Omai si scendè per siffatte scale:
Monta dinanzi, ch' io voglio esser mezzo, Sicchè la coda non possa far male. Qual è colui, che ha si presso il riprezzo Della quartana, che ha già l' unghie smorte, E trema tutto, pur guardando il rezzo; Tal divenni io alle parole porte;
Ma vergogna mi fêr le sue minacce, Che innanzi a buon signor fa servo forte. Io m'assettai in su quelle spallacce: Si volli dir (ma la voce non venne Com' io credetti ) fa che tu m' abbracce: Ma esso, che altra volta mi sovvenne Ad alto forte, tosto ch' io montai, (3). Con le braccia m' avvinse, e mi sostenne, E disse: Gerion, moviti omai:
Le ruote larghe, e lo scender sia poco: Pensa la nuova soma che tu hai. Come la navicella esce di loco
In dietro, in dietro, sì quindi si tolse; E poich' al tutto si senti a giuoco, Là 've era il petto, la coda rivolse, E quella tesa come anguilla, mosse, E con le branche l' aere a sè raccolse. Maggior paura non credo che fosse Quando Fetonte abbandonò li freni, Perche il ciel, come appare ancor, si cosse; Nè quando Icaro misero le reni
Senti spennar per la scaldata cera, Gridando il padre a lui: mala via tieni: Che fu la mia, quando vidi ch' io era Nell' aer d'ogni parte, e vidi spenta Ogni veduta, fuorchè della fiera.
Ella sen va rotando lenta lenta;
Rota e discende, ma non me n' accorgo, Se non che al viso di sotto mi venta. Io sentia già dalla man destra il gorgo Far sotto noi un orribile stroscio, Perche con gli occhi in giù la testa sporgo. Allor fu' io più timido allo scoscio, Perocchè io, vidi fuochi, e sentii pianti; Ond' io tremando tutto mi raccoscio. E vidi poi, che nol vedea davanti,
Lo scendere, e il girar, per li gran mali, Che s' appressavan da diversi canti. Come il falcon, ch'è stato assa' in su l' ali, Che, senza veder logoro o uccello, Fa dire al falconier, ohimè, tu cali; Discende lasso, onde si muove snello, Per cento ruote, e da lungi si pone Dal suo maestro, disdegnoso e fello; Così ne pose al fondo Gerione,
A piede a piede alla stagliata rocca: E discarcate le nostre persone, Si dileguò come da corda cocca.
(1) La tesia e il busto; quanto alla testa, e
(2) Strema testa, l'orlo di pietra, che il sabbion serra.
(3) Alto forte; cioè grave pericolo, quello di Filippo Argenti.
Prima e seconda bolgia di Malebolge: nella prima i ruffiani, nella seconda i lusingatori a lussuria.
Luogo è in Inferno detto Malebolge, Tutto di pietra di color ferrigno, Come la cerchia che dintorno il volge. Nel dritto mezzo del campo maligno
Vaneggia un pozzo assai largo e profondo, Di cui, suo luogo, conterò l'ordigno. Quel cinghio, che rimane, adunque è tondo, Tra il pozzo e il piè dell' alta ripa dura, Ed ha distinto in dieci valli il fondo. Quale dove per guardia delle mura Più e più fossi cingon li castelli In parte, dov' ei son, rendon figura; Tale immagine quivi facean quelli: E come a tai fortezze da' lor sogli Alla ripa di fuor son ponticelli;
Così da imo della roccia scogli
Moven, che recidean gli argini e i fossi, Infino al pozzo, che i tronca e raccogli. In questo luogo, dalla schiena scossi Di Gerion, trovammoci; e il poeta Tenne a sinistra, ed io dietro mi mossi. Alla man destra widi nuova pieta, Nuovi tormenti in nuovi frustatori, Di che la prima bolgia era repleta. Nel fondo erano ignudi peccatori:
Dal mezzo in qua ci venian verso il volto, Di là con noi, ma con passi maggiori: Come i Roman per l'esercito molto
L'anno del Giubileo, su per lo ponte, Hanno a passar la gente modo tolto; Che dall' un lato tutti hanno la fronte Verso il castello, e vanno a santo Pietro, Dall' altra sponda vanno verso il monte. Di qua, di là, su per lo sasso tetro
Vidi dimon cornuti con gran ferze, Che li battean crudelmente di retro." Ahi come facean lor levar le berze
Alle prime percosse! E già nessuno (1) Le seconde aspettava, nè le terze. Mentr' io andava, gli occhi miei in uno Furo scontrati; ed io si tosto dissi: Già di veder costui non son digiuno. Perciò a figurarlo gli occhi affissi,
E il dolce duca mio così ristette, (2) Ed assentì che alquanto indietro gissi. E quel frustato celarsi credette
Bassando il viso, ma poco gli valse,
Che io dissi: tu, che l'occhio a terra gette,
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