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Se le fazion, che porti, non son false,
Venedico se' tu Caccianimico:

Ma chi ti mena a sì pungenti salse? (3)
Ed egli a me: mal volentier lo dico:
Ma sforzami la tua chiara favella,
Che mi fa sovvenir del mondo antico.
Io fui colui che la Ghisola bella

Condussi a far la voglia del Marchese,
Comechè suoni la sconcia novella.
E non pur io qui piango bolognese
Anzi n'è questo luogo tanto pieno,
Che tante lingue non son or apprese
A dicer sipa tra Savena e Reno:

E se di ciò vuoi fedel testimonio,
Récati a mente il nostro avaro seno.
Così parlando il percosse un demonio
Della sua scurïada, e disse: via
Ruffian, qui non son femmine da conio.
Io mi raggiunsi con la scorta mia:
Poscia con pochi passi divenimmo
Dove uno scoglio della ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo,

E volti a destra sopra la sua scheggia, Da quella cerchia esterna ci partimmo. (4) Quando noi fummo là dov' el vaneggia Di sotto, per dar passo agli sferzati; Lo duca disse: attienti, e fa che feggia Lo viso in te di questi altri malnati, Ai quali ancor non vedestù la faccia, Perocchè son con noi insieme andati. (5) Dal vecchio ponte guardavam la traccia, Che venia verso noi, dell' altra banda, E che la ferza similmente scaccia.

DANTE, Inf.

8

Il buon maestro senza mia dimanda
Mi disse: guarda quel grande che viene,
E per dolor non par lagrima spanda.
Quanto aspetto reale ancor ritiene!

Quelli è lason, che per cuore e per senno
Li Colchi del monton privati fene.
Ello passò per l'isola di Lenno

Poichè le ardite femmine spietate' Tutti li maschi loro a morte dienno. Ivi con segni, e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta,

Che prima tutte l'altre avea ingannate.
Lasciolla quivi gravida e soletta:

Tal colpa a tal martiro lui condanna;
Ed anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna;
E questo basti della prima valle
Sapere, e di color che in sè assanna.
Già eravam là 've lo stretto calle

Con l'argine secondo s' incrocicchia,
E fa di quello ad un altr' arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia
Nell' altra bolgia, e che col muso sbuffa,
E sè medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d' una muffa,
Per l' alito di giù che vi si appasta,
Che con gli occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta

L'occhio a veder senza montare al dosso
Dell' arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso
Vidi gente attuffata in uno sterco,
Che dagli uman privati parea mosso.

E mentre ch' io laggiù con l'occhio cerco,
Vidi un col capo si di merda lordo,
Che non parea s' era laico o cherco.
Quei mi sgridò: perchè se' tu si ingordo
Di riguardar più me, che gli altri brutti?
Ed io a lui: perchè, se ben ricordo,
Già t'ho veduto coi capelli asciutti;
E sei Alessio Interminei da Lucca:
Però t' adocchio più che gli altri tutti.
Ed egli allor, battendosi la zucca:

Quaggiù m'hanno sommerso le lusinghe,
Ond' io non ebbi mai la lingua stucca.
Appresso ciò lo duca, fa che pinghe,
Mi disse, un poco il viso più avante,
Sicchè la faccia ben con gli occhi attinghe
Di quella sozza scapigliata fante,

Che là si graffia con l' unghie merdose, Ed or s'accoscia, ed or è in piede stante. Taïda è la puttana, che rispose

Al drudo suo, (quando disse: ho io grazie Grandi appo te?) anzi maravigliose:

E quinci sien le nostre viste sazie.

NOTE

(1)

E già nessuno

Le seconde aspettava, nè le terze: non che le terze. Perchè dico alle prime percosse, mentre che nessuno aspettava le seconde? nè per non che dal latino neque. V. FORCELLINI.

Così ristette, perciò si fermò.

(3) Ma chi, quid, qual colpa.

Da quella cerchia esterna ci partimmo, lasciammo d'andare attorno, e voltammo al centro. (5) Attienti ec. Attaccati ad un ronchione, e fa che il viso di questi altri malnati si scontri nel tuo, al che conviene che ti chini.

CANTO XIX.

Terza bolgia: i Simoniaci.

O Simon mago, o miseri seguaci,
Che le cose di Dio, che di bontate
Deon essere spose, e voi rapaci
Per oro e per argento adulterate;

Or convien che per voi suoni la tromba,
Perocchè nella terza bolgia state.
Già eravamo alla seguente tomba

Montati, dello scoglio in quella parte,
Che appunto sovra il mezzo fosso piomba.

O somma Sapienza, quanta è l'arte,

Che mostri in cielo, in terra, e nel mal mondo, E quanto giusto tua virtù comparte!

lo vidi per le coste e per lo fondo Piena la pietra livida di fori,

D' un largo tutti, e ciascuno era tondo. Non mi parean meno ampi, nè maggiori Che quei che son nel mio bel San Giovanni, Fatti per sfogo del Battezzatori'. (1)

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