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monumenti si aggiungono le autorità di Dione e di Sparziano il primo lib. LXIX. c. XXIII. parlando della morte di Adriano dice, che quell' imperadore venne sepolto presso la ripa stessa del fiume dirimpetto al ponte Elio: εταφη δε προς αυτῷ τῷ ποταμῳ, προς τη γέφυρα Tη Ata e Sparziano narra, che quell'imperadore edificò in Roma un ponte del suo nome, ed un sepolcro vicino al Tevere: Fecit et sui nominis pontem, et sepulcrum iuxta Tiberim: veggasi la vita di Adriano c. XIX. Liutprando nella storia inserita nel tomo II. de' Rerum Italicarum Scriptores lib. III. c. XII. par lando della Mole Adriana, allora occupata dalla famosa Marozia, nel secolo X, e della venuta in Roma del re Ugo l'anno 932, così descrive questo ponte in quella : ante cuius ianuam, cioè della Mole, PONS EST PRETIOSISSIMUS super Tiberim fabricatus: qui primum Romam ingredientibus atque egredientibus est, nec est alia nisi per eum transeundi via: hoc tamen nisi consensu munitionem custodientium fieri non potest. Sopra questo ponte Cencio figlio di Stefano, prefetto, fece edificare una torre molto alta a' tempi di Gregorio VII. ed ivi esercitava ogni sorte di avanie sopra que' che passavano, ed anche impose un pedaggio nuovo ed in essa volle trasportare l'anno 1075 il santo pontefice Gregorio, ma sopraggiunti i Romani a turme la disfecero veggasi il card. di Aragona nella vita di Gregorio VII. e Paolo Benrieden de Rebus Gestis Gregorii VII. presso i Rerum Italicarum Scriptores Tom. III. P. I. p. 305 e 328, come pure Lamberto Schaffnaburgense De Reb. Germ. a. 1076. Quest' ultimo scrittore, essendo coevo al fatto lo descrive con molti particolari. L'anno 1116 ne' torbidi insorti per la morte di Pietro prefetto di Roma, e riferiti da Falcone Beneventano nella Cronaca inserita dal Muratori, e da

Pandolfo Pisano nella vita di Pasquale II pur nella stessa raccolta, si presentò il lunedì di Pasqua dinanzi a questo ponte Pietro figlio di Pierleone, onde forzatamente farsi confermare come prefetto dal papa, e non avendo potuto ottenerlo, sfogò il suo dispetto sopra que' che accompagnavano il papa in tal circostanza quello scrittore chiama questo ponte, ponte di Traiano: Secunda fe

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ria eunti domno ad basilicam B. Petri iuxta radicem pontis Traiani cum tumultu se puer ille opposuit, confirmari petiit, quod quia adeptus non est sequentis familiae alios cepit, alios iniuriis affecit. Narrano Stefano Infessura nel Diario presso i Rerum Ital. Scr. T. III. P. II. ed altri scrittori contemporanei che nel sabbato 19 dicembre 1450, tornando il popolo da s. Pietro, dove si era mostrato il Sudario, e data la benedizione da papa Niccolò V, avvenne la terribile sciagura, che per la calca si ruppero le sponde del ponte e 172 persone perirono, in parte soffocate sul ponte stesso, in parte annegate nel fiume; onde quel papa fece all' ingresso del ponte edificare due picciole cappelle rotonde, e ristaurò il ponte, e perciò il suo nome N.PP.V. si legge sopra uno de' piloni nella faccia rivolta al Vaticano. Niccolò V stesso affine d'impedire, che tale sciagura si rinnovasse secondo l' Infessura testè nominato, spianò molte case, e fece la piazza di Ponte, che allora chiamavano per la vicina chiesa la piazza di s. Celso, lavori, che come tutti gli altri ordinati da quel papa, furono eseguiti da Bernardo Rossellino, secondo il Vasari nella sua vita. Quelle due cappelle rimasero fino all' anno 1527, allorchè papa Clemente VII, stando rinchiuso in Castello, vide (dice il Vasari nella vita di Lorenzetto) che queste aveano recato molto danno ai difensori del Castello, perchè standovi dentro alcuni soldati archibugieri ammazzavano chiunque s'affacciava alle mura e con

troppo danno, stando essi al sicuro, levavano le difese, onde il papa si risolvè di levare le cappelle, e ne'luoghi loro, terminata quella catastrofe, fece collocare sopra basamenti due statue di marmo e così fatto metter sù il s. Paolo, scolpito da Paolo Romano, fu dato a fare il s. Pietro a Lorenzetto, il quale, per testimonianza del biografo sovraccennato, si portò bene, ma non passò già la statua di Paolo Romano: e sono queste le due statue che veggonsi all'ingresso del ponte, e queste furono le prime ad essere erette. i

Allorchè poi l'anno 1536 Carlo V fece l'ingresso suo solenne in Roma, reduce da Tunisi, narra l'autore contemporaneo della relazione di quelle feste riportato dal Cancellieri nella Storia de' Possessi, che sopra gli altri pilastri del ponte, che un dì sostennero le colonne con statue, furono poste otto figure, fatte da Raffaelle da Montelupo, dal canto di s. Pietro i quattro evangelisti, e dal canto di s. Paolo i quattro patriarchi, Adamo, Noè, Abramo, e Mosè. Questa non fu che una decorazione momentanea, ma non fu una idea perduta; imperciocchè volendo papa Clemente IX nell'anno 1668 abbellire il ponte, ne diè la cura al Bernini, il quale con ottimo divisamento in luogo di parapetti chiusi fece una specie di balaustrate, e pose sui pilastri dieci statue colossali rappresentanti angeli cogli strumenti della passione, delle quali una sola è opera sua propria: le altre sopra i suoi modelli sono de' suoi scolari. E questo fu l'ultimo lavoro di qualche importanza fatto a questo ponte magnifico e degno di Roma; del quale si hanno due medaglie colla epigrafe AELIO PONTE EXORNATO, battute ai tempi di Clemente IX e riportate dal Bonanni Numism. T. II. p. 705. num. XIII. XIV.

Notai di sopra, che la medaglia di Adriano presenta questo ponte con cinque archi, e cinque sono di

fatto gli archi antichi, che si distinguono per una soda scorniciatura nella fronte dell' archivolto; ma dal canto di Castello se ne vede aperto un'altro che è posteriore e diverge alquanto dalla fronte del ponte: questo, come l'antico ad esso prossimo, erano stati chiusi nel secolo XVI, credo, per maggior sicurezza del vicino castello; ma veggendo, che tale chiusura nelle inondazioni nuoceva fortemente alla città, ed al ponte, papa Urbano VIII li fece riaprire.

Entrando su questo ponte dal canto di mezzodì presentansi in primo luogo le statue a sinistra di s. Pietro, a destra di s. Paolo, poste come si disse da papa Clemente VII. Sotto la statua di s. Pietro, dalla parte che guarda il castello, statua scolpita da Lorenzetto, è la iscri zione seguente:

CLEMENS VII. PONT. MAX.
PETRO ET PAVLO APOSTOLIS
VRBIS PATRONIS
ANNO SALVTIS CHRISTIANAE
MD XXX IIII

PONTIFICATVS SVI DECIMO

sotto quella di s. Paolo fatta da Paolo Romano :
BINIS HOC LOCO SACELLIS
BELLICA VI ET PARTE PONTIS
IMPETV FLVMINIS DISIECTIS
AD RETINEND LOCI RELIGIONE
ORNATVMQ. HAS STATVAS
SVBSTITVIT

sulla faccia che guarda la piazza, sotto la statua di s.Pietro:

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Queste iscrizioni furono fatte dal celebre cardinal Bembo, uno de' letterati italiani più insigni del suo tempo. Dopo le statue de'santi apostoli protettori di Roma, comincia la serie di quelle degli angeli, accompagnate ciascuna da un motto scritturale relativo al soggetto: in queste ravvisasi tutto lo stile della scuola berninesca. Milizia le dice statue brutte; belle certamente non sono dal canto dell'arte i difetti però appartengono alla scuola. Ma bello è il concetto di quella decorazione imponente, ed in esso il Bernini mostrò la grandezza del suo ingegno. Imperciocchè il ponte per la sua costruzione primitiva esigeva di essere ornato di statue nelle sponde: l'essere poi divenuto il tramite necessario alla basilica vaticana portava che sacro fosse il soggetto di quelle statue: e queste doveano accordarsi col nome che il ponte avea dall'imminente castello, sul quale domina la statua dell' arcangelo Michele: le reliquie del volto santo, della lancia, e del legno della santissima croce che si custodiscono nella basilica vaticana fornivano il soggetto degli attri buti da porsi nelle mani degli angeli. Questa unità e convenienza di soggetto parmi che debba meritare indulgenza per lo stile delle statue, che non può in modo alcuno lodarsi. La prima figura a sinistra è quella dell'angelo che porta i flagelli, opera di Lazzaro Morelli ascolano: quella incontro che porta la colonna è di Antonio Raggi. La seconda pure a sinistra è di Paolo Naldini : l'angelo porta la corona di spine: quella a destra che presenta il volto santo è di Cosimo Fancelli. La terza, che tiene la tunica ed i dadi è di Naldini: quella incontro coi chiodi di Girolamo Lucenti. La quarta, che porta la croce è di Ercole Ferrata: quella incontro col titolo è dello stesso Bernini, sulla quale uscì il detto:

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