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Denar si tolse, e lasciolli di piano,
Siccom' ei dice: e negli altri uffici anche
Barattier fu non picciol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche
Di Logodoro; ed a dir di Sardigna
Le lingue lor non si sentono stanche.
Ohimè! vedete l'altro che digrigna:
lo direi anche, ma io temo ch' ello
Non s' apparecchi a grattarmi la tigna.
E il gran Proposto volto a Farfarello,
Che stralunava gli occhi per ferire,
Disse: fatti in costà, malvagio uccello.
Se voi volete vedere, o udire,

Ricominciò lo spaurato appresso,
Toschi o Lombardi, io ne farò venire:
Ma stien li Malebranche un poco in cesso,
Sicchè non teman delle lor vendette:
Ed io seggendo in questo loco stesso,
Per un ch' io son, ne farò venir sette,
Quando sufolerò, com' è nostro uso
Di fare, allorchè fuori alcun si mette.
Cagnazzo a cotal motto levò il muso,
Crollando il capo, e disse: odi malizia,
Ch' egli ha pensato per gittarsi giuso.
Ond' ei, ch' avea lacciuoli a gran divizia,
Rispose: malizioso son io troppo,
Quando procuro a' miei maggior tristizia.
Alichin non si tenne, e di rintoppo
Agli altri, disse a lui: se tu

cali,

Io non ti verrò dietro di galoppo,
Ma batterò sovra la pece l' ali:
Lascisi il collo, e sia la ripa scudo,
A veder se tu sol più di noi vali.

O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
Ciascun dall' altra costa gli occhi volse;
Quel prima, che a ciò fare era più crudo.
Lo Navarrese ben suo tempo colse,
Fermò le piante a terra, ed in un punto (1)
Saltò, e dal Proposto lor si sciolse.
Di che ciascun di colpo fu compunto,
Ma quei più, che cagion fu del difetto:
Però si mosse e gridò: tu se' giunto.
Ma poco valse, chè l' ale al sospetto
Non potero avanzar: quegli andò sotto,
E quei drizzo volando suso il petto.
Non altrimenti l' anitra di botto,

Quando il falcon s' appressa, giù s'attuffa,

Ed ei ritorna su crucciato e rotto. Irato Calcabrina della buffa,

Volando dietro gli tenne, invaghito
Che quei campasse, per aver la zuffa.
E come il barattier fu disparito,

Così volse gli artigli al suo compagno,
E fu con lui sovra il fosso ghermito.
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno
Ad artigliar ben lui, ed ambodue
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Lo caldo sghermidor subito fue;

Ma però di levarsi era nïente,
Si avieno inviscate l' ale sue.
Barbariccia con gli altri suoi dolente
Quattro ne fe' volar dall' altra costa,
Con tutti i raffi; ed assai prestamente
Di qua di là discesero alla posta:

Porser gli uncini verso gli impaniati,
Ch' eran già cotti dentro della crosta,
E noi lasciammo lor così impacciati.

NOTE

(1) In un punto saltò, e dal Proposto lor si sciolse: sentirsi sciolto da Barbariccia, e saltare fu tutt' uno, perchè avea colto suo tempo, e fermati i piedi a terra mentre i diavoli deliberavano di ritirarsi, o no.

CANTO XXIII.

Sesta bolgia: gli ipocriti.

Taciti suso, e senza compagnia

N' andavam l'un dinanzi e l'altro dopo,
Come i Frati minor vanno per via.
Vôlto era in su la favola d' Isopo

Lo mio pensier per la presente rissa,
Dov' ei parlò della rana e del topo:
Chè più non si pareggia mo ed issa,
Che l' un con l' altro fa, se ben s' accoppia
Principio e fine con la`mente fissa.
E come l'un pensier dell' altro scoppia,
Cosi nacque di quello un altro poi,
Che la prima paura mi fe' doppia.
Io pensava così: questi per noi

Sono scherniti, e con danno e con beffa
Sì fatta, che assai credo che lor nôi:
Se l'ira sovra il mal voler s' aggueffa,
Ei ne verranno dietro più crudeli,
Che cane a quella levre ch' egli acceffa.

Già mi sentia tutto arricciar li peli
Dalla paura, e stava indietro attento,
Quand' io dissi: maestro, se non celi
Te e me tostamente, io ho pavento
Di Malebranche: noi gli avem già dietro:
Io gli immagino sì, che già li sento.
E quei: s' io fossi d' impiombato vetro,
L'immagine di fuor tua non trarrei
Più tosto a me, che quella d' entro impetro.
Pur mo venieno i tuoi pensier tra' miei
Con simil atto e con simile faccia,

Sicchè d' entrambi un sol consiglio fei.
S' egli è che sì la destra costa giaccia,
Che noi possiam nell' altra bolgia scendere,
Noi fuggirem l'immaginata caccia.
Già non compiè di tal consiglio rendere,
Ch' io li vidi venir con l' ali tese,
Non molto lungi, per volerne prendere.
Lo duca mio di subito mi prese,

Come la madre, ch' al romor è desta, E vede presso a sè le fiamme accese; Che prende il figlio, e fugge, e non s'arresta, Avendo più di lui, che di sè cura,

Tanto che solo una camicia vesta.

E giù dal collo della ripa dura

Supin si diede alla pendente roccia,
Che l'un de' lati all' altra bolgia tura.
Non corse mai si tosta aqua per doccia
A volger ruota di mulin terragno,
Quand' ella più verso le pale approccia;
Come il maestro mio per quel vivagno,
Portandosene me sovra il suo petto,
Come suo figlio, e non come compagno.

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