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Io non piangeva, sì dentro impietrai:
Piangevan elli, ed Anselmuccio mio
Disse: tu guardi sì, padre, che hai?
Però non lagrimai, nè rispos' io
Tutto quel giorno, nè la notte appresso,
Infin che l' altro sol nel mondo uscio.
Come un poco di raggio si fu messo
Nel doloroso carcere, ed io scorsi
Per quattro visi il mio aspetto stesso;
Ambe le mani per dolor mi morsi;

E quei pensando ch' io il fessi per voglia
Di manicar, di subito levorsi,

E disser: padre, assai ci fia men doglia
Se tu mangi di noi: tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia.
Quetami allor per non farli più tristi:
Quel dì e l'altro stemmo tutti muti:
Ahi! dura terra, perchè non t' apristi.
Poscia che fummo al quarto di venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi
Dicendo: padre mio, chè non m' ajuti?
Quivi mori: e come tu mi vedi,

Vid' io cascar li tre ad uno ad uno
Tra il quinto di e il sesto: ond' io mi diedi,
Già cieco, a brancolar sovra ciascuno;

E tre di li chiamai poichè fur morti: Poscia più che il dolor potè il digiuno. Quand' ebbe detto ciò con gli occhi torti, Riprese il teschio misero co' denti,

Che furo all'osso, come d'un can, forti.
Ahi Pisa, vitupero delle genti

Del bel paese là dove il Sì suona!
Poichè i vicini a te punir son lenti,

Movasi la Capraja, o la Gorgona,

E faccia siepe ad Arno in su la foce,
Sicch' egli anneghi in te ogni persona.
Chè se il Conte Ugolino aveva voce
D' aver tradita te delle castella,

Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
Innocenti facea l' età novella,

(Novella Tebe!) Uguccione e il Brigata,
È gli altri duo, che il canto suso appella.
Noi passamm' oltre, là 've la gelata
Ruvidamente un' altra gente fascia,
Non volta in giù, ma tutta riversata.
Lo_pianto stesso lì pianger non lascia,

E il duol, che trova in su gli occhi rintoppo,
Si volve in entro a far crescer l'ambascia:
Chè le lagrime prime fanno groppo,
E siccome visiere di cristallo,

Riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
Ed avvegnachè, siccome d'un callo,
Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo;
Già mi parea sentire alquanto vento;
Perch' io; maestro mio, questo chi move?
Non è quaggiuso ogni vapore spento?
Ond' egli a me: avaccio sarai dove

Di ciò ti farà l'occhio la risposta,
Veggendo la cagion che il fiato piove.
Ed un de' tristi della fredda crosta
Gridò a noi; o anime crudeli

Tanto, che data v'è l'ultima posta,
Leyatemi dal viso i duri veli,

Sicch' io sfoghi il dolor, che il cor m' impregna,
Un poco, pria che il pianto si raggeli.

Perch' io a lui: se vuoi ch' io ti sovvegna,
Dimmi chi se'; e s' io non ti disbrigo,
Al fondo della ghiaccia ir mi convegna.
Rispose adunque: io son frate Alberigo,
lo son quel dalle frutta del mal orto,
Che qui riprendo dattero per figo.
Oh, dissi lui, se' tu ancor morto?

Ed egli a me: come il mio corpo stea
Nel mondo su, nulla scienza porto:
Cotal vantaggio ha questa Tolommea,
Che spesse volte l'anima ci cade
Innanzi che Atropós mossa le dea.
E perchè tu più volentier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto,
Sappi che tosto che l' anima trade
Come fec' io, il corpo suo l'è tolto
Da un dimonio, che poscia il governa
Mentre che il tempo suo tutto sia volto.
Ella ruina in sì fatta cisterna;

E forse pare ancor lo corpo suso

Dell'ombra, che di qua dietro mi verna: Tu 'l dei saper, se tu vien pur mo giuso: Egli è ser Branca d' Oria, e son più anni Poscia passati, ch' ei fu si racchiuso. Io credo, diss' io lui, che tu m' inganni: Chè Branca d' Oria non morì unquanche; E mangia, e bee, e dorme, e veste panni. Nel fosso su, diss' ei, di Malebranche, Là dove bolle la tenace pece,

Non era giunto ancora Michel Zanche, Che questi lasciò un diavolo in sua vece Nel corpo suo, ed un suo prossimano, (1) Che il tradimento insieme con lui fece.

Ma distendi oramai in qua la mano,
Aprimi gli occhi: ed io non glieli apersi,
E cortesia fu lui esser villano.
Ahi Genovesi, uomini diversi

D'ogni costume, e pien d' ogni magagna,
Perchè non siete voi del mondo spersi?
Che col peggiore spirto di Romagna
Trovai un tal di voi, che per su' opra
In anima in Cocito già si lagna,
Ed in corpo par vivo ancor di sopra.

NOTE

(1) Nel corpo suo, ed un suo prossimano: Branca d' Oria, ed un suo prossimano che con lui insieme fece il tradimento, lasciarono due diavoli nei corpi loro, ciascuno uno nel suo.

CANTO XXXIV.

La Giudecca, ove sono i traditori dei superiori legittimi, e per conseguente, amici, e benefattori, e eongiunti.

Vexilla regis prodeunt Inferni

Verso di noi: però dinanzi mira,

Disse il maestro mio, se tu il discerni.
Come quando una grossa nebbia spira,
O quando l'emisperio nostro annotta,
Par da lungi un mulin che il vento gira;
Veder mi parve un tal dificio allotta:
Poi per lo vento mi ristrinsi retro
Al duca mio, chè non v' era altra grotta.
Già era (e con paura il metto in metro)
Là dove l'ombre tutte eran coverte,
E trasparean come festuca in vetro.
Altre stanno a giacere, altre stanno erte,
(Quella col capo, e quella con le piante,)
Altra com' arco il volto a' piedi inverte.

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