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costruire attraverso la piú genuina documentazione la storia della Chiesa, fino alle lettere e ai diplomi di Giustiniano. Questa a noi pare una forte ragione perché il ghibellino, che con tanta passione aveva seguito ed aveva presa vivida parte nella lotta tra Chiesa e Impero, si sia soffermato, e forse a lungo, nel cenobio famoso.

Troppi ricordi parlano di Dante a Fonte Avellana. E un'altra ragione di cui dovrà tenersi conto, e che noi esamineremo ampiamente altrove, può essere la seguente. Il poeta si mostra troppo al corrente della vita e delle opere del Damiani perché qui ci sembri opportuno ripetere cose note. Ora, abbiamo già detto, che le opere del Ravennate erano gelosamente custodite a Fonte Avellana. Taluno potrebbe osservare che le notizie sul riformatore le avrebbe potute avere a Ravenna, in cui la fama del Damiani doveva suonare chiara. No, Dante a Ravenna non poté saperne nulla, perché (e la cosa potrebbe sembrarci inverosimile se non ci fosse la testimonianza del Petrarca) non molto tempo dopo la morte di esso Dante, il Boccaccio essendosi recato a Ravenna fu pregato dal Petrarca, che componeva allora il volume De vita solitaria, di chiedere notizie del Damiani, di cui nulla sapeva. E il Boccaccio, per quanto ne chiedesse personalmente a Ravenna e altrove, rispondeva che tutte le sue ricerche erano rimaste vane. Infruttuose sono pure le indagini che egli rinnova nel monastero di santa Maria in Porto. Stupeo et ego tam conspicuum religione virum inter concives et vestium tantum non operum successores, et in coenobio quod secus Adriaticum litus suo opere constructum est, et in quo ipse primus suae professionis heremitas instituit Peccatorisque cognomen assumpsit, non aliter cognitum cernis quam a Mauris Lucerianum Bellovacensem etc. (1). Il Petrarca allora si vide costretto a scrivere direttamente ai frati dell'Avellana, i quali si affrettarono a inviargli le notizie richieste (2). Ora le condizioni non potevano essere cambiate in poco volgere d'anni, e se Dante si dimostra cosí profondo conoscitore della vita e delle opere del Damiani, se, come asserisce taluno, alcuni degli opuscoli del Ravennate gli furono

(1) Le lettere, ediz. Corazzini, Firenze, 1877, pag. 309 e segg.

(2) La notizia è nel volume settimo, pag. 303, delle opere del Petrarca (De vita solitaria), ediz. di Basilea. Della quale è più facilmente accessibile la traduzione italiana: La vita solitaria, pubblicata in Scelta di Curios. lett., del Romagnoli, 1879. Per la presenza di Dante sui monti di Urbino confronta F. VATIELLI, Focara, Pesaro, Federici, 1897, pag. 7, 13, n. 3; e il Giorn. stor. della letterat. it., 1898, XIX, 154. GIOV. MERCATI in Pietro Peccatore, tip. Poliglotta, Roma, 1895, pag. 4, n. 4, e il MORICI, op. cit., pag. 5, credono sia lecito << supporre che lo stesso Dante, attratto dall'antica fama dell'eremo e spinto piú che altro dal culto per S. P. Damiano, flagellatore terribile dei chierici cortigiani, simoniaci, scostumati e avari, si portasse fin lassú ». Per il discusso passo: In quel luogo fui io Pier Damiano, rimandiamo alla lunga polemica MERCATI-MAGŅANI, intorno alla quale cfr. Bullett. d. Soc. Dant. Ital., VI, 75 e segg.; Rivista bibliografica ital., IV, 131 e segg.; Rassegna bibliograf., II, 106 e segg. Cfr. pure: GALANTI (Carm.), Osservazioni sul terzetto: « In quel luogo fui io Pier Damiano, E Pietro Peccator fui nella casa Di Nostra Donna in sul lito Adriano », Ripatransone, 1886; 2 p., in-8 di pagg. 31-20. L'opusc. del MAGNANI è intitolato: Pier Damiano e Pietro Peccatore, ossia illustrazione letteraria dei versi 121-3, Parad., XXI. Modena, 1898, in-8, pagg. 8.

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finu luulus aburan epf benedic. qd' ubi damar gfep pun abierar epit.onf quadrigarof.et impiä multitudine · pao concitar: & ar mator fufab, ad Bafilica iuli prüpit. & magna fideli cede piriduŭ debacchate. Poft dier fepre cu omib, piuris &eranuraf qringent corrupit ptio. Lateranente bafilica tenuit & ordinar cpr & rediment iudice urb utuentů. &pfecti anno ne iuliani idegit ut rfin uur uenerabil 7pus fuerat pontifexordinar cu amantio & lupo Diaconib, inexiliu muter. Qd ubifactüe cep damafuf romana plebe qf nolebar poede fu Aib, & cede uaria purguere. Ptrofqq. nuo vi deremor poffie nine aburbe ppellere. Sed plebr fidet occurrent corde phroferunt & ad ha filica Libu fine mora pdux. Tunc damafuf ca phi dif inunat eranariof. quadrigariof. & fofforef. omemq. deru cu fecurib, gladuf & fufhb, er obfedut bafilica hora dies feda feptimo kalenda nouembriu die. gratiano & dagalafo čt &graue plau concitaun nam effracaf forth. igneq. fubpofito adru un inruper exqreba: n nulli qq, defamiliarib. et reci bafilice de fruenter cegulif fidele pp pimebant. Tune untufi damafiant irruenter inbafilica centu fexaginta de plebe ta uirof qui mulieref occi der uulnerauer ena qui plurimof exqbuf mului defunerife. De parte a damafi nulluf & mortuur. Poft Tres uit dief fea plebfinunu conuenient cep ad ufufeu dni mandata rea. tare dicentif. nolue timere cof. q occide corpus. anima u n pofft occidere. Pfallebat ena inlau dib, dicebar Potuer mortalia fer uoy ray. efcar uolanib, cel carnet feoy toy beftufire Effuder fanguine con uelut aqua incir cuiru hierufalé &ñerat qfepelirer. Sepe aq.c cade plebfad unata inbafilica libi clamabat dic. Xplane impr nichil te laret omfepi romam uenzant aqu caufa qnü bellü damafuf fecafede petrz homicidaf foraf. der aut poptr epor conuenire maluf pcb, exorabat ut me moratü tanta impietate maculatü fententia ufa pcellerem que intanti matrone dilige bant. ut muroniri urifcalp? diceret. Jocef & pleb ad ualeminianu pnape funt dela

teq piecute comotuf. redni con ceffer exulib,. Tunc urinuf.cu amantio. &lupo diaconibus. feptimo decimo kalenday octobri lupicino &oueno conff ad urbe redtu cuplebf fea gra tam occurrit.fed damafur tamoy. fibi confauf

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Vatican, latin. 4961, membranaceo del sec. X o principio del XI.

fonte d'ispirazione, egli non poté vedere questi scritti e attingere notizie se non nell'eremo tanto diletto al solitario del Catria (1).

E per ora basta della Collectio Avellana e della questione dantesca, che ci proponiamo di riprendere con una maggiore larghezza e diretta conoscenza di molte pergamene riferentisi al monastero. Ma dai pochi accenni fatti in questo studio ci sembra che nelle sue linee generali essa sia notevolmente rischiarata e che un esame piú diligente e più ampio ci permetterà di illuminarla decisamente (2).

(1) Cfr. E. ANZALONE, Dante e Pier Damiano. Acireale, 1903. Ma nel secolo XIV abbiamo però un ingenuo ritratto del Damiani, che al Luiso, Il Canto XXI del Paradiso, letto nella sala di Dante in Orsammichele, Firenze, Sansoni, pag. 65, parve « la più semplice e la più bella chiosa dantesca sulla figura del santo ».

« ....

ebbe nome piero Damaiano (sic) e ssi fe u[n] munistero di frati che ssi chiamano i frati della colomba, e furono frati di santa vita; ed enne anchòra in piè a Ravenna u[n] munistero. Questo Piero fu al mondo huomo di santa vita e di grande iscienzie, e ffu gran dottore di santa Chiesa e fecie assai e belle pistole e assai belli sermoni per santa chiesa, e in sua vecchiezza fu fatto chardinale. Questo Piero Damiano iscrisse e ne' suo' libri disse peggio de' pastori di santa chiesa che diciesse mai veruno; e però l'altore per venire al suo proponimento il mette qui e fagli dire de' su' pastori perch'elli vide e chonobbe i loro vizii e maghagnie ». Cosí le Chiose sopra Dante. Firenze, 1846, pag. 634.

Per il Damiano, oltre i lavori citati precedentemente, cfr. [MISEROCCHI M.], Vita di San Pier Damiano, camaldolese cardinale e vescovo d'Ostia. Venezia, 1728, in-8; LADERCHIUS (IACOBUS), Vita S. Petri Dam.; S. E. R. cardinalis ac episcopi Ostiensis in VI libros distributa. Romae, 3 vol., in 4, 1702; Vogel, (ALBR.), Petrus Damianus, ein Vortrag. Iena, 1856, in-8, pagg. 32; WAMBERG (Aug.), Der heilige Petrus Damiani, Abt von Klosters der heiligen Kreuzes von FonteAvellana und Cardinalbischof von Ostia, sein Leben und Wirken, 1006-7-1072, 1, Inaug.-Dissertat. Breslau, 1875, in-8, pagg. 50; GUERRIER (L.), De Petro Damiano, Ostiensi episcopo Romanaeque Ecclesiae cardinali, disputatio.... Aureliae, 1881, in-8, pagg. VII-99; KleinerMANNS (M. Jos), Der heilige Petrus Damiani, Mönch, Bischof, Cardinal, Kirchenleher, in seinem Leben und Wirken nach der Quellen dargestellt. Steyl, 1882, in-8, pagg. XX-237; ROTH (F. E. E.), Der hl. Petrus Damiani O. S. B. Cardinalbischof von Ostia, nach den Quellen neu bearbeitet, negli Studien und Mitteilungen aus dem Benedictinerbund des Cistercienser Orden, t. VII, I, 110-134; II, 357-374; III, 43-66; IV, 321-326 (1886); t. VIII, I, 56-64; II, 210-216, 1887. Una tesi russa su S. P. D. di 44 pagg. in-8, fu pubblicata nel 1895 da M. A. VIazigin a Kharkov.

Come lavori speciali su alcuni punti della vita del Santo, consulta: [GINANNI P. PAOLO], Lettera nella quale si dimostra.... che Ravenna e non Faenza fu la vera patria di S. P. D.; Assisi, 1741, in-4; SANSONI FRANC., S. P. D. e Faenza, memorie e note critiche. Faenza, 1898, in-16, di pagg. XXIII 198; FEHR, Petrus Damiani's Jugendzeit und seine Anschauungen über Mönchthum nella Oesterreichische Quartalschrift für kathol. Theologie (1868), 189-240; PFULF OTTO, Damiani's Zwist mit Hildebrand, nelle Stimmen aus Maria-Laach, 1891, t. XLI, pagg. 281-307, 400-416, 508-525.

(2) La più antica testimonianza della tradizione dantesca a Fonte Avellana è costituita dal busto del Poeta che nel 1557 un fiorentino, il canonico Filippo Ridolfi, fece porre nel « cubiculum Dantis ». Ma circa il 1570 essendo stata assegnata l'amministrazione del convento all'abate visitatore D. Pietro Bagnoli, che tanta parte aveva avuto per l'unione di questo alla Congregazione Camaldolese, un religioso, D. Germano Vecchi, scriveva di esso Bagnoli : « che il Cardinale Giulio Feltri ammirando la sua bontà e prudenza per amor di lui donò alla religione nostra la badia et congregazione dei monaci dell'Avellana, OVE GIÀ DANTE SCRISSE LE

E la definitiva risoluzione del rifugio di Dante nel monastero avrà una notevole influenza anche per stabilire quanto il Poeta trasse dalle opere del Damiani. Si vedrà allora che l'avere avuto tra mano e conosciuto le opere del Ravennate, non

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altrimenti che uno studioso moderno, non dev'essere considerato come leggenda erudita di recente formazione, ma un'asserzione fondata sui riscontri che occorrono tra i due grandi, riscontri ai quali si è negato qualsiasi valore. E per ri

SUE OPERE, dandone d'essa a lui il primo governo, col consenso et ordine del beatissimo padre Pio V. Il quale, quando si trattava della riforma di detta badia, havendo inteso l'animo suo nobile e religioso, disse in sua lode che siccome Pietro Damiano era stato ristauratore di quel luogo; cosí allhora sperava che un altro Pietro ne dovesse essere ristauratore, acciocché quel chiostro, ch'era, come scrisse l'istesso poeta, fatto vano, sotto un tanto venerando padre, << Hora con cibi di licor d'olivi,

< Lievemente trapassi caldi e geli

<< Contento ne' pensier contemplativi »>.

Anche la presente testimonianza ci è sembrata tutt'altro che priva di valore. Una curiosa memoria, notevole per gli anni in cui fu scritta, (tra il 1813 e il 1816), fu diretta agli Accademici di Urbino, dal Prof. BRIGNOLI. È intitolata: « Sull'origine della Divina Commedia di Dante Alighieri nei monti di Catria» e si conserva nell'Archivio Comunale di Urbino, Busta 146, 5, R, 3. Fu pubblicata dal MORICI in appendice all'opuscolo citato.

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ferire un solo esempio tra i molti, allorché ci domanderemo se la finzione della scala che sale verso il cielo, per la quale ascendono i contemplanti e che abbella il canto XXI del Paradiso (il canto che potremmo chiamare di Fonte Avellana), abbia avuto per ispirazione le opere di San Bernardo e del Damiani, il sogno dei benedettini o quello di Romualdo, le pitture e le costumanze camaldolesi, noi non ci contenteremo di rispondere: da tutte queste fonti e da nessuna, perché molte idee e immagini dantesche anziché derivare da uno o da un altro autore determinato, erano in tutti gli autori cioè nella scienza e nella coscienza contemporanea, ma riusciremo invece a precisare con sicurezza che il passo in cui Pier Damiani celebra la vita contemplativa: « Tu sei quella scala di Giacobbe per cui salgono gli uomini al cielo e gli angeli discendono in aiuto degli uomini; tu la via aurea per cui gli uomini ritornano alla lor patria » (1), non ha soltanto suggerito la finzione in linea generale, ma la via aurea del Ravennate si traduce in Dante nel color d'oro in che raggio traluce.

Dentro il cristallo che il vocabol porta, cerchiando il mondo, del suo chiaro duce, sotto cui giacque ogni malizia morta,

di color d'oro in che raggio traluce, vid'io uno scaleo eretto in suso

tanto che nol seguiva la mia luce.

Parad., XXI, 25-30.

E non sembra che il Poeta abbia quasi avuto sott'occhio un altro opuscolo diretto dal Ravennate a Desiderio abate di Montecassino, allorché descrive la santità di vita dei frati cassinesi? « Beati coloro che vivono con voi e muoiono tra voi e nelle vostre sante opere! Poiché è da ritenere per fede che quella scala che una volta parve da Cassino elevarsi fino al cielo, tuttora corruschi di lampade e sia coperta di drappi. Come una volta accolse il duce, cosí ora invia al cielo l'esercito dei seguaci » (2).

Di quanto invece piú scheletrica non è l'immagine riprodotta da San Bernardo: « Illud quoque quod in scala illa, quae in typo humilitatis Jacob monstrata est, Dominus desuper innixus apparuit, quid nobis aliud innuit, nisi quod in culmine humilitatis constituitur cognitio veritatis? » (3). Quanto più vicina alla fantasia del Poeta è la scala corrusca di lampade del Damiani, che non quella percorsa da una moltitudine di gente vestita di bianco, di Maldolo! (4) Se la visione di costui ebbe larghi riflessi nella vita camaldolese, specialmente dell'Italia centrale, tanto

(1) Opera omnia. Parigi, 1743, III, 118.

(2) Op. cit., III. 320.

(3) S. BERNARDI.... Opera, Venetiis, 1726, I. 566.

(4) Nelle Costituzioni del beato Rodolfo, priore di Camaldoli del 1080, si narra come Romualdo andando in cerca di un luogo idoneo a fondare un eremo, giunto nel territorio di Arezzo, si imbatté in un certo Maldolo che gli offri un suo campo posto su nell'alpe, di grande amenità, e sacro a lui per un miracolo occorsogli. Ché un giorno, mentre dormiva, a somiglianza di Giacobbe, vide una scala eccelsa che toccava quasi il cielo con la sua cima; e su per quella ascendere una moltitudine di gente vestita di bianco e di luce. A questa rivelazione Romualdo, come se un responso vicino lo avesse illuminato, va sul luogo e vi fonda l'eremo di Camaldoli. Cfr. Annal. Camaldul., III, 528, G. GRANDI, Dissertationes Camaldulenses, Lucca, 1707; Dissert. III.

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