Dacchè tu vuoi saper cotanto addentro, Perch' io non temo di venir qua entro. Ch' hanno potenza di far altrui male; Dell' altre no, chè non son paurose. lo son fatta da Dio, sua mercè, tale, Che la vostra miseria non mi tange, Nè fiamma d' esto incendio non m' assale. Donna è gentil nel ciel, che si compiange Di questo impedimento, ov' io ti mando, Sicchè duro giudizio lassù frange. Questa chiese Lucia in suo dimando, (8) E disse: or abbisogna il tuo fedele Di te, ed io a te lo raccomando. Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse, e venne al loco, dov' io era, Che mi sedea con l'antica Rachele. Disse: Beatrice, loda di Dio vera, Chè non soccorri quei, che t' amò tanto, Ch'uscio per te della volgare schiera? Non odi tu la pieta del suo pianto? Non vedi tu la morte, che il combatte A far lor pro, od a fuggir lor danno, E venni a te così com' ella volse; Chinati e chiusi, poichè il sol gli imbianca, E tanto buono ardire al cor mi corse, Ch' io son tornato nel primo proposto. NOTE (1) Gli animai, gli uomini, e solamente gli uomini, animali per autonomasia. Conv. (2) O muse d'alto ingegno: Dante ha muse diverse secondo i diversi soggetti. Vedi C. 32 muse rozze. (3) E il chi, e il quale, il quid et quale delle Scuole, quiddità e qualità, sostanza e accidenti, annessi, connessi, fine, tutto. (4) E del papale ammanto, cioè della sede del Papa in Roma. (5) Più che la stella. più che le stelle in cielo. (6) In tua favella: la Beatrice dei Filosofi non ha lingua propria; parla il greco coi greci, l' italiano cogli italiani. (7) Quanto il moto lontana: lontanare è il verbo proprio del moto. Che è il moto? Un lontanare dal suo principio. Che fa il moto? lontana dal suo principio ecc. (8) In suo dimando, in suo desiderio di toglier via detto impedimento. CANTO III. Vestibolo d' Inferno: i vili egoisti. Per me si va nella città dolente; La somma Sapienza, e il primo Amore. Vid' io scritte al sommo d' una porta; Ed egli a me come persona accorta: Ch' hanno perduto il ben dell' intelletto. E poichè la sua mano alla mia pose Parole di dolore, accenti d'ira, Voci alte e fioche, e suon di man con elle Facevano un tumulto, il qual s'aggira Sempre in quell' aria senza tempo tinta, Come la rena quando il turbo spira. Ed io, ch' avea d'orror la testa cinta, Dissi: maestro, che è quel ch' io odo? E che gent' è, che par nel duol sì vinta? Ed egli a me: questo misero modo Tengon l'anime triste di coloro, Che visser senza infamia e senza lodo. (1) Mischiati sono a quel cattivo coro Degli angeli, che non furon ribelli, Ne fur fedeli a Dio, ma per sè foro. Cacciarli i ciel per non esser men belli; Nè lo profondo Inferno li riceve: Chè alcuna gloria i rei avrebber d'elli? Ed io: maestro, che è tanto greve A lor, che lamentar li fa sì forte? Rispose: dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte: (2) E la lor cieca vita è tanto bassa, Ch' invidiosi son d'ogni altra sorte. Fama di lor il mondo esser non lassa: Misericordia e Giustizia li sdegna: Non ragioniam di lor; ma guarda e passa. |