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Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Julia, Marzia e Corniglia,
E sole in parte vidi il Saladino.

Poi che innalzai un poco più le ciglia,
Vidi il Maestro di color che sanno,
Seder tra filosofica famiglia.

Tutti l'ammiran, tutti onor gli fanno.
Quivi vid' io e Socrate e Platone,

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Che innanzi agli altri più presso gli stanno. 135 Democrito, che'l mondo a caso pone,

Diogenes, Anassagora e Tale,

Empedocles, Eraclito e Zenone:

E vidi il buon accoglitor del quale,

Dioscoride dico; e vidi Orfeo,
Tullio e Lino e Seneca morale:
Euclide geométra e Tolommeo,
Ippocrate, Avicenna e Galieno,
Averrois, che il gran comento feo.

Io non posso ritrar di tutti appieno,
Perocchè si mi caccia il lungo tema,
Che molte volte al fatto il dir vien meno.
La sesta compagnia in duo si scema:

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Per altra via mi mena il savio Duca,

Fuor della queta nell'aura che trema;

E vengo in parte, ove non è che luca.

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CANTO QUINTO.

ARGOMENTO.

Entrato Dante nel secondo cerchio dell' Inferno, trova Minos che stava alla giudicatura dell' anime dannate. Ode poscia il pianto dei Lussuriosi, i quali in un tenebroso aere venivano rapiti furiosamente e trasportati dal vento; ed il Poeta parlando tra questi con Francesca da Rimini e Paolo di lei cognato, cadde per la pietà a terra tramortito.

Così discesi del cerchio primaio
Giù nel secondo che men loco cinghia,
E tanto più dolor che pugne a guaio.
Stavvi Minos orribilmente, e ringhia:
Esamina le colpe nell'entrata,
Giudica e manda, secondo che avvinghia.
Dico, che quando l'anima mal nata
Li vien dinanzi, tutta si confessa;
E quel conoscitor delle peccata

Vede qual loco d'inferno è da essa:
Cignesi colla coda tante volte,

Quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
Dicono e odono, e poi son giù volte.

O tu, che vieni al doloroso ospizio,
Gridò Minos a me, quando mi vide,
Lasciando l'atto di cotanto uffizio,

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Guarda com'entri, e di cui tu ti fide:
Non t'inganni l'ampiezza dell' entrare.
E il Duca mio a lui: Perchè pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
Vuolsi così colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare.
Ora incomincian le dolenti note

A farmisi sentire: or son venuto

Là dove molto pianto mi percote.

I'venni in loco d' ogni luce muto;

Che mugghia come fa mar per tempesta,
Se da contrari venti è combattuto.

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La bufera infernal, che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina,
Voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti alla ruina,
Quivi le strida, il compianto e il lamento, 35
Bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi che a così fatto tormento
Eran dannati i peccator carnali,
Che la ragion sommettono al talento.
E come gli stornei ne portan l'ali,

Nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
Cosi quel fiato gli spiriti mali:

Di qua, di là, di giù, di su gli mena;
Nulla speranza gli conforta mai,
Non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
Facendo in aer di sè lunga riga,
Così vid' io venir, traendo guai,

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Ombre portate dalla detta briga:
Perch' io dissi: Maestro, chi son quelle
Genti che l'aer nero si gastiga ?

La prima di color, di cui novelle
Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta,
Fu imperatrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu si rotta,
Che libito fe licito in sua legge,
Per torre il biasmo, in che era condotta.
Ell'è Semiramis, di cui si legge,

Che sugger dette a Nino, e fu sua sposa;
Tenne la terra, che 'l Soldan corregge.

L'altra è colei, che s'ancise amorosa,
E ruppe fede al cener di Sicheo;
Poi è Cleopatras lussuriosa.

Elena vedi, per cui tanto reo

Tempo si volse, e vedi il grande Achille
Che con amore al fine combatteo.

Vedi Paris, Tristano..... e più di mille
Ombre mostrommi, e nominolle a dito,
Ch'amor di nostra vita dipartille.

Poscia ch'i' ebbi il mio Dottore udito
Nomar le donne antiche e i cavalieri,
Pietà mi vinse e fui quasi smarrito.
I' cominciai: Poeta, volentieri
Parlerei a que' duo che insieme vanno,
E paion sì al vento esser leggieri.

Ed egli a me: Vedrai quando saranno

Più presso a noi; e tu allor li prega

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Per quell' amor che i mena; e quei verranno.

Si tosto come il vento a noi piega, Mossi la voce: O anime affannate, Venite a noi parlar, s' altri nol niega.

Quali colombe dal disio chiamate,
Con l'ali aperte e ferme, al dolce nido
Volan, per l'aer dal voler portate;

Cotali uscir della schiera ov'è Dido,
A noi venendo per l'aer maligno,
Si forte fu l'affettuoso grido.

O animal grazioso e benigno,
Che visitando vai per l'aer perso

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Noi che tignemmo il mondo di sanguigno; 90
Se fosse amico il Re dell' universo.
Noi pregheremmo lui per la tua pace,
Poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar ti piace
Noi udiremo e parleremo a vui,
Mentre che 'l vento, come fa, si tace.
Siede la terra, dove nata fui,

Sulla marina dove il Po discende'
Per aver pace co' seguaci sui.

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Amor, che al cor gentil ratto s'apprende, 100 Prese costui della bella persona

Che mi fu tolta, e'l modo ancor m' offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona,

Mi prese del costui piacer si forte,

Che, come vedi, ancor non m'abbandona. 105
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi in vita ci spense.
Queste parole da lor ci fur porte.

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