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Roma che le nuove fabbriche venissero consolidate con pietra gabina, o albana, come quelle che resistevano al fuoco: aedificiaque ipsa certa sui parte sine trabibus saxo gabino, albanove solidarentur.

Il travertino è un nome corrotto invece di tiburtino, e fu così appellato perchè cavasi nel territorio tiburtino fra le acque Albule e l'Aniene: le cave antiche veggonsi presso il casale Petrucci, a destra della via moderna di Tivoli, le moderne aperte da Bernini sono a sinistra della via nella contraḍa detta perciò le Fosse. Esso è un carbonato di calce che esposto all'aria indurisce e di bianco che originalmente è diviene giallastro, come può rimarcarsi all'Anfiteatro Flavio, al sepolcro di Metella ed in altri edificii si antichi che moderni: il fuoco la screpola e la calcina. Essendo in genere più solida delle altre finora descritte servi di legamento alle pareti costrutte di quelle, e fu adoperata nelle parti che esigevano una solidità maggiore, come ne' basamenti, negli archivolti, negl' intavolamenti ec. Quindi nella Cloaca Massima di 12 in 12 piedi incontrasi un legamento di questa pietra, onde consolidare la costruzione di tufa, e perciò è chiaro che fu in uso in Roma fino dal tempo de're.

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Il selce, così communemente chiamato in Roma, silex detto dagli antichi, è una lava vulcanica eruttata dal cratere di Rocca di Papa volgarmente denominato il Campo di Annibale, che formò quattro grandi correnti dette di Acqua Acetosa, Capo di Bove, Borghetto, e Monte Falcone. Gli antichi la usarono pel nucleo delle fabbriche fino dal tempo de're, come dimostrasi dalle mura di Servio Tullio e dalla Cloaca Massima; servi pure per la opera reticolata, e pel lastricato delle vie.

La pomice, pumex fu adoperata principalmente per le volte attesa la sua leggerezza: essa traevasi dalle vi

einanze del Vesuvio: e l'edificio più antico, nel quale si trova è la volta del Panteon.

I metalli usati nella costruzione materiale sono il ferro ed il bronzo pe'perni, ed il piombo per fermarli: que'perni usavansi nelle costruzioni di pietra per legare un masso coll'altro orizzontalmente, ed uno strato coll altro verticalmente: i perni orizzontali erano o quadrangolari, o 'a coda di rondine: i verticali cubici: ne' tempi bassi furono causa della caduta, o almeno della deformazione degli edificii, come può vedersi al Giano Quadrifronte, all'Anfiteatro Flavio ec. imperciocchè la povertà e la barbarie de'tempi portò gli abitanti di Roma, e non certamente i Goti, ne'secoli XII, XIII e XIV a commettere quel guasto onde profittare specialmente del piombo.

Dai materiali di uso passando a quelli di lusso, il primo luogo tengono i marmi, che i Latini dissero lapis, e marmor, e ne'quali i Romani sfoggiarono tutta la loro magnificenza a segno che se si eccettui quello oggi detto di Carrara, e quelli pochi esempj di verde di Corsica, giallo di Siena, marmo di Polcevere, Porto Venere ec. in massa i marmi bianchi e colorati che recano tanta magnificenza a Roma moderna provengono tutti dalle fabbriche antiche. E siccome gli artisti chiamano marmi anche le altre pietre di decorazione che ricevono un polimento, perciò domando indulgenza ai mineralogi, se unisco insieme i marmi propriamente detti ad altre pietre che non sono marmi, ed affine che più facilmente possa il lettore rinvenire il carattere e la corrispondenza de'nomi antichi coi moderni li pongo qui per ordine alfabetico col nome antico.

ALABANDICO chiamavano il marmo proveniente da Alabanda, città della Caria, oggi forse Arab-Hissar come notò Leake nel suo Journal of a Tour in Asia

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Minor p. 230 e seg. Il carattere di questo marmo si definisce da Plinio Hist. Nat. lib. ¡XXXVI. c. VIII. §. XIII. come di color negro tendente quasi al purpureo nel guardarlo: quindi pare che corrisponda al nostro bigio morato, e che un esempio ne forniscano i due Centauri capitolini scolpiti da Aristea e Papia nativi di Afrodisia, città anche essa della Caria distante da Alabanda circa 45 miglia, ed oggi detta Gheira: ecco il passo di Plinio: E diverso niger est alabandicus, terrae suae nomine quamquam et Mileti (forse per errore de' copisti incece di Mylasae) nascens ad purpuram tamen magis adspectu declinante. Sembra che le cave fossero alle falde orientali del monte Titano, sotto le quali erano Alabanda e Mylasa.

ALABASTRO detto dagli antichi ancora pietra alabastrite, è una pietra che frequentemente s' incontra nella decorazione delle fabbriche sì antiche che moderne. Essa è di tanti e così svariati colori e vene che gli artisti per distinguerli hanno inventato i soprannomi usuali di bianco, cotognino, pomato, a giaccione, onichino, a nuvole, a occhi, a tartaruga, sardonico, a pecorella, fiorito, fortezzino, palombara, a rosa, dorato, erborizzato ec. Plinio 1. c. c. VIII. §. XII. mostra l'uso che si faceva di quello che noi chiamiamo onichino per colonne, e dice, che si ebbero dapprincipio come una meraviglia quattro picciole colonne, che Balbo pose di questa pietra nel suo teatro, e che egli ne avea vedute trenta più grandi nella sala da pranzo di Callisto celebre liberto di Claudio che in genere serviva specialmente per vasi unguentarii,come quello che credevasi che particolarmente conservasse gli unguenti, e di ciò fan prova tanti vasi unguentarii che ancora si trovano e che il volgo appella lagrimatorii : aggiunge che cavavasi nell' Egitto, presso Damasco nella Siria, il quale era anche più can

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dido di tutti gli altri alabastri: che però amavasi sovra ogni altro quello che si traeva dalla Carmania, dall' India, dalla Siria, e dall' Asia Minore, e che più vile e senza lucidezza era quello che trovavasi nella Cappadocia: che quello particolarmente era in stima che presentava vene auree non trasparenti, come riprovavasi quello di color corneo, o candido, e tutto ciò che poteva somigliare al vetro. Strabone lib. XII. c. VIII. §. 14. quando compara l' alabastro in certa guisa a quello che noi chiamiamo pavonazzetto e che essi dicevano marmo frigio, indica certamente non l'onichino, ma forse il fiorito. Il nome io credo che sia egizio di origine, perchè i primi vasi di questa pietra vennero di là: veggasi sopra tal proposito ciò che scrisse il Iablonsky Opuscula T. I. p. 21. ed il Lexicon di la Croze p. 2. 69. 71. Belli esemplari di alabastro onichino forniscono la colonna striata a spira nella Biblioteca Vaticana, e la urna che racchiude le reliquie sotto l'altar maggiore di s. Bibiana. Da Lucano Phars. 1. X. v. 116. e da Marziale lib. I. ep. XXXVI. ricavasi che usavasi pe'pavimenti ancora, come pure da Pausania lib. I. c. XVIII. che serviva pe' rivestimenti de' muri: il fatto di varii scavi dimostra la veracità di questi scrittori.

AQUITANICO, O CELTICO chiamavasi il marmo che oggi appelliamo bianco e nero antico, perchè traevasi dall'Aquitania, parte delle Gallie. Imperciocchè Paolo Silenziario nella Descrizione di s. Sofia P. II. v. 215 descrivendo il marmo di questi nomi lo mostra di fondo nero con macchie bianche nivee. Che servisse a decorare gli edificii lo mostrano le quattro belle colonne che ornano oggi la confessione nella chiesa di s. Cecilia, e che furono svelte da fabbriche antiche. Nelle rovine incontrasi di rado e sembra che specialmente venisse impiegato nelle impellicciature e ne' pavimenti.

ATRACIO O TESSALICO appellavasi il marmo, che oggi diciamo verde antico perchè traevasi presso Atrace città della Tessaglia nella Pelasgiotide come ricavasi da Paolo Silenziario allegato di sopra v. 224. da Polluce Onom. lib. VII. c. XXIII. e da Stefano nella voce Arpağ. I caratteri poi, co' quali Paolo Silenziario lo descrive sono così chiari, che non può porsi in dubbio di corrispondere al verde antico, poichè egli dice, che, essendo in fondo di colore verde smeraldino, era misto a macchie di un verde cupo che accostavasi all'azzurro fosco, o colore di acciajo, ed a macchie di un negro lucido e di un bianco niveo. Questo venne usato ne' pavimenti, nelle impellicciature de' muri, e specialmente per colonne, delle quali una bella raccolta conserva la chiesa di s. Giovanni in Laterano.

BASALTE pietra egizia, della quale Plinio Hist. Nat. lib. XXXVI. c. VII. §. XI. così ragiona: Invenit eadem Aegyptus in Aethiopia quem vocant Basalten ferrei coloris atque duritiae : unde et nomen ei dedit. Questo passo fu commentato da Iablonsky Opuscula T. I. pag. 50 che insinua doversi seguire la conghiettura di Wilkins, il quale Diss. de Ling. Copt. p. 100 crede doversi trarre la etimologia del nome non dalla lingua egizia, nella quale il ferro si appella Benini, ma dalla ebraica, che, appella il ferro Barzel; onde la voce originale di questo nome essere Barzalte in luogo di Basalte. Il Martini nel Lexicon Philolog. il Vossio nell' Etym. Linguae Latinae, ed altri lo credettero un nome di origine etiopica. In Tolomeo che assegna il luogo delle cave forse per errore de' copisti leggesi questo nome scritto Basavτns: egli dice che cavavasi nel monte Baram fra Syene ed il seno Arabico cioè sul confine fra quella che ai tempi di Plinio dicevasi Etiopia é l'Egitto. Essendo, secondo quello scrittore, della durez

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