E nel suo giro tutta non si volse Prima ch' un'altra d' un cerchio la chiuse,
E moto a moto, e canto a canto colse; Canto, che tanto vince nostre Muse, Nostre sirene, in quelle dolci tube, Quanto primo splendor quel ch' e' rifuse. Come si volgon per tenera nube
Due archi paralleli e concolori, Quando Giunone a sua ancella jube,
Nascondo di quel d'entro quel di fuori, A guisa del parlar di quella vaga, Ch' amor consunse come Sol vapori; E fanno qui la gente esser presaga,
Per lo patto che Dio con Noè pose,
Del mondo, che giammai più non s'allaga: Così di quelle sempiterne rose
Volgeansi circa noi le duo ghirlande,
E sì l'estrema all' intima rispose.
Poichè 'l tripudio e l'altra festa grande,
Si del cantare e si del fiammeggiarsi
Luce con luce gaudiose e blande. Insieme a punto ed a voler quetȧrsi,
Pur come gli occhi, ch' al piacer che i muove Conviene insieme chiudere e levarsi;
Del cuor dell' una delle luci nuove Si mosse voce, che l'ago alla stella Parer mi fece in volgermi al suo dove;
E cominciò: L'amor che mi fa bella Mi tragge a ragionar dell' altro duca, Per cui del mio sì ben ci si favella.
Degno è che dov'è l'un l'altro s' induca,
Si che com' elli ad una militaro, Così la gloria loro insieme luca. L'esercito di Cristo, che si caro Costò a riarmar, dietro all' insegna Si movea tardo, sospeccioso e raro; Quando lo 'mperador che sempre regna, Provvide alla milizia ch' era in forse, Per sola grazia, non per esser degna; E, com'è detto, a sua sposa soccorse Con duo campioni, al cui fare, al cui dire Lo popol disviato si raccorse.
In quella parte, ove surge ad aprire Zeffiro dolce le novelle fronde,
Di che si vede Europa rivestire,
Non molto lungi al percuoter dell' onde,
Dietro alle quali, per la lunga foga,
Lo Sol tal volta ad ogni uom si nasconde, Siede la fortunata Callaroga,
Sotto la protezion del grande scudo, In che soggiace il leone e soggioga.
Dentro vi nacque l'amoroso drudo Della fede cristiana, il santo atlèta, Benigno a' suoi ed a' nimici crudo;
E come fu creata, fu repleta Si la sua mente di viva virtute, Che nella madre lei fece profeta.
Poichè le sponsalizie fur compiute Al sacro fonte intra lui e la Fede, U' si dotar di mutua salute:
La donna, che per lui l'assenso diede, Vide nel sonno il mirabile frutto Ch' uscir dovea di lui e delle rede:
E perchè fosse, quale era, in costrutto, Quinci si mosse spirito a nomarlo Del possessivo, di cui era tutto. Domenico fu detto; ed io ne parlo Si come dell' agricola, che CRISTO Elesse all'orto suo per aiutarlo.
Ben parve messo e famigliar di CRISTO, Chè il primo amor che in lui fu manifesto, Fu al primo consiglio che diè CRISTO. Spesse fiate fu tacito e desto
Trovato in terra dalla sua nutrice, Come dicesse: lo son venuto a questo. O padre suo veramente Felice!
O madre sua veramente Giovanna, Se interpretata val come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo s' affanna 80 Diretro ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna, In picciol tempo gran dottor si feo,
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo; Ed alla sedia, che fu già benigna, Più a' poveri giusti, non per lei, Ma per colui che siede e che traligna, Non dispensare o due o tre per sei,
Non la fortuna di primo vacante,
Non decimas, quæ sunt pauperum Dei,
Addimando; ma contra il mondo errante Licenzia di combatter per lo seme, Del qual ti fascian ventiquattro piante. Poi con dottrina e con volere insieme Con l'uficio apostolico si mosse, Quasi torrente ch' alta vena preme;
E negli sterpi eretici percosse L'impeto suo, più vivamente quivi, Dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi, Onde l'orto cattolico si riga, Si che i suoi arbuscelli stan più vivi. Se tal fu l'una rota della biga,
In che la Santa Chiesa si difese,
E vinse in campo la sua civil briga, Ben ti dovrebbe assai esser palese L'eccellenza dell' altra, di cui Tomma Dinanzi al mio venir fu si cortese..
Ma l'orbita, che fe la parte somma Di sua circonferenza, è derelitta, Si ch'è la muffa dov' era la gromma.
La sua famiglia che si mosse dritta Co' piedi alle sue orme, è tanto volta, Che quel dinanzi a quel diretro gitta; E tosto s'avvedrà della riccolta Della mala cultura, quando il loglio Si lagnerà che l'arca gli sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
Nostro volume, ancor troveria carta
U' leggerebbe: I' mi son quel ch'io soglio:
Ma non fia da Casal, nè d' Acquasparta; Là onde vegnon tali alla scrittura, Ch' uno la fugge e l'altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura Da Bagnoregio, che ne' grandi ufici Sempre posposi la sinistra cura.
Illuminato ed Agostin son quici, Che fur de' primi scalzi poverelli, Che nel capestro a Dio si fero amici. Ugo da Sanvittore e qui con elli, E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano, Lo qual giù luce in dodici libelli;
Natan profeta, e il metropolitano Crisostomo, ed Anselmo, e quel Donato Ch' alla prim' arte degnò poner mano. Rabano è qui, e lucemi da lato Il Calavrese abate Gioacchino, Di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino Mi mosse la infiammata cortesia Di fra Tommaso, e il discreto latino,
E mosse meco questa compagnia.
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