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Poi altre vanno via senza ritorno, Altre rivolgon sè, onde son mosse Ed altre roteando fan soggiorno;

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Tal modo parve a me che quivi fosse In quello sfavillar che insieme venne, Si come in certo grado si percosse;

E quel che presso più ci si ritenne, Si fe sì chiaro, ch'io dicea pensando: lo veggio ben l'amor che tu m' accenne.

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Ma quella, ond'io aspetto il come e il quando

Del dire e del tacer, si sta; ond' io

Contra il disio fo ben ch' io non dimando.

Perch' ella, che vedeva il tacer mio

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Nel veder di Colui che tutto vede,

Mi disse: Solvi il tuo caldo disio.

Ed io incominciai: La mia mercede

Non mi fa degno della tua risposta,
Ma per colei che il chieder mi concede,
Vita beata, che ti stai nascosta
Dentro alla tua letizia, fammi nota
La cagion che si presso mi t'accosta:
E di' perchè si tace in questa ruota
La dolce sinfonia di Paradiso,
Che giù per l'altre suona si devota.

Tu hai l'udir mortal, sì come il viso,
Rispose a me: però qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha riso.
Giù per li gradi della scala santa

Discesi tanto, sol per farti festa

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Col dire, e con la luce che mi ammanta;

Nè più amor mi fece esser più presta,
Che più e tanto amor quinci su ferve,
Si come il fiammeggiar ti manifesta.

Ma l'alta carità, che ci fa serve
Pronte al consiglio che il mondo governa,
Sorteggia qui, si come tu osserve.

Io veggio ben, diss' io, sacra lucerna,
Como libero amore in questa corte
Basta a seguir la provvidenza eterna;

Ma quest' è quel, ch' a cerner mi par forte, Perchè predestinata fosti sola

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A questo uficio tra le tue consorte.
Non venni prima all' ultima parola,

Che del suo mezzo fece il lume centro,
Girando sè come veloce mola.

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Poi rispose l'amor che v'era dentro: Luce divina sovra me s'appunta, Penetrando per questa ond' io m'inventro.

La cui virtù, con mio veder congiunta, Mi leva sovra me tanto, ch' io veggio La somma Essenzia, della quale è munta. Quinci vien l'allegrezza ond' io fiammeggio, Perchè alla vista mia, quant' ella è chiara, La carità della fiamma pareggio.

Ma quell' alma nel ciel che più si schiara, Quel serafin che in Dio più l'occhio ha fisso, Alla dimanda tua non soddisfara;

Perocchè si s' inoltra nell' abisso Dell'eterno statuto quel che chiedi, Che da ogni creata vista è scisso.

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E al mondo mortal, quando tu riedi, Questo rapporta, sì che non presumma A tanto segno più muover li piedi.

La mente che qui luce, in terra fumma; 100 Onde riguarda come può laggiue

Quel che non puote perchè 'l ciel l'assumma.
Si mi prescrisser le parole sue,

Ch' io lasciai la quistione, e mi ritrassi
A dimandarla umilmente chi fue.

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Tra' duo liti d'Italia surgon sassi,

E non molto distanti alla tua patria,
Tanto, che i tuoni assai suonan più bassi,
E fanno un gibbo, che si chiama Catria,

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Disotto al quale è consecrato un ermo,
Che suol esser disposto a sola latria.
Così ricominciommi il terzo sermo;
E poi, continuando, disse: Quivi
Al servizio di Dio mi fei si fermo,
Che pur con cibi di liquor d' ulivi,
Lievemente passava e caldi e gieli,
Contento ne' pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
Fertilemente, ed ora è fatto vano,
Si che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu' io Pier Damiano,

E Pietro Peccator fui nella casa
Di nostra Donna in sul lito adriano.

Poca vita mortal m' era rimasa,

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Quand'io fu' chiesto e tratto a quel cappello, 125 Che pur di male in peggio si travasa.

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Venne Cephas, e venne il gran vasello
Dello Spirito Santo, magri e scalzi,
Prendendo il cibo di qualunque ostello.

Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
Li moderni pastori, e chi li meni,
Tanto son gravi, e chi dirietro gli alzi.
Cuopron de' manti lor gli palafreni,
Sì che duo hestie van sott' una pelle:
O pazienza, che tanto sostieni!

A questa voce vid' io più fiammelle
Di grado in grado scendere e girarsi,
Ed ogni giro le facea più belle.

Dintorno a questa vennero, e fermarsi,
E fero un grido di sì alto suono,
Che non potrebbe qui assomigliarsi:
Nè io lo intesi, sì mi vinse il tuono.

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CANTO VENTESIMOSECONDO.

ARGOMENTO.

San Benedetto parla al Poeta, e gli dice, ch'egli avea portato il nome di Gesù Cristo sul monte Cassino: oltre di ciò gli dà contezza di alcuni altri Beati che ivi erano. Poi Dante colla sua guida sale all'ottava sfera nel segno de' Gemini, onde si rivolse a riguardare i sette Pianeti inferiori, ed il globo terrestre.

Oppresso di stupore alla mia guida Mi volsi, come parvol che ricorre Sempre colà dove più si confida.

E quella, come madre che soccorre Subito al figlio pallido ed anelo

Con la sua voce che il suol ben disporre,

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Mi disse: Non sa' tu che tu se' in cielo ?
E non sa' tu che il cielo è tutto santo,
E ciò che ci si fa vien da buon zelo ?
Come t'avrebbe trasmutato il canto,

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E io ridendo, mo pensar lo puoi,
Poscia che il grido t'ha mosso cotanto;
Nel qual, se inteso avessi i preghi suoi,
Già ti sarebbe nota la vendetta,

La qual vedrai innanzi che tu muoi.

La spada di quassù non taglia in fretta,

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Nè tardo, ma che al parer di colui,
Che desiando o temendo l'aspetta.

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