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l'altra verso Roma:

PIVS. VII. PONT. MAX.

PARTEM. PONTIS ·

SVBLICIAM. IMPETV. AQVARVM. VEXATAM STRVCTORIO LAPIDE. REFICIEND . CVRAVIT

IDEM. TVRRI. PERFOSSA . RECTA. AD. ALTERAM RIPAM ITER. APERVIT A · СІРІОСССТ

CVRANTE. ALEXANDRO LANTE. PRAEF. AERARI

La statua di s. Giovanni Nepomuceno fu allora trasportata in testa al parapetto destro per chi esce da Roma: demolita la edicola, perchè formava ingombro, e perchè troppo rozza era, fu sull'altra testa del ponte eretta una statua in travertino rappresentante la Vergine, opera di Domenico Pigiani. Sulle altre due teste del ponte fu divisato di porre le statue degli apostoli protettori di Roma s. Pietro e s. Paolo, e questo divisamento era buono, giacchè le statue per la mossa, in che que' due apostoli sogliono effigiarsi, pel soggetto così strettamente connesso con Roma, e per la circostanza locale avrebbero fatto bell'ornamento all'ingresso del ponte principale, che introduce a Roma dal canto di settentrione, che potrebbe chiamarsi l'ingresso europeo della città eterna. I piedestalli rimasero privi di statue fino all'anno 1825, ed allora vi furono collocate quelle che oggi ivi si veggono di s. Giovanni Battista e del Redentore, il primo iu atto di dare e l'altro di ricevere il battesimo; statue fatte per essere unite insieme e formar gruppo, e che oggi restano separate e non hanno alcun rapporto colla circostanza locale, meno quella del fiume. Queste furono fatte in origine da Francesco Mochi per l'altar maggiore della chiesa di s. Giovanni de' Fiorentini, ma trovate difettose per ogni riguardo, non solo non furono mai esposte al pubblico, ma rimasero abbandonate e neglette ne' pianterreni del palazzo Falconieri fino alla epoca sovraindicata dell'anno 1825, allorchè Belisa

rio Cristaldi, allora tesoriere acquistolle per 100 doppie di oro e le collocò così impropriamente. Veggasi su quelle due statue brutte il Passeri nelle Vite de' Pittori p. 119.

Affacciandosi al parapetto destro del ponte vedesi sulla sponda del fiume a sinistra fissa sul luogo la pietra, o cippo terminale di travertino, alta circa 3 piedi larga 2. e grossa 20 digiti, ossia 1 piede ed un quarto. Questa iscrizione fu notata dal Fabretti sul declinare del secolo XVII. Inscr. Clas. VI. n. 167 e tornò alla luce il dì 20 ottobre 1819. Incontro a questa sulla sponda opposta fu rinvenuta l'altra che porta i nomi me→ desimi, ma trasposti, e che oggi conservasi nella villa Albani, anche essa riportata dal Fabretti ed illustrata da Marini nelle Iscr. Alb. p. 21, come limite fra l'agro privato e l'agro pubblico. Queste iscrizioni in caratteri di forma antica, cioè anteriore alla era augustana ricor→ dano la censura di Marco Valerio Messala figlio di Marco, e nipote di Manio, e di Publio Servilio Isaurico figlio di Caio, censura che secondo il Marini dee fissarsi all'anno 699. Ecco il tenore della epigrafe sul cippo ancora esistente presso il ponte Molle.

M. VALERIVS. M. F.

M,. N. MESSAL

P. SERVEILIVS. C. F

ISAVRICVS. CES

EX. S. C TERMIN

Questo cippo è conficcato in una specie di gradinata costrutta di massi di tufa che faceva ala al ponte, la quale allorchè le acque del fiume sono basse mostra essere stata composta di otto gradini. Circa poi la trasposizione de' nomi de' censori in questo cippo ed in quello di villa Albani, è un fatto che continuamente s'incontra, e deriva dall' ambizione de' censori medesimi per non

darsi ombra d'inferiorità uno all'altro: quindi alternativamente uno metteva il nome prima dell'altro

P. PALATINVS, AEMILIVS, P. RoTTo. Il nome primitivo di questo ponte ci è noto dall'epilogo di Vittore e della Notizia e derivò dalla località, poichè è rivolto verso quel monte: quello di Aemilius lo ebbe dagli scrittori del secondo secolo della era volgare, come Giovenale, perchè portava i nomi incii di Fulvio Nobiliore ed Emilio Lepido, censori ch: lo costrussero: il volgare di Rotto deriva dalla circostanza attuale dell'essere rotto, poichè antecedentemente alla caduta, fin dal secolo XIII era stato appellato ponte di s. Maria, sia per la vicina chiesa oggi nota col nome di s. Maria Egiziaca, sia per una immagine della Vergine che veneravasi sul ponte, sia piuttosto perchè si rova al principio della strada che conduce a s. Maria ir Trastevere.

Tito Livio lib. XXXV. c. XXI. narrando i prodigii dell'anno 560 di Roma, che ritardarono la partenza del console, nota fra questi la grande inondazione del Tevere, che fu più desolatrice di quella dell'anno antecedente, e recò danni gravissim ne' dintorni della porta Flumentana, e rovesciò i due onti che allora soli esistevano in Roma: Tiberis inftiore quam priore impetu inlatus urbi, DUO PONTE, aedificia multa maxime circa portam Flumentanar, evertit. E que'due ponti erano il Sublicio e questo ch poscia apparisce col nome di Palatino e di Emilio sembra che allora fosse di legno, come certamente di Igno era il Sublicio. Dopo quella epoca però fu riedifiato magnificamente di pietra e fu il primo ponte solio che sorgesse in Roma. Lo stesso Livio enumerando ni lib. XL. c. LI. le opere fatte l'anno 573 di Roma rella censura di Marco Emilio Lepido e Marco Fulvic Nobiliore, dopo avere narrato quelle particolarmente sorvegliate da Marco Emi

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lio, dice di Fulvio, che fece il porto e le pile del ponte nel Tevere, sulle quali poscia l'anno 611 i censori Publio Scipione Affricano e Lucio Mummio allogarono di edificare gli archi: Marcus Fulvius plura et maioris locavit usus: portum et PILAS PONTIS in Tiberim, quibus pilis fornices post aliquot annos P. Scipio Africanus et Lucius Mummius censores locaverunt. E si noti come lo sesso storico poco prima c. XLVI avea indicato che a questi censori era stata accordata, sulla loro domanda, una somma destinata a grandi opere publiche, imponendo una tassa che dovea durare l'anno della loro censura: Censoribus deinde postulantibus ut pecuniae summa sibi qua in opera publica uterentur attribueretur vectigal annuum decretum est: come pure dee osservarsi che il post aliquot annos fra la fondazione delle pile ed il voltare degli archi fu uno spazio di 38 anni. Secondo il costume leggevansi su quelle pile i nomi di ambedue i ensori Emilio Lepido, e Fulvio ́ Nobiliore, e questo potè lare occasione all'equivoco preso dall'autore della Cosmografia di credere che questo e non il Fabricio si chimasse dal volgo nel secolo V. Lapideus. Plutarco nella vita di Numa c. IX. indica, che questo ponte fu fatto nella censura di Emilio vn Αιμιλίου τιμητευοντος, dovandosi cosi leggere e non ταpusvovtos come si ha ne'tsti communi che hanno scambiato l'officio di censore i quello di questore, giacchè è noto che la cura delle oere di grande utilità publica come strade, ponti, ec. er de' censori durante la republica, ed ai questori appareneva quella dell'esiggere e custodire il publico danaro.E da questo venne che Giovenale obbligato dal metro o disse Aemilius pons nella sat. VI. v. 32.

Ferre potes dominam savis tot restibus ullam?
Quum pateant altae, calizantesque fenestrae,
Quum tibi vicinum se praebeat AEMILIVS PONS?

.

E lo scoliaste antico nota sotto le ultime due parole: quod ibi lupanaria essent. La Notizia lo designa col nome di pons Probi, indizio manifesto che questo ponte venne riedificato da quell' imperadore circa l'anno 280 della era volgare. Cadde nuovamente nel pontificato di Gregorio IX. per la inondazione dell'anno 1230, e quel pontefice per testimonianza di Bernardo Guidone nella sua vita, presso i R. I. S. T. III. P. I. pag. 578, lo rifece allora chiamavasi già il ponte di s. Maria: PONTEM autem s. MARIAE gravibus refecit impensis alluvione Tiberis demolitum. Fu quella la terribile inondazione dell'anno 1230 avvenuta il primo di febbraio, e notata da Riccardo da s. Germano, la quale oltre guasti irreparabili fu seguita da una epidemia che fece gran strage. Questo nome di ponte di s. Maria continuava a portarlo nel secolo XVI. allorchè essendo molto malconcio papa Giulio III. lo rinnovò. E di tale rinnovazione scrive il Vasari, testimonio di vista, nella vita del Buonarroti, che fino dal tempo di Paolo III. avea quell'artista dato principio per ordine di quel papa a far rifondare il ponte di s. Maria di Roma, il quale per il corso dell'acqua continuo e per l'antichità sua era indebolito e rovinava: che fu ordinato da Michelangelo per via di casse il rifondare e fare diligenti ripari alle pile, e di già ne avea condotto a fine una gran parte e fatto spese grosse in legnami e travertini a benefizio di quella opera che vedendosi nel tempo di Giulio III. in congregazione coi chierici di camera in pratica di dargli fine fu proposto fra loro da Nanni di Baccio Bigio architetto, che con poco tempo e somma di danaro si sarebbe finito, allogando il cottimo a lui: e con certo modo allegavano sotto spezie di bene per isgravare Michelangelo, perchè era vecchio, e che non se ne curava, e stando così la cosa non se ne verrebbe mai a

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