Ed io; maestro mio: or qui m'aspetta, Che bestemmiava duramente ancora: E dissi e' converrà che tu ti nomi, O che capel qui su non ti rimagna. Ond' egli a me: perchè tu mi dischiomi, Ne ti dirò ch' io sia, nè mostrerolti, Se mille fiate in sul capo mi tômi. lo aveva già i capelli in mano avvolti, E tratti glien avea più d' una ciocca, Latrando lui con gli occhi in giù raccolti; Quand' un altro gridò: che hai tu Bocca? Non ti basta sonar con le mascelle, Se tu non latri? qual diavol ti tocca? Omai, diss' io, non vo' che tu favelle, Malvagio traditor; chè alla tua onta lo porterò di te vere novelle. Va via, rispose, e ciò che tu vuoi, conta: Ma non tacer, se tu di qua entr' eschi, Di quel ch' ebbe or così la lingua pronta. Ei piange qui l' argento de' Franceschi: Ch' io vidi duo giacenti in una buca Sì, che l' un capo all' altro era cappello: E come i pon per fame chi manduca, (2) Così il sovran li denti all' altro pose, Là 've il cervel s' aggiunge con la nuca. Non altrimenti Tideo sì rôse Le tempie a Menalippo per disdegno, Che quei faceva il teschio e l'altre cose. O tu, che mostri per sì bestial segno Odio sovra colui, che tu ti mangi, Dimmi il perchè, diss' io, per tal convegno, Che se tu a ragion di lui ti piangi, Sappiendo chi voi siete, e la sua pecca, Nel mondo suso ancor io te ne cangi, Se quella, con che io parlo, non si secca. NOTE (1) Gocciar su per le labbra, cioè appena fuori delle palpebre all' intorno: Ved. Epist. ai principi popoli d'Italia sul principio: e strinse le lagrime tra esse, cioè strinse lagrime con lagrime, come spranga stringe legno con legno. (2) Porre i denti, usare i denti, lavorare coi denti, mangiare, rodere ec. CANTO XXXIII. Ancor dei traditori della patria: poi dei traditor i degli amici nella Tolommea. La bocca sollevò dal fiero pasto Che per l'effetto de' suo' ma' pensieri, La qual per me ha il titol dalla fame, Più lume già, quand' io feci il mal sonno, Che del futuro mi squarciò il velame. Questi pareva a me maestro e donno, Cacciando il lupo e i lupicini al monte, Per che i Pisan veder Lucca non ponno. Con cagne magre, studiosc, e conte Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi S' avea messi dinanzi dalla fronte. In picciol corso mi pareano stanchi Lo padre e i figli; e con l' acute scane Mi parea lor veder fender li fianchi. Quind' io fui desto innanzi la dimane: Pianger senti' fra il sonno i miei figliuoli, (Ch'erano meco!) e dimandar del pane. Ben se' crudel, se tu già non ti duoli, Pensando ciò che il mio cor s' annunziava; E se non piangi, di che pianger suoli? Già eran desti, e l' ora s' appressava, Che il cibo ne soleva esser addotto, E per suo sogno ciascun dubitava: Ed io sentii chiavar l'uscio di sotto All' orribile torre; ond' io guardai Nel viso a' miei figliuoi senza far motto. |