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tudini, alle quali, meno l' Elio, e quello di Graziano tutti gli altri non poterono resistere, e che non presenta di moderno altro che il parapetto, il quale in questo come negli altri ponti testè citati è stato rifatto più volte.

E da questo ponte Orazio nella satira terza del libro secondo v. 36. mostra, che a' tempi suoi, erano soliti gittarsi per disperazione nel fiume :

unde ego mira Descripsi docilis praecepta haec tempore, quo me Solatus iussit sapientem pascere barbam

Atque a FABRICIO non tristem PONTE reverti. L'antico scoliaste edito dal Cruquio commentando questo verso dice: Fabricio: unde se in Tiberim praecipitem dare voluit, damni dolore commotus. Hic autem pons Fabricius dictus est a Fabricio consule conditore, qui nunc Lapideus nominatur iunctus insulae Tiberinae. Ponendo da canto l'errore di far di Fabricio, che edificò questo ponte un console, è importante vedere, come dal nome di Lepido, che era uno de' consoli indicati nella iscrizione riferita di sopra si fosse fatto pons Lapideus nel secolo V. o VI. della era volgare, al quale quel grammatico appartiene. L'autore della Cosmografia che si attribuisce ad Etico, e che appartiene alla stessa epoca, cioè al secolo V, o V1, parlando del Tevere, dopo aver detto, che forma la isola nel punto che chiamansi i Due Ponti, ubi Duo Pontes appellantur, confondendo il Fabricio, col prossimo oggi detto ponte Rotto, soggiunge: post iterum ubi unus effectus per pontem Lepidi, qui nunc abusive a plebe Lapideus dicitur ec: ma nello stesso tempo fa conoscere la etimologia di quel nome volgare di pons Lapideus, che allora portava. Ne' tempi bassi nomavasi il ponte de' Giudèi, Pons Iudaeorum per la vicinanza degli Ebrei :

e di questo nome incontrasi una memoria fin dal secolo XIII. nella storia di Sabba Malaspina lib. V. c. VI, e si trova usato ancora nel secolo XV. leggendosi nel Diarium inserito dal Muratori Rerum Ital. Script. T. XXIV, che papa Giovanni XXIII. entrò in Roma ai 12 di aprile l'anno 1411 per la porta s. Pancrazio a cavallo, e passò pel ponte de' Giudèi, Campo di Fiore, e ponte s. Pietro: et equitavit per pontem Iudaeorum et per Campum Florae, et venit per pontem s. Petri. E su tal proposito della vicinanza degli Ebrei debbo notare, che fin dall' anno 1019, Benedetto VIII. nella bolla diretta a Benedetto vescovo portuense, riferita dall' Ughelli Italia Sacra T. I. designando i confini della giurisdizione del vescovo portuense, che comprendeva la Isola Tiberina e tutto il Trastevere, risalendo il fiume, nomina ciascun ponte, che incontrava, e prima il ramo del ponte già Sublicio, ed allora rotto, poi l'arco medio del ponte di s. Maria, oggi rotto pur esso, e dopo questo l'odierno ponte Quattro Capi, che indica: et ad medium pontem, ubi Iudaei habitare videntur. Oggi dicesi ponte Quattro Capi per gli ermi quadrifronti di Giano che > le due teste di esso si ravvipresso sano. Questi presentano incastri per contenere barriere di ferro, o di bronzo: ora siccome nelle vicinanze del ponte fu il tempio di Giano Gemino nell' Argileto se ne conosce perciò la provenienza. Potrebbe ancor credersi, che in origine servissero per le barriere stesse, o parapetti del ponte, e che in tal modo venissero effigiati per la ragione medesima della vicinanza del tempio. E di tale uso si ha una prova in quella parte del parapetto antico, che rimane nel ponte Salario, dove veggonsi questi cippi, grossolani come portava la epoca, rotondati nella parte superiore ed in quella parte è grafita la croce, o un fiore le pietre poi de'

parapetti con questi cippi incassate sono grafite a modo di grate di ferro; vale a dire che si seguiva il costume, ma non permettendo la religione cristiana di ornare tali cippi con immagini di divinità pagane, a queste sostituissi la croce.

Questo ponte si compone di due belli archi, che hanno le faccie esterne dell' archivolto di travertino, e nel resto sono di peperino: fra questi due archi havvene uno minore ornato di due pilastri di ordine dorico. Questi ed altre vestigia apparenti mostrano che le faccie esterne del ponte erano tutte fasciate di travertino; ma queste lastre, essendo in parte rimaste danneggiate, furono, circa il secolo XII cangiate in una cortina di opera laterizia molto simile a quella della torre de' Pierleoni ancora superstite a sinistra nella testa occidentale del ponte. Il parapetto è moderno, e la lapide esistente in esso mostra, che fu rifatto da papa Innocenzo XI. l'anno 1679, come pure quello dell' altro ponte, ed allora fu pure rifatto il lastricato, che poscia è stato più volte rinnovato.

P. IANUCLENSIS, O AURELIUS, P. SISTO. Notossi di sopra, che questo ponte fn edificato da Marco Aurelio Antonino Caracalla, e che da ciò derivarono i nomi di Aurelius, che gli dà la Notizia e di Antonini, che gli danno gli atti de' martiri, dai quali si trae, che sotto gl' imperadori di là si gittavano nel fiume coloro che venivano condannati a simil pena: si vide ancora che il nome di Ianuclensis, ossia Ianiculensis lo ebbe perchè situato dirimpetto al Gianicolo, nella stessa guisa, che fuvvi un pons Palatinus: ed un pons Vaticanus. Ne' tempi bassi, rimasto rotto, fu designato col nome di Pons Fractus, e finalmente essendo stato rifatto da Sisto IV. ebbe il nome di Sisto che ancora ritiene.

Avendo Settimio Severo mentre era ancora privato comprato orti spaziosi nella regione trastiberina, prese, come è naturale, affezione alla contrada, e narrasi da Sparziano nella sua vita c. IV, che stando ivi a desinare riprese Caracalla suo figlio che allora non avea che cinque anni, perchè con troppa larghezza dispensava i pomi apportati sulla mensa e che questi gli rispose in modo risoluto, che fu poscia considerato come un augurio dell' impero, che avrebbe ottenuto: parcius divide non enim regias opes possides, disse il padre: sed possidebo, rispose il figlio. Questo aneddoto prova che gli orti erano stati di già acquistati da Severo l'anno 192 della era volgare, poichè allora correva l'anno quinto del suo figlio maggiore Caracalla. E questi orti probabilmente spinsero Severo ad ornare la regione trastiberina, notandosi dallo stesso Sparziano c. XIX. che fralle opere pubbliche, grandiose che quell' imperadore eresse in Roma contavansi i giani, specie di archi, molto ornati di statue, eretti presso la porta pure da lui eretta nella stessa regione, e che Settimiana dicevasi opera publica eius praecipue Romae extant, Septizonium et Thermae Severianae: eius denique IANI

IN TRANSTIBERINA REGIONE AD PORTAM NOMINIS

nome,

SUI: ma questi, non costrutti solidamente, poco dopo la loro edificazione perirono: quorum forma intercidens statim usum publicum invidit. Questi orti dopo la morte di Settimio rimasero a Geta e furono designati col suo che si conservò fino al secolo V. della era volgare, leggendosi nel catalogo di Vittore e della Notizia HORTI GETAE insieme colle altre rarità della regione XIV. o trastiberina. Dopo che Geta fu spento, il fratello Antonino, subentrò in questa eredità, e come quegli che amava far cose magnifiche, delle quali un documento abbiamo nelle terme famose, che portano

ancora il suo nome, ricordandosi de' primi anni passati in quelli orti, ne avrà, come è naturale amato il soggiorno, e perciò troppo distanti essendo i ponti Vaticano, ed i due della isola per venirvi dal Campo Marzio costrusse questo nuovo ponte, che da lui ebbe il nome di Antonino, come le Terme, essendo questo il nome datogli dal padre dopo che ottenne l'impero, giacè antecedentemente appellavasi L. Settimio Bassiano; come il cognome volgare di Caracalla lo ebbe dopo essere divenuto imperadore, concedendo al popolo molte vesti lunghe fino ai talloni che caracallae dicevansi secondo il lodato biografo Sparziano c. IX. Quanto poi al nome di Antonini dato a questo ponte questo ricordasi specialmente negli atti di s. Eusebio e comp. che conservansi manoscritti in un codice di s. Maria ad Martyres, ed apparisce da quelli di s. Callisto, dalla leggenda di s. Pigmenio, e dagli atti di s. Valentino, che questo ponte di Antonino dal quale gittavansi i martiri, era prima che il Tevere si biforcasse a formar la isola Tiberina, ivi sempre chiamata col nome d'Insula Lycaonia, e perciò non fu il Fabricio come credette il Martinelli, non quello detto Palatino, o di s. Maria come supposero altri, non il Sublicio come altri giudicarono, leggendosi che i corpi di là gittati rinvenivansi alle volte presso la isola. Questa stando al di sopra de' due ponti sovraccennati non avrebbe potuto ricevere corpi da quelli gittati, ma sibbene dall' odierno Sisto la corrente trasporta i corpi naturalmente nella isola.

Conoscendosi pertanto essere questo il ponte di Antonino, si conosce ancora la epoca in che fu rovinato. Imperciocchè Anastasio Bibliotecario nella vita di Adriano I. narrando i guasti fatti dal Tevere nella terribile inondazione che avvenne nel decembre dell'anno 792, dice, che svelse la porta Flaminia e trasportolla fino all'

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