Recasti già mille lion per preda;
E che se fossi stato all' alta guerra De' tuoi fratelli, ancor par ch'e' si creda Ch' avrebber vinto i figli della terra;
Mettine giuso (e non ten venga schifo) Dove Cocito la freddura serra.
Non ci far ire a Tizio, nè a Tifo:
Questi può dar di quel che qui si brama; Però ti china, e non torcer lo grifo: Ancor ti può nel mondo render fama; Ch' ei vive, e lunga vita ancora aspetta, Se innanzi tempo grazia a sè nol chiama. Così disse il maestro; e quegli in fretta Le man distese, (e prese il duca mio ) Ond' Ercole sentì già grande stretta. Virgilio quando prender si sentio,
Disse a me: fatti in qua, sicch' io ti prenda: Poi fece sì, che un fascio era egli ed io. Qual pare a riguardar la Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada Sovr' essa si, che d'ello incontro penda; Tal parve Anteo a me, che stava a bada Di vederlo chinare; e fu tal ora Ch' io avrei voluto ir per altra strada. Ma lievemente al fondo, che divora Lucifero con Giuda, ci posò:
Ne si chinato li fece dimora, E come albero in nave si levò.
(1) Ond' io, maestro, di, che terra è questa? Che città è questa?
(2) Così cioè a poco a poco mi fuggì errore, e mi giunse paura.
Cocito diviso in quattro sfere: nella prima, Caina, sono i traditori dei consanguinei: nella seconda, Antenora, i traditori della patria.
S' io avessi le rime e aspre e chiocce, Come si converrebbe al tristo buco, Sovra il qual pontan tutte l' altre rocce; Io premerei di mio concetto il suco
Più pienamente; ma perch' io non l'abbo, Non senza tema a dicer mi conduco: Chè non è impresa da pigliare a gabbo Descriver fondo a tutto l' universo, Nè da lingua, che chiami mamma e babbo. Ma quelle donne ajutino il mio verso, Che ajutaro Anfïone a chiuder Tebe, Sicchè dal fatto il dir non sia diverso. Oh sovra tutte mal creata plebe,
Che stai nel loco, onde parlare è duro, Me' foste state qui pecore o zebe!
Come noi fummo giù nel pozzo scuro, Sotto i piè del gigante, assai più bassi, Ed io mirava ancora all' alto muro; Dicere udi' uno; guarda come passi, Fa si che tu non calchi con le piante Le teste di fratei miseri lassi. Perch' io mi volsi, e vidimi davante, E sotto i piedi un lago, che per gelo Avea di vetro, e non d' aqua sembiante. Non fece al corso suo si grosso velo Di verno la Danoja in Austericch, Nè il Tanai là sotto il freddo cielo, Com' era quivi: che, se Tabernicch Vi fosse su caduto, o Pietrapana, Non avria pur dall' orlo fatto cricch. E come a gracidar si sta la rana Col muso fuor dell' aqua, quando sogna Di spigolar sovente la villana; Livide, e infin là dove appar vergogna, Eran l'ombre dolenti nella ghiaccia, Mettendo i denti in nota di cicogna. Ognuno in giù tenea volta la faccia:
Da bocca il freddo, e dagli occhi il cor tristo Tra lor testimonianza si procaccia. Quando io ebbi d' intorno alquanto visto, Volsimi a' piedi, e vidi duo sì stretti, Che il pel del capo avieno insieme misto. Ditemi voi, che si stringete i petti,
Diss' io, chi siete: e quei piegaro i colli, E poi ch' ebber li visi a me eretti,
Gli occhi lor, ch' eran pria, pur dentro, molli; Gocciar su per le labbra, è il gelo strinse (1) Le lagrime tra esse, e riserrolli.
Legno con legno spranga mai non cinse Forte così; ond' ei, come duo becchi Cozzaro insieme, tant' ira li vinse. Ed un ch' avea perduti ambo gli orecchi Per la freddura, pur col viso in giue, Disse: perchè cotanto in noi ti specchi? Se vuoi saper chi son cotesti due,
La valle, onde Bisenzio si dichina, Del padre loro Alberto e di lor fuc: D'un corpo usciro; e tutta la Caina Potrai cercare, e non troverai ombra Degna più d'esser fitta in gelatina: Non quelli, a cui fu rotto il petto
Con esso un colpò per la man d' Artù, Non Focaccia; non questi che m' ingombra Col capo sì, ch' io non veggio oltre più, E fu nomato Sassol Mascheroni:
Se Tosco se', ben sai omai chi fu. E perchè non mi metti in più sermoni, Sappi ch' io fu' il Camicion de' Pazzi, Ed aspetto Carlin che mi scagioni. Poscia vid' io mille visi cagnazzi
Fatti per freddo; onde mi vien riprezzo, E verrà sempre, de' gelati guazzi. E mentre che andavamo in ver lo mezzo, Al quale ogni gravezza si rauna, Ed io tremava nell' eterno rezzo; Se voler fu, o destino, o fortuna,
Non so; ma passeggiando tra le teste, Forte percossi il piè nel viso ad una. Piangendo mi sgridò: perchè mi peste? Se tu non vieni a crescer la vendetta Di Montaperti, perchè mi moleste?
« IndietroContinua » |