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sto ponte nel Tevere agl' idi di maggio 30 fantocci di giunchi, costume introdotto da Ercole, che per abolire i sacrificii umani, che dagli Aborigeni facevansi, che gittavano uomini colle mani e co' piè legati nel Tevere, consigliolli a sostituire figure umane in luogo di uomini. E questa ceremonia continuò fino alla caduta del paganesimo. Dionisio, che la vide, dice, che i pontefici dopo avere celebrato i sacrificii di rito, accompagnati dalle vestali, dai pretori, e dai cittadini, ai quali era permesso di assistere a tali ceremonie gittavano nel corso del Tevere dal ponte sacro 30 fantocci di forma umana e li chiamavano Argèi: e così li appella Varrone 1. c. Argei fiunt e scirpeis, simulacra hominum XXX: ea quotannis de ponte Sublicio a sacerdotibus publice deiici solent in Tiberim. Ovidio Fast. lib. V. v. 621 descrivendo questa festa indica nello stesso tempo, che era la vestale massima, che gittava quelle immagini nel fiume, e che il ponte era costrutto di rovere:

Tunc quoque priscorum virgo simulacra virorum
Mittere roboreo scirpea ponte solet.

È noto che i Fasti furono scritti da Ovidio mentre era in esilio, cioè non prima dell'anno di Roma 762, quindi fino a quella epoca il ponte continuava ad essere di legno. Un passo di Plutarco a prima vista induce a credere che fosse fatto di pietra da un Emilio, e che per conseguenza sia questo il pons Aemilius degli antichi. Quello scrittore nella vita di Numa c. IX. parlando della istituzione de' pontefici, e delle etimologie di quel nome dice che ai pontefici apparteneva la custodia ed il ristauro del ponte di legno: ed aggiunge: imperciocchè non lecita, ma abbominevole reputano i Romani la distruzione del ponte di legno e dicesi che intieramente senza ferro, per un oracolo, sia connesso, per mezzo di legni: quello di pietra poi fu costrutto mol

ti anni dopo da Emilio questore. Plutarco pertanto insinua che non poteva per religione cangiarsi la materia di questo ponte, come neppure il modo con che era costrutto, che questo solo ponte servi per molto tempo, e che quello di pietra, cioè il ponte oggi Rotto, fu fatto molti anni dopo da Emilio, non questore come per errore egli, o i trascrittori hanno posto, ma censore, insieme con Fulvio, come si vide trattando del ponte Rotto. Non molti anni prima che Ovidio scrivesse i Fasti, questo ponte era stato portato via dall' alluvione del Tevere descritta da Dione lib. LIII. sul fine, avvenuta nel 731 di Roma, forse la stessa di quella descritta da Orazio lib. I. ode II. Quindi dal passo di Ovidio riferito di sopra è chiaro che fu rifatto di legno. E di questa medesima materia e costruzione durava ai tempi di Vespasiano, poichè Plinio lib. XXXVI. c. XV. §. XXIII. notando, che in Cizico la sala del consiglio era coperta da un soffitto, che si metteva e si dismetteva senza alcun chiodo di ferro, soggiunge : Quod item Romae in ponte Sublicio religiosum est, posteaquam Coclite Horatio defendente aegre revulsus est. Un' altra grande inondazione del Tevere avvenuta ne' tempi di Antonino Pio e ricordata da Capitolino nella vita di quell' Augusto. c. IX. lo danneggiò e perciò quell' imperadore lo ristaurò siccome narra lo stesso scrittore c. VIII. enumerando i lavori fatti da Antonino: Opera eius haec extant: Romae PONS SUBLICIUs ; quindi alcuni credettero, che Antonino lo rifacesse di materiali solidi; ma a ciò si oppone Macrobio, che Saturn. lib. I. c. XI. Sublicio, ossia ligneo continua a chiamarlo nel V. secolo della era volgare: ponte qui nunc Sublicius dicitur ad tempus instructo. Continuando ad esser di lenel secolo V. ed essendo un ponte sacro pe' pagagno ni è Laturale credere, che portato via da qualche al

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luvione non venisse più rinnovato, e di grandi alluvioni il Tevere ogni secolo ne conta parecchie, e non trovare del ponte Sublicio menzione dopo il primo periodo del secolo V. parmi un indizio assai forte che in quel secolo stesso perisse. E che fosse rotto già sul principio del secolo XI. una prova si ha nella bolla di Benedetto VIII. a favore del vescovo portuense riferita dall' Ughelli T. I. p. 118 nella quale determinandosi i confini della giurisdizione di quel vescovo, rimontando il corso del Tevere s' indica in primo luogo il ramum fracti pontis, qui est iuxta Marmoratam, e poi il medium pontem s. Mariae ec. Questo con piccola varietà si ripete nella bolla di Leone IX. circa la metà dello stesso secolo XI: usque Romam in fracto ponte iuxta Marmoratam, ec. Il Nerini nella storia della chiesa di s. Alessio riporta un documento dell' anno 1417 dal quale apparisce che questo ponte designavasi sempre col nome di Pons Fractus, mostrando che un luogo da pesca ivi esistente e che allora chiamavasi la Pescara de mal tempo, dirimpetto alla ripa trastiberina stava suptus ecclesiam s. Sabinae iuxta pontem fractum. Ma gli avanzi superstiti delle pile di un ponte, che veggonsi fra Marmorata e Ripa Grande, e che certamente appartengono al ponte Sublicio sono di materiali solidi, ed erano in origine fasciati di travertini come più sotto vedrassi, quindi deducesi da alcuni che tutto il ponte Sublicio fosse di materiali solidi nell' ultimo periodo della sua esistenza; non abbiamo però documenti per credere il ponte esistente dopo il secolo V. ed inoltre le pile poterono essere solide anche supponendo il ponte stesso di legno, e questo credo essere stato il caso del ponte Sublicio, così che facilmente disfacevasi perchè il piano era di tavole, facilmente ricostruivasi avendo pile solide, che potevano resistere all' impeto delle on

de. Quelle pile erano molto più conservate di quello che oggi appariscono, imperciocchè vennero smantellate dei travertini l'anno 1484, narrando Stefano Infessura la ultima rovina del ponte in questi termini nel suo diario presso il Muratori R. I. S. T. III. P. II. p. 1178: ,, Insuper ai 23 di luglio in campo furono mandati per » papa Sisto venti carra di palle da bombarde di travertino attondate, le quali furono quattrocento in nue le dette palle furono fabbricate a Marmorata, dove che fu finito di distruggere un ponte di travertino rotto, il quale si chiamava il ponte di Orazio Cocles.,,

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Questa denominazione, che conservava ancora il ponte, sebbene distrutto, ricorda il fatto glorioso di Orazio, che nella guerra di Porsena resistè solo contra l'esercito etrusco, intanto che dietro a lui si andò disfacendo il ponte, onde troncare al nemico l'accesso: fatto che diè origine alla prescrizione di non impiegare più nè metallo, nè ferro pel compaginamento delle tavole, e delle travi che lo formavano, siccome di sopra venne notato allegando il passo di Plinio lib. XXXVI. c. XV. §. XXIII. Questo scrittore pare doversi anteporre in questa circostanza a Dionisio lib. II. c. XXIV, pur riferito di sopra che indica il ponte come esisteva alla epoca sua, quasi fosse stato egualmente compaginato alla epoca di Orazio, mentre dall'altro canto la fatica che soffrirono quelli che dovettero tagliarlo descritta da Dionisio medesimo mostra l'opposto. Altro fatto celebre su questo ponte è quello di Caio Sempronio Gracco: questi, siccome riferisce Plutarco nella sua vita c. XVI. XVII. fuggendo dal tempio di Diana sull'Aventino, dove erasi ritirato fu su questo ponte raggiunto dalla fazione nemica; ivi Pomponio e Licinio che lo accompagnavano resistendo valorosamente alle turme che assalivanlo caddero vittima del loro co

raggio, ma dierono tempo a Gracco di rifuggiarsi nel bosco sacro delle Furie che era sulla ripa trastiberina, dove si fece uccidere da Filocrate, che poscia da se stesso si spense. Sopra questo ponte per la frequenza del popolo, che lo traversava stavano i mendici a domandare la elemosina, dicendo Seneca de Vita Beata c. XXV. In Sublicium pontem me transfer, et inter egentes abiice: non ideo tamen me despiciam quod in illorum numero consideo, qui manum ad stipem porrigunt; quid enim ad rem an frustum panis desit, cui non deest mori posse ? Quid ergo est? domum illam splendidam malo quam pontem. Quindi in Marziale lib. X. ep. V. fralle imprecazioni, che manda ad un poeta maledico havvi quella:

Erret per urbem PONTIS EXUL et clivi,
Interque raucos ultimus rogatores

Oret caninas canis improbi buccas.

A quest'uso pure alludono Ovidio in Ibin v. 418 e Giovenale Sat. IV. v. 116, XIV, v. 134. Oggi di questo ponte celebre più non rimangono che le vestigia di quattro piloni a fior d'acqua presso Ripa Grande ridotti ad uso di pescagione.

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P. VATICANUS. Scarsissime notizie ci rimangono di questo ponte oggi affatto distrutto, poichè solo dall'epilodi Vittore viene ricordato, indizio che nel quarto secolo era ancora in piedi e non vedendolo nominato nella Notizia, che appartiene al secolo seguente, parmi potersi conchiudere, che cadesse sul finire del quarto o nel principio del quinto secolo. Il nome facilmente derivasi dall' avere avuto dirimpetto il Vaticano, come si vide già del Gianicolense, e del Palatino. Ignorasi la epoca della sua costruzione, ma rammentandosi degli orti di Agrippina seniore, che erano nel Vaticano, e che ereditati da Cajo Caligola suo figlio furono particolar

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