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TINUS la regione XIII, che comprende principalmente il colle di s. Sabina, e pongono nella regione XII. della Piscina Publica la parte della collina, sulla quale innalzansi le chiese di s. Balbina, e s. Sabba, e nella regione I, o della Porta Capena tutto il rimanente di questa collina medesima, che è di là dalle chiese sovraindicate. Quella di s. Sabina è circoscritta ad occidente dalla ripa del Tevere detta ne'tempi bassi Ripa Graecorum ed oggi Marmorata, a mezzodì dalla pianura di Testaccio, ad oriente dalla valle della Moletta, ed a settentrione da quella del Circo Massimo; misurando questa circonferenza si hanno sopra 11,000 piedi ossia circa 2 m. ed un quarto: misura che corrisponde esattamente ai 18 stadii. Quindi deducesi essere la cifra 18 la vera in Dionisio, e restringersi l'Aventino positivamente al colle di s. Sabina e s. Prisca, e doversi escludere quello di s. Balbina e s. Sabba. L'altezza di questo colle ascende a 158 piedi sopra il livello del mare: e perciò è il più basso de'sette colli, benchè apparentemente sembri il più alto, e tale parve a Dionisio, che lib. IV. c. XXVI chiamollo il più grande de'colli di Roma: tov μEɣIOTOV των εν τη Ρωμη λόφων. Questo medesimo scrittore nota lib. XI. c: XLIII che l'Aventino era il più adatto de' colli a porvi il campo, ed infatti ivi si ritirò la plebe romana nella tirannide decemvirale, prima di andare al monte Sacro, ed ivi pure fece fronte l'infelice Gracco alla fazione di Opimio. Osservò il Brocchi p. 160 che grossi banchi di travertino, tanto solido quanto quello di Tivoli, veggonsi ammassati pel tratto di quasi mezzo miglio a grande altezza dal livello del fiume nella falda, che dall'arco detto della Salara si estende fino al bastione di Paolo III. Egli mostra che a Marmorata in un cunicolo, che s'interna nel monte si può avere una idea de'materiali, che formano questa collina, cioè un tufa

bigio molto friabile, al quale sovrapponsi un banco di sabbia siliceo-argillosa, e sopra questo un altro grosso banco di tufa granulare, e finalmente una serie di banchi, parte di sabbia calcaria, parte di travertino con conchiglie terrestri e fluviatili. La massa del monte però è composta di materiali vulcanici, e specialmente nel lato orientale sotto s. Prisca è un gran masso di tufa litoide che si taglia per le fabbriche di Roma.

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Ad oriente del Palatino si prolunga la striscia fimbriata del Celio. Tacito Annal. lib. IV. c. LXV dice, che il nome antico di questo colle fu quello di Querquetulano dai querceti che lo vestivano: quod talis sylvae frequens fecundusque erat: e che poscia fu chiamato Celio da Cele Vibenna condottiere degli Etrusci venuti in soccorso di Roma, ivi posto ad abitare co' suoi da Tarquinio Prisco. Varrone de Ling. Lat. lib.IV. c. 46 seguendo circa il nome di Celio la stessa tradizione, varia nel dirlo venuto in Roma a soccorso di Romulo contra Tazio. Qualunque di queste tradizioni si segua è chiaro che il nome di Celio ebbe origine sotto i re di Roma. L'adulazione lo volle far chiamare Augusto ai tempi di Tiberio, allorchè l'anno 27 della era volgare andò soggetto ad un fiero incendio, secondo Tacito lib. cit. c. LXIV. e Svetonio in Tiberio c. XLVIII; ma per poco tempo durò quel nuovo nome, poichè si trova sempre appellato con quello di Celio, che ancora ritiene. Questo colle comincia a fronte del Palatino, e si estende con una lunga coda fin presso la chiesa di s. Croce in Gerusalemme, la quale però rimane fuori: formando varii angoli rientranti e salienti ha circa 16000 piedi di circonferenza, alla quale nessun altro colle di Roma antica perviene. Imperciocchè comincia a sorgere verso occidente rimpetto al Palatino: fronteggia il falso Aventino verso mezzodi: e quindi volgendo ad oriente

si dilunga incontro il Monte d'Oro, e le mura odierne di Roma fin verso la porta s. Giovanni, dove torce a sinistra e raggiunge l'andamento degli archi neroniani: finalmente girando intorno a questi, verso settentrione rimane separato dall'Esquilino da una valle, lungo la quale è una via che chiamano impropriamente Labicana. L'altezza sul livello del mare si fa ascendere a 171 piedi. Marziale lib. XII. epigr. XVIII. distingue il Celio in maggiore e minore:

Dum

per limina te potentiorum

Sudatrix toga ventilat, vagumque

MAIOR COELIUS, et MINOR fatigant.

Indizio chiaro è questo che nel Celio esisteva una qualche separazione che quasi in due colli lo partiva, uno più grande dell'altro. Il minore fu detto Coeliolus, nome ricordato da Cicerone nella orazione De Harusp. Resp. c. V. ne'frammenti de'Fasti Diurni illustrati da Dodwell Praelect. Acad. p. 665, e da Rufo. E sopra questa frazione del Celio i topografi di Roma concordemente la riguardauo come dovere essere una parte attinente al monte principale, poichè il passo di Marziale ed il nome troppo apertamente lo mostrano; ma non così vanno di accordo sul definire quale parte della odierna città corrisponda al Coeliolus. Più communemente inclinarono a ravvisarlo in quel lembo di colle, sul quale è la porta Latina, volgarmente noto col nome di Monte di Oro. Questo però non solo è staccato dal Celio; ma in origine fu parte del falso Aventino, dal quale entro il recinto odierno di Roma trovasi distaccato pel lavoro fatto affine di aprire una tramite alla via Appia. Ma questo lembo è fuori del recinto antico, e parte della I. regione, mentre il Celiolo fu dentro le mura, prossimo al Palatino, e parte della regione II. e perciò questa opinione non può ammettersi in modo

veruno. Altri, e fra questi il Brocchi p. 149 inclinarono a credere Celiolo quella specie di coda del Celio, sulla quale sono costrutti gli archi neroniani nella linea fra le basiliche di s. Giovanni Laterano, e di s. Croce in Gerusalemme; ma quella coda è troppo alta e troppo distante dal Palatino, mentre un passo di Varrone 1. c mostra che il Celiolo fu una parte depressa del Celio, e da ciò derivò il suo nome, e nel cuore della città. Imperciocchè parlando dell'espediente preso circa gli ausiliarii etruschi dopo la morte di Cele Vibenna loro condottiere, dice, che in parte furono trasportati nel piano fra il Palatino ed il Campidoglio che da ciò fu chiamata vico Tusco, ed i meno sospetti furono dal Celio traslocati nel Celioló, vale a dire sempre nell'animo di sorvegliarli: hi post Coelii obitum, quod nimis munita loca tenerent, neque sine suspicione essent, deducti dicuntur in planum. Ab eis dictus vicus Tuscus, et ideo ibi Vortumnum stare quod is deus Etruriae . Principes de Coelianeis qui a suspicione liberi erant, traductos volunt in eum locum qui vocatur Coeliolus. Essendo pertanto il Celiolo nel cuore di Roma, forte, attinente al Celio, e parte della seconda regione, molto probabile apparisce la opinione insinuata dal Nardini che lo ravvisa in quella eminenza prossima al Palatino, sulla quale è la chiesa di s. Gregorio. Infatti quella eminenza è come separata dal resto del colle, quando si rifletta che gli scavi fatti a' tempi di Piranesi presso la chiesa de' ss. Giovanni e Paolo sulla piazza hanno mostrato il piano antico di Roma in quella parte essere da 100 palmi più bassa del suolo odierno e quelli fatti negli anni 1821 e 1822 presso la chiesa di s. Tommaso in Formis ed il fornice di Dolabella, entro la villa già Mattei, veduti da me, fecero conoscere che il piano antico ivi era circa 40 palmi sotto:

non

quindi il greppo, sul quale sono in parte la villa testè ricordata, e la vigna, chiesa, e monastero di s.Gregorio, era molto più basso del rimanente del colle, e come separato dal ripiano principale. La roccia di questo monte sotto il convento de'ss. Giovanni e Paolo, ed il giardino annesso si ravvisa in una grandiosa latomia antica: essa è di tufa litoide in altre parti è di tufa ricomposto, e granulare.

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Ad oriente pure del Palatino, ma tendente più verso settentrione innalzasi l'Esquilino, detto anche semplicemente Exquiliae, o Esquiliae, poichè varia è la ortografia colla quale incontrasi scritto tal nome; ma i marmi offrendo il derivamento di esso scritto ESQVILINVS, sono forte indizio essere questa la ortografia più giusta, e guidano a trarne la etimologia da Esculus eschio, albero ghiandifero sacro particolarmente a Giove, che un tempo ne copriva le cime. Varrone ne' testi, che oggi si leggono così si esprime sulle varie etimologie, che davansi di questo nome lib. IV. c. 49: Secundae regionis Esquilinae ab Esquilieis: alii has scripserunt ab excubiis regis dictas: alii ab eo quod excultae a rege Tullio essent. Huic origini magis concinunt luci vicini etc. e nomina il luco fagutale, quello di Mefite, quello di Giunone Lucina, quello de' Lari, ed il Sacello Querquetulano. A prima vista apparisce che havvi una laguna fra la frase: alii ab eo quod excultae a rege Tullio essent: e quella: huic origini magis concinunt luci vicini essendovi una contradizione fra excultae abbellite, ornate, ed i boschi che ancora le vęstivano ai giorni suoi, allegati in prova di tali abbellimenti; laonde il Müller nella recente e dotta edizione di questo classico ha supplito la frase: ALII AB ESCULETIS altri dai boschi di eschj: e quindi huic origini magis concinunt luci vicini va a senso, e dee

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