Però t'assenno che, se tu mai odi Originar la mia terra altrimenti, La verità nulla menzogna frodi.
Ed io: Maestro, i tuoi ragionamenti
Mi son sì certi, e prendon sì mia fede, Che gli altri mi sarian carboni spenti.
Ma dimmi della gente che procede Se tu ne vedi alcun degno di nota: Chè solo a ciò la mia mente rifiede.
Allor mi disse: Quel, che dalla gota Porge la barba in sulle spalle brune, Fu, quando Grecia fu di maschi vota
Si che appena rimaser per le cune, Augure, e diede il punto con Calcanta In Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e cosí 'l canta L'alta mia Tragedía in alcun loco: Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta, Quell'altro che ne'fianchi è così poco, Michele Scotto fu, che veramente Delle magiche frode seppe il giuoco. Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente,
Che avere inteso al cuoio ed allo spago Ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste che lasciaron l'ago, La spola e'l fuso, e fecersi indovine; Fecer malie con erbe e con imago.
Ma vienne omai, chè già tiene 'l confine D'ambedue gli emisperi, e tocca l'onda Sotto Sibilia Caino e le spine.
E già iernotte fu la luna tonda; Ben ten dee ricordar, chè non ti nocque Alcuna volta per la selva fonda.
Si mi parlava, ed andavamo introcque.
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