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Per la fortuna del codice ricorderemo che fin dal secolo XI doveva esser conosciuto da Anselmo, che ne trascrisse alcune lettere (1); piú tardi, circa il 1080 Pietro Crasso, giurista ravennate, dedicò ad Enrico IV un libretto in cui cercava dimostrare la bontà e la giustizia del re e la mala fede dei suoi avversari. L. de Heinemann che di esso redasse un'edizione diplomatica (2), trovò che oltre a molti riferimenti delle Istituzioni e del Codice Giustinianeo, il Crasso aveva trascritto le epistole 107 e 108 della Collezione Avellanitica: il giureconsulto dovette recarsi infatti a Fonte Avellana dalla vicina Ravenna per prendere diretta visione del codice (3). Si hanno anche altre fugaci tracce della conoscenza del codice avellanitico, ma solo circa il 1591 furono pubblicate dal Card. Antonio Carafa le lettere 37-44; 51-71; 79-81; 84-89; 91-101; 103-122; 124-132; 134-176; 178-211; 213-243, nel tomo primo delle Epistolarum summorum pontificum (4), che furono finite da Antonio de Aquino. Il Carafa si serví, come vedemmo, del codice A, cui dette l'appellativo di vetustus. Qualche anno dopo il Baronio inseri nei suoi Annales ecclesiastici (Tom. IV-VII, Romae 1593-1596) la maggior parte delle lettere che erano state dimenticate dal Carafa. Il Baronio dice di essersi servito del codice appartenuto al card. Sirleti, cioè di A, che chiama pervetustum ; e altrove aggiunge: excripseramus nos ante ex codice Uaticano collatione facta cum uetustissimo exemplari petito e monasterio S. Petri in Auellana in Umbria sito; e piú avanti facta collatione cum codice Uaticano et alio monasterii S. Petri in Avellana. Il secondo codice è probabilmente il Vaticano 4903, del sec. XVI, derivante dall' Ottoboniano lat. 1105.

Gli storici dei concilii si servirono pertanto delle lettere date dal Carafa e dal Baronio: Severino Binio le inserí nei suoi Concilia generalia et provincialia (Coloniae Agrippinae, 1606); di qui si propagarono nelle successive edizioni : Editio regia, Paris., 1644; in quella di Filippo Labbé, Lutet. Paris., 1671; di Harduinus, Paris., 1715; di Domenico Manzi, Florentiae, 1759 e segg.

Nel 1721 Pietro Constant cominciò la pubblicazione dell'epistolario dei papi, ma il suo lavoro essendosi interrotto al tomo I, cioè all'anno 440, non riprodusse che poche epistole (5). Nel 1867 a Torino, fu pubblicata la Taurinensis editionis appendix bullarum diplomatum et privilegiorum sanctorum romanorum pontificum (vol. I): ma gli editori torinesi, avendo seguito l'edizione di Carlo Cocquelines, non riprodussero che poche e ben conosciute epistole. E finalmente nel 1868 a Bamberg, Andrea Thiel, professore di quello studio, pubblicò le Epistolae Romanorum pontificum genuinae et quae ad eos scriptae sunt a S. Hilaro usque ad Pe

(1) La Collectio Anselmi Lucensis contenuta nei Codd. Vatic. 1364 (sec. XII), Barberin. XI 178 (sec. XII), Vatic. 4983 (sec. XVI) riporta alcune lettere della Collectio Avellana le quali però a lui potevano giungere anche da altre fonti, come il n. 84 dal Codice di Giustiniano, il n. 37 ed altri frammenti della Collectio Hispana e dalla Pseuisidoriana. Però l'importante lettera Gelasii episcopi urbis Romae ad Dardanios fu trascritta dalla Coll. Avell., di cui porta il n. 95. (1 febbraio a. 496).

(2) Libell. de lite imper., in M. G. H.

(3) Benché il giureconsulto infiorasse il testo con qualche eleganza, non è difficile riconoscere la lezione del codice A.

(4) Epistolarum decretalium summorum pontificum, t. I, Romae 1591, pag. II.

(5) Epistolae romanorum pontificum, studio P. Constant, t. I, 1721.

lagium II. (Tom. I, a S. Hilaro usque ad S. Hormisdam). Ma anche il Thiel, benché si servisse delle schede del Constant, e facesse collazionare il codice A dai suoi amici, se riuscí a darci intero e disposto cronologicamente il corpus di questi documenti, pure dal punto di vista diplomatico non seppe procurare un'edizione scevra di errori.

Questi gli editori più importanti; ma sporadicamente alcune lettere si pubblicavano in luoghi e tempi diversi. Cosí lo Juretus riprodusse quelle di Simmaco (14-19; 21; 29-34), servendosi del Baronio (1); quelle di Zosimo (45, 46, 50) da Giovanni Garnerio nell'edizione delle opere di Mario Mercator (2), servendosi di qualche codice oltre i due vaticani, giacché la sua redazione appare piú corretta di quella del Baronio; quelle di San Leone il Grande (51-55) dal Surius (3), il quale ebbe presente non soltanto il codice avellanitico ma anche l'altro codice Vaticano 4903 che ai suoi tempi si conservavano ancora a Fonte Avellana ; quelle di Avito ad Hormisda e di Hormisda ad Avito (136-137) dal Sirmond (4); il libro di Epifanio al vescovo Diodoro (244) dal Foggini (5).

Altre lettere, di singolare valore, erano conservate in codici piú antichi della nostra collezione. Una trentina (nn.ri 56-59, 61-66, 68-81, 95-99, 101, 103-104, 140) ne conteneva il codice Berolinensis lat. 79, del secolo IX (6); cosí la lunga e bella lettera che nell'anno 383 0 384 Marcellino e Faustino inviarono agli imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio, e che ci dà notizie di eccezionale valore storico sulla primitiva chiesa cristiana, sull'eresia di Ario e sui rapporti dei papi con l'imperatore a cominciare da Costantino, aveva formato un volumetto a parte con la risposta che gli imperatori inviarono ai due sacerdoti (7). E ben cinque codici la contenevano prima ancora della Collectio Avellana, e cioè:

(1) Parisiis, 1604. Cfr. pure le successive edizioni del 1608 e del 1617.

(2) Parisiis, 1673.

(3) D. Leonis.... opera.... per F. Laurentium Surium Carthusianum, cuius etiam studio iam recens accesserunt quinque eiusdem Leonis epistolae hactenus praelo non commissae.... Coloniae Agrippinae apud Ioannem Birkmannum anno salutis 1569.

(4) Conciliorum antiquorum Galliae, t. I, Parisiis, 1629. Cfr. anche Aviti opera, Paris, 1643.

(5) Liber de XII gemmis rationalis summi sacerdotis Hebraeorum ab Epiphanio Constantiae episcopo Graece conscriptus ipse aetatem non tulit exceptis duabus epitomis satis brevibus, de quibus conferas Dindorfium in Epiphanii editionem; e quibus epitomis brevior est Anastasii Sinaitae, qui haec Epiphanii excepta recepit inter quaestiones. Multo maioris praetii est versio Latina, quae in codice V eiusque propagine tradita atque in fine mutilata ad ipsam tamen Avellanam collectionem minime pertinere sed ei posteriore tempore casu quodam addita videtur, edidit eam primus Franciscus Fogginius, Romae, a. 1743, usus codice A; Fogginii editionem repetivit Dindorfius, pag. 169, sgg. Cfr. MIGNE, P. L. 67, col. 617. Cosí il GUNther, op. cit., pag. 743.

(6) Cfr. V. ROSE, Die lateinischen Meermann-Handschriften des Sir Thomas Phillipps in der Königlichen Bibliothek zu Berlin, 1892, pag. 149 e segg.

(7) Eccone il titolo: Exinde presbyteri diversis modis afflicti per exilia et peregrina loca dispersi sunt. Ex quibus Marcellinus et Faustinus presbyteri de confessione verae fidei et ostentatione sacrae communionis et persecutione adversantium veritati preces Valentiniano Theodosio et Arcadio principibus optulerunt ita ... Alla lunga lettera segue la risposta degli imperatori: Ad has preces ita lex augusta respondit, etc.

1) Paris. lat. 12097; (sec. VI-VII).

2) Paris. lat. 1564; (sec. IX).

3) Sangall. 190; (sec. IX).

4) Albig. 2; (sec. IX).

5) Tolos. 364 (sec. VIII-IX).

Senza contare il Paris. lat. 1687, del sec. XII, e il Paris. lat. 1700, della fine del sec. XVI; il Sirmond la pubblicò per primo nel 1650 (1). Cosí pure la lettera che l'imperatore Onorio aveva inviato nel 419 a papa Bonifazio (n. 37) era contenuta in codici antichissimi, quali il Sanblas. 6 (sec. VI), il Lucens. 490 (Bibliot. Capitol.; sec. VIII), il Paris. lat. 3836 (sec. VIII), il Paris. lat. 1455 (sec. X), il Vatic. Regin. 1997 (sec. IX), il Barber. XIV, 52 (sec. IX), il Paris. lat. 3837 (sec. IX), il Vatic. lat. 5845 (sec. IX), ed altri ancora. Quella di Innocenzo (n. 42) ai vescovi Aurelio, Alipio, Agostino, Evodio e Possidio (27 gennaio 417) si trovava inserita nella Collezione Quesnelliana, cosí detta perché raccolta da Pasquale Quesnellio (2) e la riportavano i codd. Einsidlens. 191 (sec. IX), Vindob. 2141 (sec. IX), Vindob. 2147 (sec. IX-X). La Collectio Hispana (3) aveva comuni con quella dell'Avellana le epistole 37, 159, 160, 236, 237 contenute nei codici Vatic. 1341 (sec. X), Vatic. 630 (sec. XI), Vatic. 3971 (sec. XII); Ottob. 93 (sec. IX-X) quella Dionysio-Hadriana i n.ri 140, 232 e 236, contenute in antichi codici delle Decretali di Dionigi il piccolo, quali il Monac. lat. 6242 (sec. IX-X), il Monac. lat. 6355 (sec. IX), il Vatic. Reg. 1021 (sec. IX), l'Ottobon. 312 (sec. X-XI), il Lucens. 125 (sec. X), il Vatic. Reg. 1043 (sec. X), il Vatic. Palat. 578 (sec. IX-X), il Monac. lat. 3860 (sec. X), il Monac. lat. 3860a (sec. X), il Vatic. 1337 (sec. X), il Vatic. 5845 (sec. IX) 1).

L'importanza della Raccolta attirò, specialmente nei tempi moderni, l'attenzione di molti. E un gesuita, Paolo Ewald, cominciò a redigerne un'edizione critica in onore di Carlo Savigny (4). Ma il dotto studioso non poté compiere il suo lavoro, perché sorpreso da morte nel 1887, non riuscí a collazionare che il Codice Vaticano, 4961 che egli credeva, come del resto avevano affermato quanti lo avevano preceduto, il più antico e il più autorevole. L'Accademia Cesarea di Vienna, alle cui spese doveva compiersi il lavoro, incaricò allora Ottone Guenther a proseguirlo. Intanto Guglielmo Meyer con ragioni paleografiche cercava dimostrare che piú autorevole, se non più antico del celebre codice di Pier Damiani

(1) Marcellini et Faustini libellus precum.... Parisiis, 1650.

(2) Cosí la chiamò il MAASSEN, Geschichte der Quellen ecc., I, 486 segg.

(3) Collectio canonum ecclesiae Hispanae (ed. Gonzalez): Tom. II: Epistolae decretales ac rescripta Romanorum pontificum, Matriti, 1821.

L'importante lettera di Ormisda al vescovo Possessore (n. 231) fu pubblicata da Giov. COCHLAEUS in Opera Iohannis Maxentii, Hagenoviae, 1520, pag. XXVIII; quella di papa Simmaco dilectissimis fratribus universis episcopis presbyteris diaconibus archimandritis et cuncto ordini vel plebi per Illyricum Dardaniam et utramque Daciam in un rarissimo volume del 1532: Gesta duorum conciliorum, quae inter reliqua minus reperiuntur, nempe Magungiaci quod celebratum est anno salutis DCCCXXXIII V Idus Iunii et Wuormacensis XVII Calendas Iunii.... In fine: Basileae excudebat Henricus Petrus mense augusto anno MDXXXII.

(4) Cfr. Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, V, (1884) pag. 237 e segg.

La Bibliofilia, anno XXI, dispensa 1a-3

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doveva essere l'altro Cod. Vatic. 3787. E il Guenther venuto in Italia nel 1889 cominciò un accurato esame di quest'ultimo e di tutte le copie che se ne fecero fino al secolo XVII. Dopo parecchi anni di fatiche assidue, nel 1895 il Guenther, confortato dall'autorità del Delisle, del Carini, del Bollig, del De Hartel poté pubblicare, tenendo conto di tutte le varianti e anche dei frammenti minori, l'edizione definitiva, in due grossi volumi, di cui il secondo uscí nel 1898.

I codici esaminati furono i seguenti:

I. Codici membranacei aetatis vetustioris.

1) Vatic. lat. 3787, principio del sec. XI.

2) Vatic. lat. 4961, principio del sec. XI.

II. Codici cartacei aetatis recentioris.

3) Marcian. Venet. Iur. canon. 13, terminato di copiare nel 1469.
4) Marcian. Venet. Iur. canon. 14, sec. XVI.

5) Vatic. lat. 3786, sec. XVI.

6) Ottobon. lat. 1105, sec. XVI.
7) Vatic. lat. 5617, sec. XVI.
8) Angelic. 292, sec. XVI-XVII.

9) Vatic. lat. 4903, sec. XVI.
10) Corsinian. 817, sec. XVI-XVII.
11) Escorialens. c. II. 21, sec. XVII.

Il codice avellanitico (Vat. lat. 4961), che noi contraddistingueremo con A, e che ancor oggi, a malgrado di molte discussioni, sembra l'archetipo della raccolta, si compone di 109 fogli in pergamena. Nel foglio che precede il testo una mano del secolo XIII vi ha posto il titolo seguente: Liber epistolarum super controversia duorum (sic!) liberii et felicis. Incip Que gesta sunt (et alique epistole pontificum et alique inperatorum aggiunse un'altra mano dello stesso secolo). Segue il numero CLXXVIII (1). Verso la fine del sec. XVI vi fu aggiunto: 4961 Uat.: Emptum ex libris Cardinalis Sirleti. In fondo al foglio 109 una mano del secolo XIV notò: Iste liber est monasterii sancte Crucis fontis Avellane Eughub. dioc.; e un'altra vi aggiunse: hunc librum adquisiuit domnus Damianus S. †

La scrittura, a due colonne, fu redatta da quattro amanuensi : il primo scrisse i fogli 1-63; il secondo i fogli 63-83; il terzo i fogli 84-99; il quarto i fogli 99-109. Fu poi corretto da quattro mani diverse, di cui una del secolo XI e un'altra del XIV o XV.

Dal codice A derivarono numerosi codici, e siccome le copie portavano quasi sempre la nota dell'archetipo, cioè hunc librum adquisivit domnus Damianus S. ., ne venne di conseguenza che associando il nome di Pier Damiano e quello dell'Avellana, piú di un amanuense chiamò il nostro monastero col titolo di S. Pietro dell'Avellana. Nel secolo XV il Cardinale Bessarione che tenne il governo dell'abbazia dal 1456 al 1472 fece trascrivere l'intera raccolta, e il bel codice, assicurato nella Marciana, è il terzo per antichità, della Collectio Avellana. 2) Marc. Venet. Iur. canon. 13 (lat. 171), cartaceo, 1468.

Comincia come A e V: Continet hic codex etc.; fin. con le parole quinquaginta duobus.

(1) È forse questo il numero che portava nella Biblioteca di Fonte Avellana.

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