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Dacchè tu vuoi saper cotanto addentro,
Dirotti brevemente, mi rispose,

Perch' io non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose,

Ch' hanno potenza di far altrui male; Dell' altre no, chè non son paurose. lo son fatta da Dio, sua mercè, tale, Che la vostra miseria non mi tange, Nè fiamma d' esto incendio non m' assale. Donna è gentil nel ciel, che si compiange Di questo impedimento, ov' io ti mando, Sicchè duro giudizio lassù frange. Questa chiese Lucia in suo dimando, (8) E disse: or abbisogna il tuo fedele Di te, ed io a te lo raccomando. Lucia nimica di ciascun crudele

Si mosse, e venne al loco, dov' io era, Che mi sedea con l'antica Rachele. Disse: Beatrice, loda di Dio vera,

Chè non soccorri quei, che t' amò tanto, Ch'uscio per te della volgare schiera? Non odi tu la pieta del suo pianto?

Non vedi tu la morte, che il combatte
Su la fiumana, ove il mar non ha vanto?
Al mondo non fur mai persone ratte

A far lor pro, od a fuggir lor danno,
Com' io dopo cotai parole fatte
Venni quaggiù dal mio beato scanno,
Fidandomi nel tuo parlare onesto,
Ch' onora te, e quei ch' udito l' hanno.
Poscia che m' ebbe ragionato questo,
Gli occhi lucenti lagrimando volse,
Perche mi fece del venir più presto..

E venni a te così com' ella volse;
D' innanzi a quella fiera ti levai,
Che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque che è? perchè, perchè ristai?
Perchè tanta viltà nel cor allette?
Perchè ardire e franchezza non hai;
Poscia che tai tre donne benedette
Curan di te nella corte del cielo,
E il mio parlar tanto ben ten promette?
Quale i fioretti dal notturno gelo

Chinati e chiusi, poichè il sol gli imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo;
Tal mi fec' io di mia virtute stanca,

E tanto buono ardire al cor mi corse,
Ch'io cominciai come persona franca:
Oh! Pietosa colei, che mi soccorse,
E tu cortese, che ubbidisti tosto
Alle vere parole, che ti porse!
Tu m' hai con desiderio il cor disposto
Si al venir con le parole tue,

Ch' io son tornato nel primo proposto.
Or va, ch' un sol voler è d' ambodue:
Tu duca, tu Signore, e tu maestro.
Così gli dissi, e poichè mosso fue,
Entrai per lo cammino alto e silvestro.

NOTE

(1) Gli animai, gli uomini, e solamente gli uomini, animali per autonomasia. Conv.

(2) O muse d'alto ingegno: Dante ha muse diverse secondo i diversi soggetti. Vedi C. 32

muse rozze.

(3) E il chi, e il quale, il quid et quale delle Scuole, quiddità e qualità, sostanza e accidenti, annessi, connessi, fine, tutto.

(4) E del papale ammanto, cioè della sede del Papa in Roma.

(5) Più che la stella. più che le stelle in cielo. (6) In tua favella: la Beatrice dei Filosofi non ha lingua propria; parla il greco coi greci, l' italiano cogli italiani.

(7) Quanto il moto lontana: lontanare è il verbo proprio del moto. Che è il moto? Un lontanare dal suo principio. Che fa il moto? lontana dal suo principio ecc.

(8) In suo dimando, in suo desiderio di toglier via detto impedimento.

CANTO III.

Vestibolo d' Inferno: i vili egoisti.

Per me si va nella città dolente;
Per me si va nell' eterno dolore;
Per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto Fattore:
Fecemi la Divina Potestate,

La somma Sapienza, e il primo Amore.
Dinanzi a me non fur cose create
Se non eterne, ed io eterno duro:
Lasciate ogni speranza voi ch' entrate.
Queste parole di colore oscuro

Vid' io scritte al sommo d' una porta;
Perch' io: maestro, il senso for m'è duro.

Ed egli a me come persona accorta:
Qui si convien lasciare ogni sospetto:
Ogni viltà convien che qui sia morta.
Noi sem venuti al loco, ov' io t'ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose,

Ch' hanno perduto il ben dell' intelletto.

E poichè la sua mano alla mia pose
Con lieto volto, ond' io mi confortai,
Mi mise dentro alle secrete cose.
Quivi sospiri, pianti, ed alti guai
Risonavan per l'aer senza stelle;
Perch' io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,

Parole di dolore, accenti d'ira,

Voci alte e fioche, e suon di man con elle Facevano un tumulto, il qual s'aggira Sempre in quell' aria senza tempo tinta, Come la rena quando il turbo spira. Ed io, ch' avea d'orror la testa cinta, Dissi: maestro, che è quel ch' io odo? E che gent' è, che par nel duol sì vinta? Ed egli a me: questo misero modo Tengon l'anime triste di coloro,

Che visser senza infamia e senza lodo. (1) Mischiati sono a quel cattivo coro

Degli angeli, che non furon ribelli, Ne fur fedeli a Dio, ma per sè foro. Cacciarli i ciel per non esser men belli; Nè lo profondo Inferno li riceve: Chè alcuna gloria i rei avrebber d'elli? Ed io: maestro, che è tanto greve A lor, che lamentar li fa sì forte? Rispose: dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte: (2) E la lor cieca vita è tanto bassa, Ch' invidiosi son d'ogni altra sorte. Fama di lor il mondo esser non lassa: Misericordia e Giustizia li sdegna:

Non ragioniam di lor; ma guarda e passa.

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