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Perchè, s' ella si piega assai o poco, Segue la forza; e così queste fero, Potendo ritornare al santo loco.

Se fosse stato il lor volere intero,
Come tenne Lorenzo in su la grada,
E fece Muzio alla sua man severo,

Così l'avria ripinte per la strada
Ond' eran tratte, come furo sciolte;
Ma così salda voglia è troppo rada.
E per queste parole, se ricolte
L'hai come dèi, è l'argemento casso,
Che t'avria fatto noia ancor più volte.
Ma or ti s' attraversa un altro passo
Dinanzi agl' occhi tal, che per te stesso
Non n' usciresti, pria saresti lasso.

lo t'ho per certo nella mente messo,
Ch' alma beata non poria mentire,
Perocchè sempre al primo vero è presso:
E poi potesti da Piccarda udire,

Che l'affezion del vel Gostanza tenne;
Sì ch' ella par qui meco contradire.
Molte flate già, frate, addivenne
Che, per fuggir periglio, contro a grato
Si fe di quel che far non si convenne;

Come Almeone che, di ciò pregato
Dal padre suo, la propria madre spense:
Per non perder pietà si fe spietato.

A questo punto voglio che tu pense
Che la forza al voler si mischia, e fanno
Si che scusar non si posson le offense.

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Voglia assoluta non consente al danno,
Ma consentevi in tanto, in quanto teme,
Se si ritrae, cadere in più affanno.

Però, quando Piccarda quello spreme,
Della voglia assoluta intende, ed io
Dell' altra, sì che ver diciamo insieme.

Cotal fu l'ondeggiar del santo rio,
Ch' uscì del fonte ond' ogni ver deriva:
Tal pose in pace uno ed altro disio.

O amanza del primo amante, o diva, Diss' io appresso, il cui parlar m' inonda E scalda sì, che più e più m'avviva,

Non è l'affezion mia tanto profonda, Che basti a render voi grazia per grazia; Ma Quei che vede e puote a ciò risponda.

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lo veggo ben che giammai non si sazia Nostro intelletto, se il Ver non lo illustra, 125 Di fuor dal qual nessun vero si spazia.

Posasi in esso, come fera in lustra,
Tosto che giunto l'ha: e giugner puollo;
Se non, ciascun disio sarebbe frustra.

Nasce per quello, a guisa di rampollo,
Appiè del vero il dubbio: ed è natura,
Ch' al sommo pinge noi di collo in collo.
Questo m'invita, questo m'assicura,
Con riverenza, Donna, a dimandarvi
D' un' altra yerità che m'è oscura.

Io vo' saper se l'uom può soddisfarvi

A voti manchi si con altri beni,
Ch'alla vostra stadera non sien parvi.

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Beatrice mi guardò con gli occhi pieni
Di faville d'amor, così divini,

Che, vinta mia virtù, diedi le reni,
E quasi mi perdei con gli occhi chini

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CANTO QUINTO.

ARGOMENTO.

Beatrice parla della natura ed essenza del Voto, e risponde al quesito dal Poeta dianzi proposto le, dichiarando in qual maniera soddisfar si possa ai voti non adempiuti. Salgono poscia amendue in Mercurio, ove Dante scorge un grandissimo numero di Spiriti, ad uno dei quali fa egli alcune dimande.

S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
Di là dal modo che in terra si vede,
Si che degli occhi tuoi vinco il valore,
Non ti maravigliar, chè ciò procede
Da perfetto veder che come apprende,
Così nel bene appreso muove il piede.
lo veggio ben sì come già risplende
Nello intelletto tuo l'eterna luce,
Che vista sola sempre amore accende;

E s'altra cosa vostro amor seduce,
Non è, se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce.

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Tu vuoi saper se con altro servigio, Per manco voto, si può render tanto, Che l'anima sicuri di litigio.

Si cominciò Beatrice questo canto;

E sì com'uom che suo parlar non spezza,
Continuò cosi'l processo santo:

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Lo maggior don, che Dio per sua larghezza Fesse creando, e alla sua bontate

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Più conformato, e quel ch'ei più apprezza,

Fu della volontà la libertate,

Di che le creature intelligenti,
E tutte e sole furo e son dotate.

Or ti parrà se tu quinci argomenti,
L'alto valor del voto, s'è sì fatto,
Che Dio consenta quando tu consenti;
Chè, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,
Vittima fassi di questo tesoro,

Tal qual io dico, e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c'hai offerto,
Di mal tolletto vuoi far buon lavoro.
Tu se' omai del maggior punto certo;
Ma perchè Santa Chiesa in ciò dispensa,
Che par contra lo ver ch' io t'ho scoverto,
Convienti ancor sedere un poco a mensa,
Perocchè il cibo rigido c'hai preso
Richiede ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel ch'io ti paleso,
E fermalvi entro, chè non fa scienza,
Senza lo ritenere, avere inteso.

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Due cose si convengono all'essenza
Di questo sacrificio: l'una è quella
Di che si fa; l'altr'è la convenenza.
Quest'ultima giammai non si cancella,
Se non servata, ed intorno di lei
Si preciso di sopra si favella:
Però necessitato fu agli Ebrei

Pur l'offerere, ancor che alcuna offerta
Si permutasse, come saper dèi.

L'altra, che per materia t'è aperta,
Puote bene esser tal, che non si falla,
Se con altra materia si converta.

Ma non trasmuti carco alla sua spalla
Per suo arbitrio alcun, senza la volta
E della chiave bianca e della gialla;
Ed ogni permutanza credi stolta,
Se la cosa dimessa in la sorpresa,
Come il quattro nel sei, non è raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa
Per suo valor, che tragga ogni bilancia,
Soddisfar non si può con altra spesa.

Non prendano i mortali il voto a ciancia:
Siate fedeli, ed a ciò far non bieci,
Come fu Jepte alla sua prima mancia;

Cui più si convenia dicer: Mal feci,
Che, servando, far peggio; e così stolto
Ritrovar puoi lo gran duca de' Greci,
Onde pianse Ifigenia il suo bel volto,
E fe pianger di sè e i folli e i savi,
Ch'udir parlar di così fatto colto:

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