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Rimembriti di Pier da Medicina,
Se mai torni a veder lo dolce piano,
Che da Vercello a Marcabò dichina.

E fa saper a' duo miglior di Fano,
A messer Guido ed anche ad Angiolello,
Che, se l'antiveder qui non ê vano,
Gittati saran fuor di lor vasello,
E mazzerati presso alla Cattolica,
Per tradimento d' un tiranno fello.
Tra l'isola di Cipri e di Maiolica
Non vide mai sì gran fallo Nettuno,
Non da Pirati, non da gente Argolica.

Quel traditor che vede pur con l'uno,
E tien la terra, che tal è qui meco
Vorrebbe di vedere esser digiuno,
Farà venirli a parlamento seco;
Poi farà sì, ch' al vento di Focara
Non farà lor mestier voto nè preco.

Ed io a lui: Dimostrami e dichiara,
Se vuoi ch' io porti su di te novella,
Chi è colui dalla veduta amara.

Allor pose la mano alla mascella
D'un suo compagno, e la bocca gli aperse
Gridando: Questi è desso, e non favella:

Questi, scacciato, il dubitar sommerse
In Cesare, affermando che il fornito
Sempre con danno l'attender sofferse.
O quanto mi pareva sbigottito,
Con la lingua tagliata nella strozza,
Curio, ch'a dicer fu così ardito!

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Ed un ch' avea l' una e l' altra man mozza,
Levando i moncherin per l'aura fosca,
Si che 'l sangue facea la faccia sozza,
Gridò: Ricorderàti anche del Mosca,
Che dissi, lassò! Capo ha cosa fatta:
Che fu il mal seme della gente tosca.

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Ed io v'aggiunsi: E morte di tua schiatta;

Perch' egli accumulando duol con duolo,

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Sen gio come persona trista e matta.

Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,

E vidi cosa ch' io avrei paura,
Sanza più prova, di contarla solo;

Se non che conscienzia m' assicura

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La buona compagnia che l'uom francheggia,
Sotto l'osbergo del sentirsi pura.

I' vidi certo, ed ancor par ch' io'l veggia,
Un busto senza capo andar, si come
Andavan gli altri della trista greggia.

E il capo tronco tenea per le chiome
Pesol con mano a guisa di lanterna,
E quei mirava noi, e dicea: 0 me!

Di sè faceva a sè stesso lucerna,
Ed eran due in uno, ed uno in due:
Com'esser può, Quei sa che si governa.

Quando diritto appiè del ponte fue,
Levò il braccio alto con tutta la testa
Per appressarne le parole sue

Che furo: Or vedi la pena molesta
Tu che, spirando, vai veggendo i morti:
Vedi s' alcuna è grande come questa.

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E perchè tu di me novella porti,

Sappi ch'i' son Bertram dal Bornio, quelli

Ch' al Re Giovane diedi i mai conforti.

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Io feci 'l padre e 'l figlio in sè ribelli:
Achitofel non fe più d'Absalone
E di David co' malvagi pungelli.
Perch'io partii così giunte persone,
Partito porto il mio cerebro, lasso!
Dal suo principio, ch'è 'n questo troncone.
Così s'osserva in me lo contrappasso.

CANTO VENTESIMONONO

ARGOMENTO

Seguendo i Poeti il loro cammino passano alla decima ed ultima bolgia dell'ottavo cerchio, dove stanno i Falsatori, la di cui pena è l' esser cruciati da infiniti malori e pestilenze; ed il Poeta tratta in primo luogo degli Alchimisti, che falsarono il metallo, i quali erano tormentati dall' orrendo morbo della lebbra.

La molta gente e le diverse piaghe
Avean le luci mie si inebriate,
Che dello stare a piangere eran vaghe.

Ma Virgilio mi disse: Che pur guate?
Perchè la vista tua pur si soffolge
Laggiù tra l'ombre triste smozzicate?

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Tu non hai fatto sì all'altre bolge:
Pensa, se tu annoverar le credi,
Che miglia ventiduo la valle volge;

E già la luna è sotto i nostri piedi:
Lo tempo è poco omai che n'è concesso,
Ed altro è da veder che tu non vedi.
Se tu avessi, rispos' io appresso,
Atteso alla cagion perch' io guardava,
Forse m'avresti ancor lo star dimesso.

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Parte sen gia, ed io retro gli andava,
Lo Duca, già facendo la risposta,
E soggiugnendo: Dentro a quella cava,
Dov' io teneva gli occhi si a posta,
Credo che un spirto del mio sangue pianga 20
La colpa che laggiù cotanto costa.

Allor disse'l Maestro: Non si franga
Lo tuo pensier da qui'nnanzi sovr' ello:
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;
Ch'io vidi lui a piè del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito,
E udi' 'l nominar Geri del Bello.

Tu eri allor si del tutto impedito
Sovra colui che già tenne Altaforte,
Che non guardasti in là, si fu partito.
O Duca mio, la violenta morte
Che non gli è vendicata ancor, diss'io,
Per alcun che dell' onta sia consorte,

Fece lui disdegnoso; onde sen gio
Senza parlarmi, sì com' io stimo;
Ed in ciò m' ha el fatto a sè più pio.

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Cosi parlammo insino al luogo primo Che dello scoglio l'altra valle mostra, Se più lume vi fosse, tutto ad imo.

Quando noi fummo in su l'ultima chiostra 40
Di Malebolge, sì che i suoi conversi
Potean parere alla veduta nostra,
Lamenti saettaron me diversi
Che di pietà ferrati avean gli strali;
Ond' io gli orecchi colle man copersi.
Qual dolor fora, se degli spedali

Di Valdichiana tra 'I luglio e 'l settembre,
E di Maremma e di Sardigna i mali

Fossero in una fossa tutti insembre;
Tal era quivi, e tal puzzo n'usciva,
Qual suole uscir delle marcite membre.

Noi discendemmo in su l'ultima riva
Del lungo scoglio, pur da man sinistra,
E allor fu la mia vista più viva

Giu ver lo fondo, dove la ministra
Dell' alto Sire, infallibll giustizia,
Punisce i falsator che qui registra.
Non credo ch'a veder maggior tristizia
Fosse in Egina il popol tutto infermo,
Quando fu l'aer sì pien di malizia,

Che gli animali, infino al picciol vermo,
Cascaron tutti, e poi le genti antiche,
Secondo che i poeti hanno per fermo,
Si ristorar di seme di formiche;
Ch' era a veder per quella oscura valle
Languir gli spirti per diverse biche.

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