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ri, omogeneo ad ogni genere di scrittura, sia quello che parlasi propriamente dal popolo della Città di Venezia, la quale per tanti secoli fu metropoli d'un floridissimo Stato e madre feconda d' uomini illustri nelle scienze, nella politica, nella nautica, nella poesia, nell' eloquenza estemporanea, nelle belle arti e in ogni maniera di coltura.

Qual altro in fatti de' dialetti italiani si mostrò con più facile riuscita rivale nella forza e nelle grazie all'antica sua madre (1)? Grave e fecondo persuase nella tribuna de' comizii Veneti, e si ricordano con onore nella storia, tra mille altri, i nomi illustri degli arringatori patrizii, Francesco Foscari Doge, Alvigi Molin, Bernardo Navagero, Marcantonio Cornaro, Giacomo Soranzo, Girolamo Grimani, Nicolò Contarini, Alessandro Zorzi, Leonardo Donato, Leonardo Emo, Giovanni da Pesaro, Batista Nani; e li recenti Marco Foscarini Doge, Carlo Contarini, Giuliano

(1) Pon tico Virunio che fiori nel secolo XV, ne' suoi Commentarii alla grammatica greca del Guarino, fa molto elogio all' idioma Veneto, nel quale rileva appunto tutta la maestà della lingua greca, appellandolo francamente Pulcherrimus et doctissimus omnium sermo, in quo tota redolet linguae grecae maiestas. E notando poi l'uso che aveano i Viniziani di ommettere in alcune parole la lettera t, come a dire ANDAO, TORNAO, in vece del toscano Andato, Tornato, lo rassomiglia all'idioma Ionico che pur aveva eguali desinenze, attribuendolo al commercio che i Viniziani avevano a Smirne, dove dopo Atene fiorirono le scienze. (Pontic. Vi run. pag. 47. e 97.)

(2) Qui cade in acconcio di riportare alcuni periodi della applauditissima allocuzione pronunziata in novembre 1811 dall' altra volta citato Nobile Sig. Girolamo Bar. Trevisan, allora Regio Procurator generale presso la Corte d'appello in Venezia, per la solenne riapertura delle udienze: squarcio oratorio che forma l'elogio speciale e la caratteristica insieme di varii Avvocati Veneti di quel tempo i più distinti nel foro, i quali saranno da noi per note alfabetiche qui sotto indicati.

"Non qui mancan per nostra fede gli Antonii (a), che gravi " d'anni, di senno, di autorità, tutto raccolgono con fresca ed " ammirevol memoria quanto può favorire la causa che imprendono a perorare; che ogni cosa dispongono al sito proprio, sicchè ogni cosa acconcia siasi a produrre per insensibili gradi quel "l'impressione a cui la voglion diretta; che a foggia di Lisia tan"ta mostrano ed hanno evidenza e semplicità nel narrare, e tan"ta scioltezza e spontaneità nel discutere, che non lasciano so"spetto mai di premeditazione, nè di arte; e che ugualmente di"stanti da qualsivoglia affettazion di eleganza, che da ogni bassa „ trivialità, via via bellamente s'insinuano senza sforzo, e senza » impe o nè violenza compiutamente trionfano.

Ma non qui mancan nè meno li Cai Gracchi (b) e i Sulpizii „ Rufi nati fatti dalla natura e dall'arte pel sublime e pel grande: "grandi nelle parole, elevati e squisiti nelle sentenze, zeppi di fi"losofia e di dottrina, in tutto il genere loro dignitosi sempre e "gravissimi e al tempo stesso e nello scrivere e nello arringare al " par de' Demosteni concitati, vibrati, agili, concettosi, veemen"ti, tali in fine che se avessero o il tempo o la voglia di dare alle " loro orazioni l'ultima mano, potrebbero senza men presentarsi " come assoluti modelli di vera e somma grandiloquenza.

"Vanta cotesto foro i suoi Scevoli e i suoi Servii Sulpizii (c), "quanto profondamente dotti altrettanto squisitamente ingegno" si nel rifrugare e nel cogliere nell'immensa congerie delle mo"derne leggi e delle vetuste quanto può abbisognare alla salvezza " de loro clienti, e ch'eminentemente posseggono spirito d'ordine, „ di perspicuità, d'evidenza, arte di ben separare, di ben connet

VI

Grimani, Francesco Donado, Angelo Querini. Robusto e flessanime incantò e vinse nei tribunali per la bocca dei Vecchia, Svario, Cordellina, Todeschini, Santonini, Costantini, Alcaini, Silvestrini, Gallini, Stefani, Cromer, Piazza, Savia, Muttinelli celeberrimi Avvocati de'nostri tempi, e de' viventi Antonelli, Calucci, Biagi ec. (2). La tromba meonia squilla in tutta l'energia del nativo di lei suono nelle ottave dell' eruditissimo Abate Francesco Boaretti ; nè sempre il Tasso degradò dalla sua dignità in quelle del dottore Tommaso Mondini. La Commedia nell' inimitabile suo ristauratore Carlo Goldoni e ne'suoi rinomati seguaci; il Didascalico e il Descrittivo nella CARTA DEL NAVEGAR PITORESCO di Marco Boschini; la Satira nelle rime inedite del Dotti e nelle edite del Varotari e del Pozzobòn, detto comunemente SCHIESÒN; la Pescatória nelle egloghe di Andrea Calmo; e il Berniesco finalmente nelle poesie pregiabili di Mar

» tere, di ben dedurre, tanto in fin d'eloquenza quanto basta ab"bondantemente a rendere sul loro labbro non inamene pel pub"blico e più efficaci presso de' Giudici le loro dottrine.

"Udiamo con gran diletto chi unisce nelle sue arringhe la gra" vità e la copia de'Crassi alla nitidezza ed al nerbo de'Calidii (d), " la faceta amenità non iscurrile de' primi alla scorrevole vena e " dignità de' secondi; che al par di questi coltissimo nel musical "suo dialetto, si tien lontano del pari dall' Asiatica profusione " che da un arido o digiun laconismo; che serve alla proprietà " delle voci, ma non trascura la vivacità delle imagini; che a voglia " de' suoi subbietti, quando s'estolle senza passare nel turgido, " quando s'abbassa senza scendere nel pedestre; che alla compo"stezza libera dell'azione congiunge l'armonia Isocratica sempre "svariata de' numeri, e che tutta in somma possede l'arte Tullia"na di penetrar negli assorti ascoltanti per guisa da piegarne, ” commuoverne, trasportare per le vie del diletto l'anima e il

" cuore.

" Ammiriam finalmente chi (e) nelle greche lettere e nelle lati"ne assai bene istruito, congiungendo all' assiduità del domesti" co studio un esercizio forense alla sorpresa instancabile, nel col"to suo dire, presenta congiunta in sè solo la sugosità de' Focio"ni, l'acutezza de' Demosteni, la paziente ed industre diligenza " de' Carboni, la scioltezza e la rapidità de' Filippi, dei luvenzii " la callidità; e colla stretta dialettica degli Stoici e colla versatile " agilità de' Peripatetici, ha per costume di spingere l'avversario " allo stretto o di coglierlo al varco, e volteggiando e schermen" dosi di escir incolume dalle reti e d'eludere vittorioso ogni in

"sidia.

"E dopo di tutti questi vengono ben altri molti che se s'ascol "tino a petto de' più prestanti, forse scadono alquanto nel para" gone, ma se soli s' intendano, certamente non lasciano deside.. "rarli; tanto più che in parecchie cause un dicitor par che basti "senza ch'esigasi un oratore. Così ad ogni tempra de'giovani ap" prenditori soffrono qui svariati esempii in ogni genere degnis"simi d'imitazione, giacchè, come osserva benissimo Tullio, pos" sono avervi oratori ugualmente sommi comunque del tutto in fra "loro dissomiglianti, e tanto colpisce la semplice verità de'Tizia"ni, quanto i dotti e passionati atteggiamenti de'Raffaeli, nè men "si apprezzano dell' ilare magnificenza de' Paoli, le vie terribili: "de' Michelagnoli ec. «

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cantonio Zorzi e in quelle di Giorgio Baffo che tante grazie sommerse pur troppo nella laidezza la più schifosa; serbano tutte nel dialetto Veneziano le native sembianze, e fanno mostra d'una origina

lità incantatrice.

E per parlare di alcuni altri, non è forse Antonio Lamberti che gareggia nella squisitezza della Lirica co' più valenti poeti d'Italia, e va all'anima nelle sue canzonette quanto Rolli e Bertola ; ora è nitido e tenero come Vittorelli; ora scher za arguto con apologhi tali che niente lasciano ad invidiare a Pignotti nè a Passeroni? E non abbiamo il nostro Redi in Lodovico Pastò, autore del Ditirambo veramente originale sul VIN FRIULARO e di quello altrettanto spontaneo sulla POLENTA? E Francesco Gritti si mostra forse men saporito ne' sali della gioconda pocsia vernacola di quel che lo è ne'suoi versi toscani e nell'applaudita sua versione del Tempio di Montesquieu? Parecchi componimenti di cotal genere burlesco ci diede Giam batista Maratti, che gl'intitolò SAGGI METRICI DI TATI REMITA. Piacciono a chi ha dilicatezza d'ani ma e sapor di gusto li CENTO SONETTI SU I CAVEI DE NINA di Giacomo Mazzolà. Divertono in fine le fantasie bizzarre sparse nelle poesie facete del nostro Buratti. Sicchè può francamente asserirsi che dall' assortimento di modi sì varii, lustro, ornamen. to e fertilità maggiore ridondi alla stessa lingua italiana, che potrebbe li tanti espressivi ed omogenei audare connaturando e moltiplicare così, senza il sussidio di sorgente straniera, le proprie bellezze, non che que' suoni che tra le lingue viventi anima trice sovrana la rendono della poesia e della musica. Non è mio questo pensiero, ma del celebratissimo pubblico professore Abate Melchiorre Cesarotti di cara nostra memoria, il quale nel suo Saggio sopra la filosofia delle lingue, propose che tutte le Città d'Italia formassero i rispettivi vocabolarii, per poter indi compararli tra loro, estrarHe i migliori e più comuni termini, arricchire la lingua de' dotti ed accrescere il gran Vocabolario della Crusca (Parte IV. §. XVI.)

Se varie Città italiane corrisposero sin ora a questo voto zelaute e patriotico, se Milano, Brescia, Padova, Napoli, Palermo, Osimo, Bologna, Ferrara, Torino, Mantova, Verona (1), hanno i loro vocabolarii già pubblicati; come averlo non doveva la Città marittima di Venezia, il cui dialetto è generalmente ricco di locuzioni e di modi esprimenti e vivaci suoi proprii ed originali, di tante belle voci etimologiche e imitative, e particolarmente di ittio

(1) Saggio di Dizionario Veronese pubblicatosi alcuni anni fa dau erudito Sig. Abate Venturi, ci lascia il desiderio e la speran

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logiche e della marina? Come non conservare a'posteri almeno la memoria d'un linguaggio, dopo il toscano, il più bello tra i dialetti italiani, il quale passato in mezzo a tante vicende politiche va sensibilmente alterandosi e perdendosi da trent'anni in qua, come l'esperienza dimostra e tutti confermano: in guisa che se sono a quest' ora già quasi spente dalla memoria le voci del Foro e del Governo repubblicano, lo saranno coll'andar del tempo anche le familiari e le più volgari?

Tra tanti eruditi e cultori della letteratura che decorauo la Città nostra, non fuvvi alcuno sin ora che si accingesse a quest'impresa; ed era dunque dal destino riserbato all' ultimo di tal numero e al più meschino di cognizioni, qual io mi reputo, di dar cominciamento a quest' opera, di perseverarvi per cinque lustri continui tra le difficoltà degl'impieghi pubblici sostenuti; di ricopiarla senza noia per cinque volte di mano in mano che un ammasso di giunte, di riforme, di correzioni sopraggiungeva, e di compilar finalmente una collezione, che se non può vantarsi perfetta, sarà certo sufficiente nella quantità, perchè comprende tutte quelle voci e locuzioni che sono le più comuni e le più usitate fia noi?

Comunque sia, io fo di pubblico diritto il mio Dizionario vernacolo, e mi pregio di presentarlo a voi Veneti colti, non già come lo avreste degnamente meritato, ma come ho potuto e saputo farlo. Aliis post me memoranda relinquo, dirò con Virgilio, lasciando e desiderando che altro ingegno più adatto possa un di riprodurlo, supplire alle mie mancanze, correggere gli errori, illustrarlo di maggiori erudizioni e ridur così alla possibile interezza e convenienza un' opera nazionale importante. Ella è senza dubbio importante, perchè diretta a conservare la storia del dialetto che qui parlavasi al finire del governo repubblicano o sia del secolo XVIII, a conservar nella sua purezza la memoria delle consuetudini e de' costumi pubblici e privati d'una Nazione resasi per tanti secoli famosa; e molto poi importante perchè può da un lato contribui re ai lumi della storia patria, e dall'altro offerire un mezzo d'istruzione per intendere i tanti significati delle nostre voci e modi antichi e moderni; e sopra tutto a promuovere fra noi e rendere familiare alla gioventù studiosa la cultura del bell'idioma italiano.

Questo mio Dizionario comprende, oltre a tutle voci e le frasi familiari, che si usano presentemente, quelle ancora che appartenevano al Gover no ed al Foro repubblicano; le nostre voci anti

za insieme che ad onore della sua degna e colta Patria sia egli per darci un'opera compiuta di questo genere.

quate e perdute; i neologismi che dall' epoca del 1797 sonosi introdotti specialmente nel Foro e nella Pubblica amministrazione, e che ora si hanno come nostrali. V'hanno le voci marinaresche; i termini sistematici, per lo più di Linueo, che appar tengono alla storia naturale; e parecchie etimologie, cioè quelle che diedero immediatamente origine alle parole vernacole. Vi sono aggiunte, senza confusione delle nostre, moltissime voci del Padovano, tratte dal vocabolario dell' Abate Patriar chi, giacchè il Distretto del Dolo fin dal 1807 appartiene alla provincia di Venezia. E siccome quelle che si riferiscono alla pesca ed alle produzioni del mare, sono per lo più proprie di Chioggia; così ho pensato che sarà gradevole di trovare in questa collezione molti altri termini particolari di quel la Città, la quale fa parte della Veneziana provincia: Città non meno benemerita della Repubblica letteraria per aver prodotto anche a' nostri tempi tanti insigni cultori della zoologia Adriatica, che hanno molto contribuito a quest'opera nel suo principio e nel suo termine. Seguendo poi il metodo ragionevole degli altri Vocabolarii vernacoli, ho lasciato fuori, generalmente parlando, tutte le voci simili a quelle della buona lingua italiana, le quali avrebbero fatto un ingombro del tutto inutile, perchè già trovansi ne' dizionarii italiani; ma ho ritenuto necessariamente quelle che portano modi e riboboli particolari del nostro dialetto, ed alcune altre ancora che ponno tuttavia a mio giudizio impegnare la curiosità e il bisogno delle varie persone che avranno a consultare la mia opera.

Esponendo gli articoli deile voci radicali ebbi molta attenzione di distinguere in paragrafi i di versi loro significati coi corrispondenti della lingua italiana: nel che dee principalmente consistere il soccorso d'un Dizionario vernacolo; e non ho mancato, ove credei opportuno, di aggiungervi degli esempli per essere meglio inteso.

Nel comporre quest'opera mi sono accertato che non tutte le voci e maniere nostre Veneziane hanno o aver possono l'immediata corrispondenza della lingua italiana, sia perchè i Dizionarii più diligenti ed estesi ne sono difettivi, sia perchè sono particolari alle differenti Città della nostra peniso la alcune cose, alcune arti, alcuni vocaboli, alcuni usi. Gl'Italiani non hanno poi un Dizionario proprio di storia naturale, come lo hanno i Franzesi e gl'Inglesi: il quale non potrebbesi però ben formare senza aver notizia e senza il confronto delle tanto svariate nomenclature de'pesci, delle piante,degli uccelli ec. che si danno ne' diversi luoghi d' Italia: giacchè non sono per la maggior parte attendibili le voci arbitrariamente italianate nelle traduzioni

dell'opera di Buffon. Ed ecco il motivo per cui in un Dizionario vernacolo de' nostri tempi conviene molte volte contentarsi di leggere la definizione o la spiegazione dei termini del paese, o per somma grazia un vocabolo della Toscana, senza pretende re il corrispondente della lingua dei dotti, perchè non v'ha o non vi può essere, e perchè bisogna persuadersi e convenire col nostro Cesarotti, che senza la contribuzione effettiva di tutte le Città d'Italia non è possibile compilare un Vocabolario italiano universale.

Parlando delle voci di lingua mancanti, voi bensì troverete ne' Vocabolarii italiani, per esempio Beccaia, Cuoca, Gabelliera, Fattoressa, For naciaia, Medichessa ec. per la Moglie o Fem→ mina di Beccaio, di Cuoco, di Gabelliere ec., ma non le Femmine di Bilanciaio, Lattaio, Barbiere, Barcaiuolo e di cento altri mestieri. Voi non vi troverete le voci corrispondenti alle nostre vernacole AMBIZAR, AMBRO, BIGLIARDER, BATIFOGIA, BAVELINA, COMPROFESSOR, CONZAOSSI, FELCÈR, PIRONADA, SGNANFO, SGNANFIZAR, nè a moltissime altrettali; e non per questo sarebbe permesso di scrivere Bilanciaia, Lattaia, Barbiera, Barcaiuola, Ambro, Forchettata, Nasiloquo, ma dovrebbesi far uso di perifrasi. Nondimeno poichè è mio assunto di dare un catalogo di tutte le voci vernacole contrapponendovi le adottate da' buoni scrittori, e se non trovo di alcune l' equivalente ne' Dizionarii di lingua, sdegnerà forse chi mi ha per mano di sentire dopo la spiegazione o la definizione, anche il mio parere, cioè quali potrebbero essere per avventura i termini o i modi corrispondenti, se mi vengono a taglio? A me è sembrato di poterlo e doverlo fare; e questo caso essendomisi affacciato moltissime volte, io mi credetti in dovere di apporvi quelle voci o manicre, dirò presuntive, che la ragione, l'evidenza, l'analogia e sopra tutto l'inclinazione della lingua italiana m' banno suggerito. E se avverrà quindi, come è da tutti desiderato, che il gran Vocabolario della Crusca venga quando che sia riformato e compiuto, non sarà forse anche inutile il Lessico Veneziano, che ricorderà agli eruditi compilatori qualche centinaio di voci state fin qui ommesse nelle scorse edizioni.

L'Ortografia del dialetto ha non meno impegnato le mie sollecitudini; e per questo conto non ho mancato di attenermi, generalmente parlando, agli Autori che abbiamo a stampa, e dei quali si vedrà il catalogo che precede il Dizionario. Io son per altro d'avviso che la prima regola dell'ortografia d'una lingua sia quella di scrivere, se fia possibile, come si parla. Se leggiamo delle scritture vene

IX

ziane antiche, per esempio le prose e i versi di Andrea Calmo stampati nel 1563, noi vi troviamo delle sconciature ortografiche, che fanno arricciare il naso e che rendono talvolta oscuro e iuiutelligibile il sentimento. Dario Varotari, che fu nel secolo posteriore, è un po' più corretto, ma lontano dal-muto o tondo, come in COSTA, CARO, QUOR, l'imitare colla scrittura la semplicità del nostro par lare. Carlo Goldoni scrittore del secolo ultimo scorso dovrebbe auch'egli aver conosciuto questa regola e aversene fatto carico; ma o ch'egli la credesse inutile, o che volesse seguitare gli usi de'suoi contemporanei, o forse che avesse lo scopo d'essere più facilmente inteso da' Toscani, le prime edizioni delle applaudite sue opere veneziane sono zeppe di queste cacografie, le quali però nelle ristampe e molto più nelle recenti, si veggono a bastanza corrette. Ma comunque sia il fatto e l'opinione in contrario, poichè da un canto non abbiamo precet ti che ci obblighino di scrivere a modo altrui, e siam dall'altro suffragati dalla ragione e dal buon senso, noi adotteremo alcune regole che crediamo proprie a scrivere correttamente nel dialetto nostro fissandone de' principii.

le voci vernacole CHICHIRICHÌ, CHIGIA, CHIMINI, CHINCAGLIE e in tante altre che non sono a confondere colle prime. Abbiamo dunque due C di suoni diversi o sia due diverse inflessioni per proferirli. Pesto davanti all'à, 0, 0, il C ha un suono

1. Tutti gli usi e le regole della grammatica italiana sono mantenuti ove non siavi il contrasto della pronuncia che alteri la parola. Si mantengono gli accenti, gli apostrofi, l'interpunzione e lutti i segni adottati dalle scuole. Il DA verbo si accentua per distinguerlo dall' articolo; l'HA verbo sebbene più spesso si muti in GA) si scrive colT'aspirata per non confonderlo col segnacaso e simili. II. Mai non si raddoppiano le consonanti, se non in quantò sia necessario ad esprimere la parola. Quindi scriveremo SPESSO, LESSO, CASSA con due ss; così STRAMAZZO, BULEZZO, GRAMAZZO e simili con due zz per la necessità della pronuncia. Gli articoli Della, Dalla, Colla che da noi si esprimo no con una sola consonante, si scrivono DE LA, DA LA, CO LA.; in conseguenza DE L', DA L' ec.

IM. I Veneziani non usano pronunziare il Ci e Ce come i Toscani, ma dicono Cera, Cerchio, Certo, Cicerone, come se in vece di C vi fosse una Z aspra; .auzi per meglio dire, a quella stessa maniera onde i Latini pronunciavano il Ti, come sarebbe nelle voci Citius, Duratio, Tertius, Ratio,ec. e così pronunziano modernamente anche i Franzesi e gl'Inglesi. Quando leggiamo Chiamare, Chiodo, Chiave, Chiesa e simili, noi le pronunciamo come pronuncierebbero i Toscani CIAMARE, CIODO, CIAVE, CIESA, senza l'aspirata. Tra CITO, CIBIBO, e CIBALDON scritti col Če ZITO, ZIBIBO e ZIBALDON colla Z aspra, noi non facciamo alcuna differenza nella pronuncia. Egli è però vero che qualche volta si pronunzia il CHI naturale, come nel

CA

MELO, CAMISA ec., posto dinanzi all' E ed all'I
come iu CENA, CERTO, CINTO, CIBO non va da noi
pronunciato schiacciato o aspirato come dai Tosca-
ni: onde ne viene che nelle voci vernacole CHIAVE
CHICARA, CHIACOLE, CHIESA, CHIAMOR, CHICONA
fa d'uopo tra il c e l'i interporre l'acca, altrimenti
diremmo come se fosse scritto CIAVE, CICARA, CIA-
COLE, CIAMOR, CICONA; e quindi se ad alcuno sal-
tasse il grillo di scrivere in questa guisa, dovrebbe
necessariamente alterarsi l'ordine dell' alfabeto c
mettersi in dichiarata ed assurda contraddizione
l'ortografia, della lingua vernacula colla pronuncia.
Per far conoscere la differenza del C schiac-
ciato o aspirato dall'altro di suono muto o natura-
re, ci vorrebbe una specie di seguo, ed io era ve-
ramente tentato d'imitar l'esempio de' Franzesi e
di mettere sotto il C medesimo quella virgoletta
ch'essi chiamano Cedille: onde scrivendosi, per
esempio, CHIAVE, CHICARA, CHIARE, CHIAMÒR, CHI-
CONA, SCHIAPIN, SCHIAPAR, SCHIOPO e simili, si
facesse con quel seguetto sottoposto conoscere
come la parola dovesse essere all'uopo nostro pro-
nunciata. Ma avendo dopo qualche riflessione os-
servato che uua tale innovazione pubblicata dal-
l'Autore limitatissimo di questo Dizionario, avreb-
be forse dato motivo d'una critica senza confine
dal canto di coloro che sono tenaci degli usi auti-
chi; che d'altro canto quasi tutte le lingue Europee,
ma in distinto modo la Franzese, si pronunziano
differentemente dalla scrittura; e che questo mio
libro non è distrettamente che ad uso de' Veneti, i
quali m'intenderanno benissimo a prima giunta :
ho pensato per tutto ciò di lasciar le cose nello sta-
to primiero, ma non di meno di reuder noto il mio
pensiere per abbandonarlo agli studii ed alla cura
di qualche altro zelante dell' ortografia vernacola
il quale saprà forse inventare e suggerire un espe-
diente migliore. E qui ripetiamo Aliis post me me-
moranda relinquo.

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IV. Voi sentirete che non solo la plebe Veneta, ma molte altre persone hanno il bel vezzo di pronunziare il CE e il CI ed anche la z aspra, come se fossero una s dulce. Dicono per esempio SINQUE per Cuque, SINQUESSENTO per Cinquecento, SEOLA per Ceola, SENDA per Cenda, SIEVOLO per Cievolo; così pure CUSSO per Guzzo, FASSA per Fazza, SARSEGNA per Zarzegua, SATA per Zata, SARATAN Zaratan ec. Ma questo per

non è che appunto un vezzo o mendo, contratto fin dalla fanciullezza per l'ignoranza o l'inavvertenza di chi insegna a parlare: maniera o uso parti. colare d'una parte del popolo, eccezione della pronuncia. Ho sentito qualche zelaute dell'ortografia ad opinare che così dunque si dovesse scrivere come la maggior parte pronunzia. Guardi Dio ch'io sia giammai per adottare una tale opinione. Non troverassi alcun Autore Veneziano antico o moderno, comunque egli stesso così parlasse, che siasi pensato di scrivere in cotal guisa e questa sola sarebbe una buona ragione ; ma v'ha poi l'altra che converrebbe alterare anzi capovolgere l'ordine alfabetico di migliaia di voci, e che quindi molti si discervellerebbero cercando all'uopo qualche pa

rola nel Dizionario.

V. Dicono i Toscani ed anche i Lombardi che noi non sappiamo ben pronunciare il gi avanl'elle: per esempio le parole Pacotiglia, Spadiglia, Maniglia, Pastiglia, nè Artiglier, Artiglieria, perchè essi vi fanno appena sentire il g, e a noi pare che dicano Pacotilia, Spadilia, Manilia, Pastilia, Artilier, Artilieria : laddove noi le pro. nunciamo come se fosse scritto PACOTILGIA, SPADILGIA, MANILGIA, PASTILGIA, ARTILGIER, ARTILGIERIA. Questa nostra maniera di pronunciare è verissima, e mi era per ciò venuta la tentazione di scrivere tali e simili parole nel modo preciso come suona all' orecchio che siano da noi proferite. Ma avendo poi riflettuto che mi sarei troppo discostato dall'uso comune senza bisogno; che dovevasi per ciò stesso alterar l'ordine alfabetico; e che d'altronde non è questa che una maniera nostra di pronunciare, la quale, volendo, si potrebbe facilmente correggere : ho pensato di pigliarmela in baia e di non far torto all'ortografia ordinaria, libero già a noi di pronunciare secondo il nostro uso.

VI. Nella pronuncia nostra non si fa alcuna differenza tra l'sc el's o due ss. Diciam, per esempio, Pesce, Scialacquamento, Sciatica, Scimia, come se fosse scritto PESSE, SIALAQUAMENTO, SIA TICA, SIMIA. In questa parte ho creduto necessaria e permessa una novità, aderente però alla semplicità della nostra pronuncia, cioè di non far mai sc, ma di attenermi alla maniera più semplice dei due ss o del solo s rispettivamente.

VII. II XE poi, che ci tramandarono i nostri maggiori, voce di frequentissimo uso, benchè da altri sia stato scritto talvolta SE, forse per l'inflessione dolce o affettata con cui taluno lo pronuncia, il Xe, dissi, bisogna lasciarlo originale com'è, per non 'confonderlo col Se dubitativo, ovvero col SE, Siete. Vedasi la voce XE nel Dizionario.

Queste sono le poche regole o canoni ch' io

X

mi prefissi d'osservare sulla ortografia del dialetto: dichiarando però che non intendo di leggere in cattedra, nè di fare il saccente, ma di esporre liberamente il voto mio, posto che la volontà di studiare la buona lingua comparata alla nostra, mi fece intraprendere e condurre a qualche discreto termine un'opera tanto laboriosa e affatto nuova, la quale non è forse che un saggio di quella migliore che potevasi fare e che un di sarà fatta, come spero, da quello stimabilissimo mio amico zelante delle cose patrie, che la fa ora comparire alla luce.. Nel chiudere il mio discorso preliminare, deb. bo pubblicare e manifestare la mia gratitudine generalmente a tutti quelli che contribuirono alla compilazione ed al vantaggio di questo Dizionario. E singolarmente mi protesto obbligatissimo alla Commissione dei rispettabili Soggetti, stata nominata a mia richiesta dall'Ateneo Veneto l'anno 1821 per esaminare con occhio critico quest'opera: nella qual Commissione si distinsero in ispezial modo li Signori Avvocato Gio. Francesco Avesani, Dottore Filippo Scolari e Abate Pietro Pasini. Fo egualmente pubblici i miei ringraziamenti all'eruditissimo Dottore Paolo Zannini, a quel tempo Segretario perpetuo dell' Ateneo medesimo, pe'suoi riputati giudiziosi consigli diretti alla correzione ed al miglioramento dell' opera, de' quali cercai d'approfittare nell'ultima ricopia; e desidero di averlo fatto sccondo la sua vera intenzione. Ringrazio in distinto modo il Nobil Uomo Nicolò Contarini del fu Bertucci, egregio cultore nelle scienze di storia naturale anche della parte ornitologica, per le memo. rie da lui favoritemi con tanta bontà su questo argomento; come pure il chiarissimo ora Pubblico Professore di Storia naturale a Padova Dottore Stefano Andrea Renier, al quale sono dovuti i miei primi lumi sulla zoologia del mare; all'ingraudimento e perfezionamento della qual parte ha poi moltissimo contribuito il giovane Dottore di medicina Gio. Domenico Nardo di Chioggia, studioso appassionato di questa scienza, che vedesi a suo onore nominato in tanti luoghi del mio libro, ov'egli spiegò le sue teorie così per la correzione degli errori, che v'erano nella nomenclatura ittiologica, come per i nuovi individui marini da esso conosciuti, anatomizzati e nominati.

Ho fatto in fine quel che ho potuto e saputo. Lascio ad altri la palma di migliorare e perfeziona, re la mia opera e di riprodurla quando che sia più degnamente; e conchiudero, come disse nel 1805 il Sig. Abate Francesco Nannini pubblicando il suo Vocabolario portatile Ferrarese-Italiano, io avrò sempre la compiacenza di di poter dire: EGO PLANTA

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