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In questo fondo della trista conca
Discende mai alcun del primo grado,
Che sol per pena ha la speranza cionca?
Questa question fec' io: e quei, di rado
Incontra, mi rispose, che di nui
Faccia il cammino alcun, per quale io vado.
Vero è ch'altra fiata quaggiù fui,
Congiurato da quella Eriton cruda,
Che richiamava l' ombre a' corpi sui.
Di poco era di me la carne nuda,

Ch' ella mi fece entrar dentro a quel muro,
Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
Quello è il più basso loco e il più oscuro,
E il più lontan dal ciel che tutto gira:
Ben so il cammin; però ti fa sicuro.
Questa palude, che il gran puzzo spira,
Cinge dintorno la città dolente,

U' non potemo entrare omai senz' ira.
Ed altro disse, ma non l' ho a mente,
Perocchè l' occhio m' avea tutto tratto
Vêr l'alta torre alla cima rovente,
Ove in un punto vidi dritte ratto
Tre furie infernai di sangue tinte,
Che membra femminili aveano ed atto;
E con idre verdissime eran cinte,

Serpentelli, o ceraste avean per crine,
Onde le fiere tempie erano avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine
Della regina dell' eterno pianto,
Guarda, mi disse, le feroci Erine.
Questa è Megera dal sinistro canto,
Quella, che piange dal destro, è Aletto,
Tesifone è nel mezzo: e tacque a tanto.

Con l' unghie si fendea ciascuna il petto;
Batteansi a palme, e gridavan sì alto,
Ch' io mi strinsi al poeta per sospetto:
Venga Medusa, sì il farem di smalto,

Gridavan tutte tre, guardando in giuso,) Mal non vengiammo in Teseo l'assalto. Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso,

Chè, se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, Nulla sarebbe del tornar mai suso.

Così disse il maestro; ed egli stessi

Mi volse, e non si tenne alle mie mani, Che con le sue ancor non mi chiudessi. O voi, ch' avete gli intelletti sani,

Mirate la dottrina, che s' asconde Sotto il velame delli versi strani. E già venia su per le torbid' onde

Un fracasso d'un suon pien di spavento, Per cui tremavan ambedue le sponde: Non altrimenti fatto che d' un vento Impetuoso per gli avversi ardori,

Che fier la selva, e senza alcun rattento Li rami schianta, abbatte, e portan' fuori; (1) Dinanzi polveroso va superbo,

E fa fuggir le fiere, e gli astori.

Gli occhi mi sciolse e disse: or drizza il nerbo
Del viso sú per quella schiuma antica,
Per indi, ove quel fumo è più acerbo.

Come le rane innanzi alla nimica

Biscia per l'aqua si dileguan tutte,
Finchè alla terra ciascuna s'abbica;
Vid' io più di mill' anime distrutte
Fuggir così dinanzi ad un, che al passo
Passava Stige con le piante asciutte.

Dal volto rimovea quell' aer grasso,
Menando la sinistra innanzi spesso;
E sol di quell' angoscia parea lasso.
Ben m'accors' io ch' egli era del ciel messo,
E volsimi al maestro; e quei fe' segno
Ch' io stessi cheto, ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Giunse alla porta, e con una verghetta
L'aperse, che non v' ebbe alcun ritegno.
O cacciati del ciel, gente dispetta,
(Cominciò egli in su l' orribil soglia,)
Ond' esta oltracotanza in voi s' alletta?
Perchè ricalcitrate a quella voglia,

A cui non puote il fin mai esser mozzo,
E che più volte v' ha cresciuta doglia?
Che giova nelle fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,

Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo. Poi si rivolse per la strada lorda,

E non fe' motto a noi; ma fe' sembiante D'uomo, cui altra cura stringa e morda, Che quella di colui, che gli è davante.

E noi movemmo i piedi in vêr la terra, Sicuri appresso le parole sante. Dentro v' entrammo senza alcuna guerra: Ed io ch' avea di riguardar desio La condizion che tal fortezza serra; Com' io fui dentro, l'occhio intorno invio; E veggio ad ogni man grande campagna Piena di duolo, e di tormento rio. Siccome ad Arli, ove il Rodano stagna, Siccome a Pola presso del Quarnaro, Che Italia chiude, e i suoi termini bagna,

Fanno i sepolcri tutto il loco varo;
Così 'l facevan quivi d' ogni parte,
Salvo che il modo v' era più amaro:
Chè tra gli avelli fiamme erano sparte,
Per le quali eran sì del tutto accesi,
Che ferro più non chiede verun' arte.
Tutti li lor coperchi eran sospesi,

E fuor n' uscivan sì duri lamenti,
Che ben parean di miseri e d'offesi.
Ed io: Maestro, quai son quelle genti,
Che seppellite dentro da quell' arche,
Si fan sentir con li sospir dolenti?
Ed egli a me: qui son gli eresiarche
Color seguaci d'ogni setta, e molto
Più che non credi, son le tombe carche.
Simile qui con simile è sepolto,

Ei monimenti son più, e men caldi:
E poichè alla man destra si fu vôlto,
Passammo tra i martiri e gli alti spaldi.

NOTE

(1) E portan' fuori: alcuni de' rami schiantati

li porta fuori della Selva.

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