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rico, fattane la misura da Ammone il geometra si trovarono di miglia 21, è chiaro che la cifra dee correggersi in 12, cioè in luogo di xx si ha da porre ß non potendosi torcere il fatto alla negligenza de'trascrittori, o forse anche dell'autore medesimo.

Inutili furono le precauzioni prese da Onorio per salvar Roma dalla invasione, poichè il dì 24 di agosto dell'anno 409 della era volgare fu sorpresa a tradimento dai Goti condotti da Alarico loro re: essi entrarono per la porta Salaria ed incendiarono i giardini di Sallustio presso di quella esistenti, ed altre parti della città, e per tre dì e tre notti la saccheggiarono; veggansi Filostorgio Hist. Eccles. lib. XII. Orosio Hist. lib. VII. e XXXIX, la Miscella lib. XIII. e Procopio Guerra Vandalica lib. I. c. II. In quella circostanza le mura soffrirono qualche guasto dal canto di porta Salaria, ma questa rovina fu riparata ben presto come molte altre da Onorio per testimonianza di Filostorgio, il quale dice che quell'inetto imperadore ito a Roma l'anno 412 in che assunse il suo IX. consolato, coll'opra e colle parole animò il ristauro della città: ed Orosio, che a dire il vero cerca quanto può di mitigare la impressione che fece sui Romani quella catastrofe avvenuta a' suoi giorni, a segno di trar conforto, che l'incendio non fu così grande come quello de' Galli, o quello di Nerone, dice lib. VII. c. XL. che partiti i barbari la città si rimise in guisa, che, meno alquante ruine degli edificii incendiati non rimaneva traccia del disastro: Anno itaque ab urbe condita MCLXIV. irruptio urbis per Alarichum facta est: cuius, rei quamvis RECENS MEMORIA SIT, tamen si quis ipsius populi romani et multitudinem videat et vocem audiat NIHIL FACTUM, sicut etiam ipsi fatentur arbitrabitur, nisi ALIQUANTIS ADHUC EXISTENTIBUS EX INCENDIO RUINIS forte doceatur.

A questa prima irruzione barbarica e momentanea altre tennero dietro più lagrimevoli e lunghe; e trista ricordanza è quella di Onoria sorella di Valentiniano III. imperadore che diè causa alla mossa a danni del fratello e della misera Italia delle orde feroci degli Unni l'anno 452; e più trista ancora quella di Eudossia vedova dello stesso imperadore Valentiniano III, che per vendicare la morte del marito, chiamò Genserico re dei Vandali, che si era fissato in Affrica a venir contra Roma. Procopio Guerra Vandalica lib. I. c. IV. dice che quella donna mandò a Cartagine ad implorare da Genzerico, che vendicasse Valentiniano spento da un uomo empio, che indegnamente aveva usurpato il trono (Massimo fu che uccise Valentiniano), e che protegesse lei che empie cose soffriva per parte del tiranno. E quel barbaro avventuriere non aspettò un nuovo invito, ed allestita una flotta approdò sul littorale ostiense, prese Porto, ed entrò in Roma, dove non incontrò gran resistenza ai 12 di giugno dell'anno 455 e la fece spietatamente saccheggiare per quattordici dì e quattordici notti continue commettendo depredazioni ed orrori di ogni sorte e portando via tutto ciò che potè: fu allora che vennero trasportate a Cartagine le spoglie del tempio di Gerusalemme che conservavansi nel palazzo imperiale del Palatino, ed una metà delle tegole di bronzo dorato che coprivano ancora il tempio di Giove Capitolino: nella preda furono comprese Eudossia, e le sue figlie Eudocia e Placidia. Il gran pontefice s. Leone Magno fu lo scudo di Roma come pochi anni innanzi lo era stato ritenendo la furia di Attila: non potendo far argine alla piena ottenne dal re barbaro che la città rimanesse immune da fuoco, strage, e tormenti. L'autore della Miscella lib. XV. dopo aver narrato come Eudossia avea invitato Genserico a venire vin

dice del marito: ut mariti vindex adveniret invitavit: soggiunge: Gensericus continuo vacuam praesidio civitatem capit et occursu Leonis papae mitigatus ab incendio, caedibus atque suppliciis, urbem immunem servavit, omnibus tamen opibus ablatis multa inde captivorum millia cum augusta Eudoxia et eius filiabus Carthaginem revexit. Egli è molto probabile che in quel trambusto le mura soffrissero alcun guasto dal canto dell'ingresso di questo saccheggiatore, poichè malgrado la reticenza degli scrittori, che narrano questo avvenimento, non può e non dee supporsi che que' che reggevano Roma non facessero qualche resistenza momentanea. Partiti i barbari carichi di spoglie della città imperiale fu per testimonianza di s. Leone Magno Serm: LXXXI. istituita una festa di ringraziamento a Dio per tale liberazione, tanto grave era stato il danno dalla presenza loro arrecato.

Nuovi guasti ebbe a sopportar Roma l'anno 476 in che si spense l'imperio occidentale, e l'anno 486 allor chè chiuse le porte ad Odoacre re degli Eruli siccome leggesi nella Historia Miscella presso il Muratori Rer. Ital. Script. T. I. In quelle vicende molto soffrirono le mura, onde Teodorico le ristaurò circa l'anno 500 secondo Cassiodoro Chron. e gli Excerpta pubblicati dal Valesio ed inseriti dal Muratori Rer. Ital, Scr T. XXIV: dal quale apprendiamo che assegnò la somma di libbre 200 della tassa sul vino: Et ad restaurationem palatii seu ad recuperationem moeniorum civitatis singulis annis libras CC. de arca vinaria dari praecepit. Fu. Teodorico che ridusse a castello la mole Adriana, che perciò Castrum Theodorici fu detta dagli scrittori del medio evo, siccome a suo luogo vedrassi. Morto Teodorico l'anno 526, e scoppiata la guerra nell'anno 535 fra i Goti ed i Greci condotti da Belisario,

questi avendo occupata Roma entrandovi per la porta Asinaria si pose a ristaurare le mura che trovò in molte parti deboli e cadenti, siccome narra Procopio uffiziale maggiore del suo esercito Guerra Gotica lib. I. c. XIV, dal quale inoltre sappiamo che diè ai merli la forma angolare, ed un piccolo riporto sulla mano sinistra a maggior difesa de' soldati, ed inoltre scavò intorno una fossa profonda della quale si fa nella storia di quella guerra più volte menzione, mentre oggi non në apparisce alcun vestigio. Frattanto Vitige re de' Goti assediò la città formando sette campi, e battendo le mura specialmente dal canto di settentrione fra la porta detta oggi del Popolo, e la porta Salaria, mentre Belisario dal canto suo pose il suo quartier generale nella casa Pinciana per testimonianza di Anastasio nella vita di Silverio. Malgrado gli sforzi di Vitige Roma resistè allora ai Goti; non così potè resistere loro l'anno 546, allorchè questi guidati da Totila la cinsero di stretto assedio, e vi entrarono per tradimento degl' Isauri che guardavano la porta Asinaria. Il re barbaro fece saccheggiare spietatamente la città, uccise molti degli abitanti, incendiò molti edificii specialmente nella parte trastiberina, svelse le porte, e demoli le mura in più luoghi a segno che Procopio calcola la rovina a circa un terzo dell'intiero recinto quindi l'abbandonò ritirandosi a Tivoli. Belisario venendo da Porto occupolla di nuovo ed in 25 giorni fece ristaurare in tutta fretta le parti demolite delle mura come meglio potè, accatastando le pietre senza cemento, e formando piuttosto una trincea, che un muro: veggansi Procopio lib. III. c. XXIV. e Giornande de Regnor. Success. E di questo ristauro fatto in tutta fretta veggonsi ancora esempii in varie parti del recinto e segnatamente fra le porte Pia e s. Lorenzo, fra la Maggiore e quella di s. Giovanni, fra questa e la La

tina, e finalmente fra l'Appia e la Ostiense. Si presentarono i Goti sotto Roma prima ancora che questo ristauro tumultuario fosse finito, e che le porte fossero chiuse; Belisario tenne fronte; ma un nuovo tradimento degli Isauri introdusse Totila nella città, per la porta s. Paolo, Ma questa volta fu più umano ed in luogo di demolire riedificò. La morte di Totila avvenuta l'anno 552 diè l'ultimo crollo agli affari de' Goti, che ritiraronsi nella mole Adriana viemmaggiormente fortificata da Totila. Narsete succeduto a Belisario occupata Roma forzò anche questo castello.

Finita la guerra gotica l'anno 554 Narsete si diè a risarcire le mura come risarci i ponti sull'Aniene distrutti da Totila. Così Roma potè resistere l'anno 593 ai Longobardi condotti dal feroce loro re Agilolfo, che commisero devastazioni e crudeltà inaudite ne' suoi dintorni descritte da s. Gregorio Magno, che ne fu testimonio, nella Omelia VI. del libro II. sopra Ezechiele, sul fine di quel libro medesimo e nella lettera XXXI. del libro IV. scritta a Maurizio due anni dopo. Nel secolo VII. non ho trovato memorie particolari di ristauri fatti alle mura, ma da Anastasio apprendiamo che l'anno 708 Sisinnio papa fece cuocere molta calce per risarcirle, che nell'anno 725 Gregorio II. si pose a ristaurare il tratto di esse presso porta s. Lorenzo, ma fu distolto dal lavoro per varie emergenze e tumulti: e che il suo successore Gregorio III. risarcinne la maggior parte. Quello stesso biografo mostra come nel declinare di quel secolo Adriano, I. circa l'anno 772 vedendo crollanti in varie parti le mura della città, e molte torri cadute per terra adunò gente dai communi della Toscana suburbicaria e della Campagna di Roma; ed a ciascuna squadra di tali communi assegnò una parte delle mura per essere riedificata, somministrando loro il danaro occorrente dal

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