E nel 1495, anno comune, il dì xi di marzo fu appunto nel mercoledì delle tempora di primavera. Prego V. S. Ill.ma d' instruirmi sopra di ciò: e la sua instruzione mi servirà di norma nel giudicar di altre date nelle edizioni Venete, Fiorentine, Pisane, Reggiane, ecc. (1). Ho l'onore di essere Di V. S. 111. ma Torino, 16 di maggio 1795. Dev.mo Obbl.mo Serv. ed Amico Giuseppe B. Vernazza di Freney. (fuori) All' Ill.mo Signore, Sig.r P.rone Col.mo (1) La lettera del Vernazza non occupa che il recto della 1a carta. Le altre 3 pagine bianche furono riempite dal Morelli con appunti, che doveano servire per la risposta ai quesiti postigli dal Vernazza. Trascriviamo qui i piú notevoli o decifrabili : <<<Bartolomaei Comini Oratio in funere Joannis Dedi Veneti scribae maximi. In fine: Venetiis per Gregorium da Gregoriis, MDX die XXII Januarii, in 4". Al Diedo fu eletto successore Alvise Dardano addì 22 decembre 1510. Pare dunque che l'Orazione sud. debba riputarsi stampata 22 Gennaio 1510, more Veneto. Egnatii Oratio in funere Nicolai Ursini, si dice in fine: Acta Venetiis pridie. Cal. Feb. M.D. IX, e nel monumento postogli ai SS. Gio. e Paolo si dice morto MDIX. Dall' Ist[oria] del Bembo Latina, p. 355, si vede morto VII. Cal. Febr. 1510. Marsilii Ficini Epistolae, dicendo XI Marzo 1495 corrispondentemente all'anno comune, non provano in contrario, perchè anche allora si avrà cominciato a dire 1495 sino dal primo giorno di Marzo, come si fa oggidì ab immemorabili. Anno cominciato a Fiorenza e a Pisa, poi ridotto all'uso comune nel 1750. Moreni, Bibliogr. Toscana, I. 518. A Venezia cessò il p.o di Marzo, cessata la Repubblica. Anno cominciato diversamente in Italia: Vedi Meo, Apparato agli Annali di Napoli; e Annali stessi riferiti nel Giornale di Padova, ottobre 1808, p. 57. Muratori, Dissertazioni Latine, per varie città. Del more Veneto, vedi Galliciolli, VIII, 112. Antonii Maii Canon. Veron. Oratio in funere Marci Cornelii Card. Ep. Veronensis. Venetiis, in aedibus Joannis Tacuini de Tridino, 1525, mense januario, 4°. Il card. Cornaro morì 7 Kal. Aug. 1524: pare dunque che sia stampata nel Gennaio 1525 more communi, benchè potrebbe essere stampata nel Gennaio 1526 more communi. Istoria di Lionardo Aretino stampata a Ven. 12 Feb. 1476, sotto il doge Pietro Mocenigo, che nel 1476 more Veneto era morto, essendo morto nel Marzo 1476 more communi. Istoria di Poggio stampata nel 1476 marzo 8, sotto il doge Vendramin. Vedi Panzer, III, p. 117. Diodori Siculi Bibliotheca, f.o Ven. 1476, pridie Cal. Febr. doge Vendramino, è more Veneto, perchè 1476 anno comune era doge Mocenigo. Stobeo, a Trincavello, 4o Ven., in fine ha Mense Februarii 1535, sul frontispizio ha 1536. La dedic.a del Trincavello al Bembo ha pridie Cal. Febr. La risposta del Bembo (Lib. VI Epistol.) è Idibus Febr. 1536, sicchè pare che il 1535 è di fatto more Veneto. Qui a Venezia alla Cancelleria cominciano la Indizione il primo di settembre e li Nodari il Gennaro seguente. Così p. 177 del mio Ms. Cronaca document. antic. Venez. f.o Indizione IIII in decembre 1096. Vedi Epitafio del Doge Vitale Michele nel Sansovino mio ms. p. 18. [E quasi riassumendo la risposta da darsi al Vernazza:] Χ. Florentiae 1471 ed è 1472 AUDIFFREDI, Pag. 258, e nella 259 4 di luglio '95. Ringrazio V. S. per le instruzioni al solito giustissime che mi ha favorite circa le date tipografiche more Veneto. Se l'Audifredi (1) avesse badato a questo costume avrebbe risparmiate le ciancie che fa a pag. 258 e 259 le quali, mediante l'êra Fiorentina, si risolvono in nulla. (Segue il testo delle lettere). More Veneto. CARLO FRATI. Per lo più troverà more communi; ma qualche volta more Veneto, per genio, o arbitrio, o circostanze particolari di uniformità. Aphrodiseo va bene. Carte pubbliche del Governo, more Veneto; ma altri documenti non costanti; non ritardare le edizioni, ma al princípio sola avvertenza che alcune volte, ecc.; e darei esempi, che cosí i lettori osservando il mese possono riflettere. Pisa e Reggio è da vedere: io parlo per Venezia. [E in altro foglio, a parte :] Jacobi Bruti, Corona aurea. Venetiis, per Joannem de Tridino alias Tacuinum. MCCCCLXXXXVI. die XV Januarii (cosí in fine), in 40. Al principio v'è la terminazione della Signoria, in cui si dice che Jacopo Bruto volendo far stampare questo libro, imprimi velit, chiede il privilegio per dieci anni, acciò nessuno lo stampi; e segue MCCCCXCVI. die XIII Novembris. Quod suprascripto supplicanti concedatur, ut petiit. Lascaris di Aldo. Frontispizio : Constantini Lascaris Erotemata cum interpretatione latina. De Litteris graecis ac diphtongis et quemadmodum ad nos veniant. Abbreviationes quibus frequentissime Graeci utuntur. Oratio dominica et duplex salutatio B. Virginis, ecc. In fine del Lascaris v'è: Anno ab incarnatione D. N. J. Christi MCCCCLXXXXIIII, ultimo Februarii. In fine del recto: Valete. Venetiis. MCCCCLXXXXV. Octavo Martii. Indizione a Venezia. Vedi qui ancora. Anno 1140, indictione V. Moschini, di Murano, p. 105, ma in quell'anno correva l'in dizione III. 1310. Indiz. VIII. Moschini, ivi, p. 106. Vedi de Rubeis, Discorso sulla Carta di Murano, ecc. Anno Veneto. Brunacci, Dissertationes, 299 t., 300 t., e seg. [Sul marg. super. della lettera del Vernazza, il Morelli poi scrisse: « Epoca Veneziana. Vedi G. 274 » ; rinviando così al vol. G. dei Zibaldoni, ove si legge:] << Epoca Veneziana dalli 25 Marzo. Quando cominciasse: Vedi Foscarini p. 197 e De Rubeis. Discorso citato. De Silva ad Azarii Chronicon, 4.° Documenti Flam. Cornelio. Nel 1324 si usava, come rilevo dall' indice delle sentenze degli Avvogadori di B.° Zamberti presso lo Svaier. Galliccioli Τ. Ι, p. 354 e seg., e indice. Lettera Vernazza a me in fine del cartone. Cose Venete, f.o, n.o 2 [che è appunto la lettera sopra riportata] ». (1) Veggansi le osservazioni che sulle date 1471 e 1472 dei Commentarii di Servio a Virgilio, stampati da B. e D. Cennini a Firenze, fa l'AudiFFREDI, Specimen historico-criticum editionum Italicarum saec. XV. Romae, 1794, pp. 258-60. (*) BIBL. D. R. Accad. D. SCIENZE, Torino, ibid. La Bibliofilia, anno XXI, dispensa 1a-38 6 Un inventario di codici del secolo XIII e le vicende della Biblioteca, dell'Archivio e del Tesoro di Fonte Avellana. (Continuazione: vedi La Bibliofilia, anno XX, disp. 108-12a, pag. 297). L'inventario dei codici del secolo XIII ci dà un'idea abbastanza viva dell'importanza di Fonte Avellana come ambiente culturale. Il poter rintracciare pertanto il maggiore numero dei volumi, specialmente di quelli donati dal Damiani, ci permetterà di poter vedere quali contatti ebbe con altri monasteri del tempo, e dal punto di vista paleografico, quali influenze ebbero su di esso le scuole scrittorie di Monte Cassino e di Cluny. Il Damiani aveva familiari infatti i due monasteri; Alessandro II l'aveva inviato in Francia perché riferisse delle condizioni della Chiesa e componesse gli attriti tra Ugo, abate di Cluny e Drogone, arcivescovo di Maçon. Pier Damiani si fermò pertanto a Cluny piú di quel che non avesse desiderato, e il vivido racconto del pericoloso passaggio delle Alpi, delle insidie a lui tese da Cadalo, che aveva fatto sorvegliare le gole dei monti, la sua vita di penitenza anche in viaggio (non solo col piacevole pretesto che il vino di Francia aveva un gusto di pece rifiutò di berlo, ma per mortificazione portava con sé le sue discipline e le sue catene di ferro) ci è narrato da un monaco italiano anonimo (1). E la bellezza degli edifici e la regolarità della vita degli eremiti produssero sul ravennate una gradita sorpresa, benché sulle prime, abituato ad un genere di vita assai piú duro, si scandalizzasse della ricchezza dell'abbazia e del cibo troppo copioso servito ai monaci. Una fuggevole traccia di questo suo viaggio ci è sembrato rinvenirla anche nel nome di un confessore, ricordato nel codice N.o 1, dell'inventario del sec. XVIII: san Maiolo. Pier Damiani infatti tornando da Limoges, passò presso il Monastero di Souvigny, nelle vicinanze di Moulins in Alvernia, per farvi la ricognizione del corpo di san Maiolo, abate di Cluny, della cui castità si mostrò convinto. Le lettere che egli scrisse in seguito ad Ugo, ai suoi monaci e a Desiderio, abbate di Monte Cassino mostrano quale dolce ricordo gli avesse lasciato la sua permanenza presso il monastero borgognone. Affida infatti a sant' Ugo l'educazione di un nepote, figlio di una sua sorella: Cluny è per lui << il paradiso terrestre bagnato dai quattro fiumi »; è « il campo fertile ove si trovano riuniti il cielo e la terra, dove le rose e i gigli spandono i loro profumi soavi ». << Con quale incanto, scrive altrove ai cluniacensi, il vostro nome torna costantemente sulle mie labbra! Quando ricordo le vostre regole, riconosco che non sono d'invenzione umana, ma che sono state dettate dallo Spirito Santo, perché gli esercizi sono cosí continui, e soprattutto (1) De gallica profectione domini Petri Damiani et eius ultramontano itinere, in Patr. Lat., t. CXLV, 865-880. 11 ΜΑΙ lo scopri nel Cod. Vat. 4920 e ne trovò una copia piú recente nell'Ottobon. 944. Il Damiani parla anch'egli di questo suo viaggio in due lettere (I e IV, libr. VI), scritte a sant' Ugo di Cluny. Cfr. a questo proposito: ARBELLOT, S, Pier Damiani a Limoges, nel Bulletin de la Soc. archéol, et historique du Limousin, t. XL, pagg. 709-803 (1893). gli uffici cosí prolungati che anche nel mese di agosto, allorché i giorni sono piú lunghi, i frati hanno appena una mezz'ora per conversare nel chiostro ». Ε piú tardi, rievocando i mille particolari che lo colpirono nella visita al vescovo di Besançon, ci dà una preziosa notizia: « Vedo ancora quel chiostro posto dietro l'abside della chiesa e che vi serve d'abitazione. Voi potete lí attendere alla preghiera e allo studio, cosí lunge da ogni rumore che uno crederebbe facilmente d'essere in un romitaggio. Non ho dimenticato l'altro chiostro a destra della chiesa ove la bianca falange dei vostri chierici forma come un coro angelico. Là infatti, come in un ginnasio d'un'Atene celeste, sono istruiti nelle divine Scritture, studiano con zelo la vera filosofia, e l'esercitano ogni giorno nella pratica della regola.... » . È lecito pensare che per la sua indole di studioso il Damiani portasse con sé o facesse trascrivere quei libri che maggiormente lo interessavano. È vero che quando a Cluny gli si offrivano i vasi, gli ornamenti e quanto era necessario per la celebrazione della messa, egli accettò, ma riflettendoci durante la notte, pensò che si sarebbe potuto credere quell'offerta come atto simoniaco e l'indomani restituí tutto all'abate non portando con sé che quanto era indispensabile per il viaggio. Ma per i libri la cosa era ben diversa: c'è bisogno di ricordare l'eccezionale cultura del Damiani, lo studio reso obbligatorio ai suoi monaci, il suo sdegno contro la generale ignoranza, e segnatamente contro quella di taluni religiosi? Chi non ricorda la lettera appassionata ma tutta pervasa di sarcasmo contro Benedetto X ? « La consacrazione di Benedetto è stata strappata ad un prete di Ostia cosí ignorante che non può leggere una pagina neanche sillabando: basta questo solo perché l'ordinazione sia evidentemente invalida ». E deridendo il nuovo eletto, Pier Damiani si dichiara pronto « a baciare i piedi dello scismatico se questi può spiegare una sola riga, non già d'un salmo ma di un'omelia ». A questa abitudine allo studio e alla trascrizione dei codici si ispirarono piú tardi le Constitutiones Camaldulenses, una regola delle quali dice chiaramente: Giacché il recluso non può maneggiare la vanga, maneggi la penna: invece di coltivare gli alberi coltivi le lettere; cosí, sebbene egli sembri morto alla società, vivrà per essa, e tanto durerà il vantaggio delle opere quanto durerà la vita dei suoi libri » (1). I contatti del Damiani con Cluny e Monte Cassino, dovranno essere piú diligentemente studiati per la storia della cultura del tempo. Le notizie contenute nelle opere del Ravennate sono talvolta veramente preziose e rischiarano piú di un punto oscuro del nostro passato. Cosí il Novati poté asserire, che il volgare dovette essere oggetto d'insegnamento anche prima della metà del secolo XIII (2), come lo troviamo nelle scuole d'ars notaria (3) e che qualche nozione elementare se ne impartisse fin da età addirittura remota, in quelle scuole, dove non s'insegnava ancora il latino, ma, come avviene oggidí e avveniva certo nei secoli (1) A Camaldoli infatti prima dell'invenzione della stampa i monaci impiegavano parte del loro tempo a ricopiare i codici; piú tardi impiantarono essi stessi una tipografia, giovando cosí alla diffusione del sapere. E chi non ricorda come nel loro convento avesse sede la prima Accademia, di cui facevano parte il Landino, Marsilio Ficino, Leon Battista Alberti, Giuliano e Lorenzo de' Medici, Donato Acciaioli e tanti altri illustri letterati e filosofi che fuggivano il caldo delle arroventate lastre fiorentine per ritemprare il corpo e l'anima nelle amene solitudini dell'eremo camaldolese? Da quelle dotte composizioni ebbero origine le Dispute Camaldolesi che il Landino dedicava a Federigo duca d'Urbino, nelle quali, come dice il Ficino, <<< trovansi largamente profusi l'acume dialettico, la dottrina dei piú insigni filosofi, l'eleganza della lingua e i piú bei fiori dell'arte oratoria ». (2) L'influsso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del medio evo, Milano, Hoepli, 1899, pag. 224 e segg. (3) E. MONACI, Di una recente dissertazione su Arrigo Testa, Roma, 1889, pag. 67 e segg. |