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Ed io, che del color mi fui accorto,
Dissi: com' io verrò, se tu paventi,
Che suoli al mio dubbiare esser conforto?
Ed egli a me: l'angoscia delle genti
Che son quaggiù, nel viso mi dipinge
Quella pietà, che tu per tema senti.
Andiam, chè la via lunga ne sospinge.
Così si mise, e così mi fe' entrare
Nel primo cerchio, che l'abisso cinge.
Quivi, second' occhio e per ascoltare,
Non avea pianto, ma che di sospiri,
Che l'aura eterna facevan tremare.
E ciò avvenía di duol senza martiri,

Ch' avean le turbe, (ch' eran molte e grandi,)
E d'infanti, e di femmine, e di viri.
Lo buon maestro a me: tu non dimandi
Che spiriti son questi, che tu vedi?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
Ch' ei non peccaro; e s' elli hanno mercedi,
Non basta, perch' ei non ebber battesmo, (2)
Che è porta della fede che tu credi.
E se furon dinanzi al Cristianesmo,
Non adorar debitamente Dio:

(E di questi cotai son io medesmo. )
Per tai difetti, e non per altro rio,
Sono perduti, e son di tanto offesi,
Che senza speme vivono in disio.
Gran duol mi presse il cor, quando l' intesi;
Perocchè genti di molto valore

Conobbi che in quel limbo eran sospesi.
Dimmi, maestro mio, dimmi Signore,
(Comincia' io per voler esser certo
Di quella fede, che vince ogni errore: }

Uscinne mai alcuno, o per suo merto,
O per l'altrui, che poi fosse beato?
E quei che intese il mio parlar coverto,
Rispose: io era nuovo in questo stato,
Quando ci vidi venire un Possente
Con segno di vittoria incoronato:
Trassèco l'ombra del primo parente, (3)
D' Abel suo figlio, e quella di Noè,
Di Moisè legista, e l' obbediente
Abraam patriarca, e David re,

Israel con suo padre, e co' suoi nati,
E con Rachele, per cui tanto fe',
Ed altri molti; e feceli beati.

E vo' che sappi, che dinanzi ad Essi,
Spiriti umani non eran salvati.
Non lasciam l' andar perch' ei dicessi,
Ma passavam la selva tuttavia,
La selva dico di spiriti spessi.
Non era lunga ancor la nostra via

Di qua dal sommo, quand' io vidi un foco, (4) Ch' emisperio di tenebre vincia.

Di lungi v' eravamo ancor un poco,

Ma non sì, ch' io non discernessi in parte,
Ch' orrevol gente possedea quel loco.
O tu, ch' onori ogni scienza ed arte,
Questi chi son, ch' hanno cotanta onranza,
Che dal modo degli altri li diparte?

E quegli a me: l'onrata nominanza,
Che di lor suona su nella tua vita,
Grazia acquista nel ciel, che sì gli avanza.
Intanto voce fu per me udita:

Onorate l'altissimo poeta:

L'ombra sua torna, ch' era dipartita.

Poichè la voce fu restata e queta,
Vidi quattro grand' ombre a noi venire:
Sembianza avevan nè trista, nè lieta.
Lo buon maestro cominciommi a dire:
Mira colui con quella spada in mano,
Che vien dinanzi a' tre siccome Sire:
Quegli è Omero, poeta sovrano;

L'altro è Orazio satiro che viene,
Ovidio è il terzo, e l'ultimo è Lucano.
Perocchè ciascun meco si conviene
Nel nome, che sonò la voce sola,
Fannomi onore, e di ciò fanno bene.
Così vidi adunar la bella scuola

Di quei Signor dall' altissimo canto,
Che sovra gli altri com' aquila_volą.
Dacch' ebber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno,
(E il mio maestro sorrise di tanto: )
E più d'onore ancora assai mi fenno,
Ch' ivi mi fecer della loro schiera,
Sì ch' io fui sesto tra cotanto senno.
Così n' andammo infino alla lumiera,
Parlando cose, che il tacere è bello,
Siccom' era il parlar colà dov' era.
Venimmo appiè d' un nobile castello,
Sette volte cerchiato d' alte mura,
Difese intorno da un bel fiumicello.

Questo passammo come terra dura: (5)
Per sette porte intrai con questi savi:
Giugnemmo in prato di fresca verdura.
Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
Di grande autorità ne' lor sembianti;
Parlavan rado, con voci soavi.

Traemmoci così dall' un de' canti
In luogo aperto, luminoso, ed alto,
Sicchè veder si potean tutti quanti.
Colà diritto, sopra il verde smalto,
Mi fur mostrati gli spiriti magni,
Che di vederli in me stesso m' esalto.
lo vidi Elettra con molti compagni,
Tra quai conobbi ed Ettore ed Enea;
Cesare armato con gli occhi grifagni:
Vidi Camilla e la Pentesilea:

Dall' altra parte io vidi il Re latino,
Che con Lavinia sua figlia sedea:
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Julia, Marzia, e Corniglia,
E solo in parte vidi il Saladino.
Poichè innalzai un poco più le ciglia,
Vidi il maestro di color che sanno
Seder tra filosofica famiglia.

Tutti l'ammiran, tutti onor gli fanno:
Quivi vid' io e Socrate e Platone,

Che innanzi agli altri più presso gli stanno: Democrito che il mondo a caso pone, Diogenes, Anassagora, e Tale, Empedocles, Eraclito, e Zenone: E vidi il buon accoglitor del quale, Dioscoride dico; e vidi Orfeo, Tullio e Livio e Seneca morale: Euclide geometra, e Tolommeo, Ippocrate, Avicenna, Galieno, Averrois, che il gran comento feo .. Io non posso ritrar di tutti appieno, Perocchè si mi caccia il lungo tema,

Che molte volte al fatto il dir vien meno.

La sesta compagnia in duo si scema;
Per altra via mi mena il savio duca
Fuor della queta nell'aura che trema:
E vengo in parte, ove non è che luca.

NOTE

(1) Ottusa fatta a bacino, e non a pozzo, e però possibile a discendere persona viva.

(2) Perchè non ebber battesmo ecc. perchè furono infedeli, non cristiani.

(3) Trassèco, trasse seco: C. 29 Signorso, signor suo.

(4) Di qua dal sommo. L' Inferno è sotto Gerusalemme: Dante vi entra dall' Oriente di Gerusalemme, e ne scrive l'ingresso da Firenze all' Occidente di Gerusalemme.

(5) Come terra dura, a piè secco nel Conv: senza veruna difficoltà.

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