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Ciò che pria mi piaceva, allor m'increbbe,
E pentuto e confesso mi rendei,
Ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
Lo principe de' nuovi Farisei

Avendo guerra presso a Laterano,
E non con Saracin, nè con Giudei;
(Chè ciascun suo nimico era cristiano,
E nessuno era stato a vincer Acri,
Nè mercatante in terra di Soldano:)
Ne sommo ufficio, nè ordini sacri

Guardò in sè, nè in me quel capestro,
Che solea far li suoi cinti più macri.
Ma come Costantin chiese Silvestro
D'entro Siratti a guarir della lebbre,
Così mi chiese questi per maestro
A guarir della sua superba febbre:
Domandommi consiglio, ed io tacetti,
Perchè le sue parole parver ebbre.
E poi mi disse: tuo cor non sospetti,
Ch' io t' assolvo, se tu m' insegni fare
Siccome Penestrino in terra getti:
Lo ciel poss' io serrare e disserrare,
Come tu sai, però son due le chiavi,
Che il mio antecessor non ebbe care.
Allor mi pinser gli argomenti gravi
Là 've il tacer mi fu avviso il peggio,
E dissi: Padre, dacchè tu mi lavi
Di quel peccato, ove mo cader deggio;
Lunga promessa con l'attender corto
Ti farà trionfar nell' alto seggio.
Francesco venne poi, com' io fui morto,
Per me; ma un de' neri cherubini
Gli disse: nol portar, non mi far torto.

Venir se ne dee giù tra' miei meschini,
Perchè diede il consiglio frodolente,
Dal quale in qua stato gli sono a' crini;
Ch' assolver non si può chi non si pente:
Nè pentere e volere insieme puossi,
Per la contraddizion, che nol consente.
Oh me dolente! come mi riscossi

Quando mi prese dicendomi: forse
Tu non pensavi ch' io loico fossi!
A Minos mi portò; e quegli attorse
Otto volte la coda al dosso duro:
E poichè per gran rabbia la si morse,
Disse: questi è de' rei del fuoco furo:
Perch' io là dove vedi, son perduto,
E si vestito andando mi ́rancuro.
Quand' egli ebbe il suo dir così compiuto,
La fiamma dolorando si partio, (3)
Torcendo e dibattendo il corno acuto.
Noi passam' oltre, ed io e il duca mio,
Su per lo scoglio infino in su l' altr' arco,
Che copre il fosso, in che si paga il fio
A quei che scommettendo acquistan carco.

NOTE

(1). ... e queta per non dir più; quieta perchè non parlava più.

(2) Che dato avean la lingua. cioè alla lingua. CONV. Ponete mente la mia bellezza.

(3) Dolorando, mettendo lamenti dolorosi.

CANTO XXVIII.

Nona bolgia: i seminatori di discordia.

Chi poría mai pur con parole sciolte
Dicer del sangue, e delle piaghe appieno,
Ch' io ora vidi, per narrar più volte?
Ogni lingua per certo verria meno

Per lo nostro sermone, e per la mente, (1)
Che hanno a tanto comprender poco seno.
Se s' adunasse ancor tutta la gente,
Che già in su la fortunata terra
Di Puglia fu del suo sangue dolente
Per li Trojani, e per la lunga guerra, (2)
Che delle anella fe' si alte spoglie,
Come Livio scrive, che non erra;
Con quella, che sentio di colpi doglie
Per contrastare a Roberto Guiscardo,
E l'altra, il cui ossame ancor s'accoglie
A Ceperan, là dove fu bugiardo

Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,
Ove senz' arme vinse il vecchio Alardo;

E qual forato suo membro, e qual mozzo
Mostrasse; d' agguagliar sarebbe nulla
Il modo della nona bolgia sozzo.
Già veggia per mezzul perdere o lulla,
Com' io vidi un, così non si pertugia,
Rotto dal mento insin dove si trulla.
Tra le gambe pendevan le minugia,
La corata pareva, e il tristo sacco,
Che merda fa di quel che si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m' attacco,
Guardommi, e con le man s' aperse il petto
Dicendo: or vedi com' io mi dilacco:
Vedi come storpiato è Maometto:

Dinanzi a me sen va piangendo Ali
Fesso nel volto dal mento al ciuffetto:
E tutti gli altri, che tu vedi qui,
Seminator di scandalo, e di scisma
Fur vivi, e però son fessi così.
Un diavolo è qua dietro, che n' accisma
Si crudelmente, al taglio della spada
Rimettendo ciascun di questa risma,
Quand' avem volta la dolente strada;
Perocchè le ferite son richiuse
Prima ch' altri dinanzi gli rivada.
Ma tu chi se', che in su lo scoglio muse,
Forse per indugiar d'ire alla pena,
Che è giudicata in su le tue accuse?
Nè morte il giunse ancor, nè colpa il mena,
Rispose il mio maestro, a tormentarlo;
Ma per dar lui esperienza piena,
A me, che morto son, convien menarlo
Per lo Inferno quaggiù di giro in giro:
E questo è ver così com' io ti parlo.

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