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IN AREZZO MDCCLXIX.
PER MICHELE BELLOTTI Stampat. Vefc. all' Infegna del PETRARCA.

CON LICENZA DE SUPERIORI,

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OIKOTMA COIVOCIO

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DELLA PERFETTA POESIA, ITALIANA, SPIEGATA E DIMOSTRÁTA CON VARIE ÖSSERVAZIONI DA LODOVICO ANTONIO MURATORI, CON LE ANNOTAZIONI CRITICHE DELL'ABATE ANTON-MARIA SALVINIT PUBBLICO LETTORE DI FIRENZE, E ACCADEMICO DELLA CRUSCA, DIVISA IN DUE PARTI.

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LIBRO TERZ O.

CAPITOLO

PRIMO.

Utile, e Diletto fi debbono arrecar dalla Poefia. Talor bafta il Diles to, ma il Diletto fano. Utile neceffario ne grandi Poemi. Come s'abbia a lavorare la nobile, e perfetta Poefia. Omero, ed altri in ciò riprefi.

O mi fon pofto alle volte, o Illuftrifs. ed Eccel lentifs. Sig. March. Aleffandro Botta- Adorno, a confiderar fra me fteffo, da qual fonte proceda e la gentilezza de' coftumi, e la foavità del conver fare, e la vivacità de' ragionamenti, che in voi oltre a molte altre invidiabili doti s'ammirano, e con cui fate, che il nome voftro fia conofciuto da tanti, e che chiunque vi conofce ancor vi riverifca ed ami. Cer tamente, nol niego, il nobiliffimo voftro legnaggio può avervi for nito di un sì riguardevole corteggio di pregi. In voi co i femi della vita faranno paffati i femi di quelle rare. Virtù, per cui ne' fecoli addietro tanti vostri Antenati ora prudenti Dogi, ora prodi Guerrieri, ora famofi Letterati, o nel governo della Repubblica Genovefe, onella difefa dello Stato di Milano fotto i primi fuoi Duchi o fot to i Re delle Spagne, giunfeto a formare una delle più maestose e A 2

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gloriofe piante d'Italia, di cui voi fiete ora un così degno germoglio. Ma tuttochè io veneri voi per lo fplendore de' vostri Natali pure perdonatemi, fe più volentieri da un'altra cagione che da quefta io vo' credere originato lo fplendore delle vostre amabili maniere di vivere. Non a un dono della Fortuna, che tale appunto è il nafcere di fangue Nobile, e molto più l'ereditar col fangue l'indole generofa de Maggiori, ma all'industria e cura di voi medefimo, cioè ad un proprio merito voftro, mi giova attribuire quella dolce concordia di belle opere e di parole, con cui legate a voi gli animi altrui.

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Le belle Lettere, che non per altro furono chiamate Umane, fe non perchè ifpirano l'umanità e la gentilezza in chi le apprende e coltiva: quelle furono, che apprefe e coltivate da voi, principalmente vi dettarono, e vi dettano i più fini Affiomi dell'Arte di farfi amare. Ove queste non aveffero dirozzato e ingentilito l'animo voftro, e levatagli la naturale falvatichezza a tutti comune, chi fa che ancor voi non fofte incorso nella disavventura de' buoni terreni, quali benchè privilegiati dalla Natura, fe non fono dall'Arte ammaestrati, e di nobile femenza provveduti, folamente producono o ignobili erbe, o viliffimi bronchi? Nelle civili converfazioni e nel commercio del Mondo chi porta coftumi afpri e difpiacevoli, nè fa condire con qualche buon fapore i ragionamenti fuoi, coftui anche non volendo confeffa, che i paefi delle Mufe non fono a lui meno incogniti, che quei della vastiffima Tartaria. Aggiugnete ora voi quefta, poco bensì offervata, ma pure tanto preziofa utilità alle altre, che in voi ridondano dallo ftudio delle Lettere amene. Poi lasciatemi conchiudere, che queste non hanno avuta poca parte nel farvi compiuto Cavaliere, e nel perfezionare in voi l'aurea lega di tutte quel le illuftri Virtù, per cui la voftra Nobiltà, sì diftinta per se steffa da tante altre, può ora gareggiar colle prime. Ma dappoichè abbia mo lievemente accennata una delle utilità rimote, che fi traggono da sì fatti ftudj, tempo è che voi meco paffiate a rimirarne dell' altre, che fono più proprie ed effenziali all' Arte de' Poeti, anzi una delle Cagioni finali della miglior Poefia.

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Imperocchè i Ragionamenti miei altro finquì non hanno intefo, che difcoprir le Virtù, e i Vizj della Poefia, confiderandola in fe fteffa, e come Arte fabbricante, intenta ad apportar diletto. Il che facendo io, mi fono ftudiato di condurre i Lettori a comprendere in parte qual fia l'interna, ed immediata perfezion di queft' Arte. Ora è neceffario confiderarla, come parte della Filofofia Morale, e della

Politica, cioè come Arte, che dee parimente effer' utile, e indirizzata al bene della Repubblica. Sotto la qual confiderazione più vo 'lentieri da alcuni effa vuot nominari non Poefia, ma Poetica. Io nulladimeno continuerò a chiamarla Poesia, ficcome ho fatto finquì, poco importando al propofito noftro l'ufare una sì fatta diftinzion di Nomi, pofciachè abbastanza s'intende, ch'io parlo di quell' Arte, che fa verfi, e Poemi. E ben fra gli Scrittori è stata gran contefa intorno allo stabilire, qual fia il fin di tal' Arte, foftenendo alcuni, che fia il Diletto, ed altri l'Utile; o pur l'uno, e l'altro infieme, fervendo non per decidere, ma per continuar la lite, que' due verfi d'Orazio:

Aut prodeffe volunt, aut delectare Poetae;

Aut fimul, & jucunda, & idonea dicere vitae.

Per quanto a me ne pare, e per quanto s'è detto altrove, può una tal quiltione ridurfi ai due principj teftè accennati, e brevemente deciderfi in quefta maniera. O fi confidera la Poefia come Poesia, ed Arte fabbricante i fuoi Idoli: e allora il fuo vero, ed immediato fine fi è l'apportar Diletto; e di ciò s'è per noi ragionato. O noi confideriamo la Poefia, come Arte foggetta alla Politica, e come parte, o miniftra della Filofofia de' coftumi: e l'Utile allora ha da chiamarsi il fuo vero, e proprio fine, dovendo tutte le Arti giovare all' Uomo, cioè le nobili all' Animo, e le meccaniche al Corpo. E perchè niun' Arte può efentarfi da quefta foggezione alla Politica, la quale indirizza tutti gli ftudj, ed ogni Arte al buon governo, e alla felicità de' Cittadini, per confeguente dovrà la Poefia fempre aver per fine oltre al Diletto, ancor l'Utile. Sicchè il proffimo, immediato, ed effenzial fine de' Poeti è il dilettare; il fecondario è il giovare ai loro afcoltanti, e Lettori. La Poefia dunque per giungere alla più alta fua cima, avrà non folamente da rapprefentare il Vero più maraviglioso, nuovo, e pellegrino, della Natura; ma eziandio da cercare attentamente il Buono profittevole all' umana Repubblica. Questa lega del Vero, e del Buono, qualor fi truovi ne' Poemi, e fia maneggiata da una feconda Fantafia, e da un fortunato Ingegno, e le affifta il Giudizio, effa formerà quel compiuto Bello che fi richiede all'intera perfezione della Poefia, e che dal mentovato Orazio fu ristretto in quel verfo:

Omne tulit punctum, qui mifcuit utile dulci. Effendo poi il dilettare l'effenzial fine de' Poeti, come non dee mettersi in dubbio da chi ben pefa le cofe, per confeguenza errano

coloro,

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