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za e del colore del ferro, e trovandosi in così lontano paese ciò diè causa, che poco in uso fosse per la decorazione della fabbriche, ma piuttosto pe' vasi, per le urne, e per le statue, parecchie delle quali veggonsi nel museo Vaticano. Sotto il nome di basalte dai moderni comprendesi non solo quella pietra testè descritta, ferrei coloris, ma ancora quella di color verde, della quale un bell' esempio si ha nella urna dal museo Vaticano, ed il granito nero detto da Tolomeo pietra negra, da Plinio lib. XXXVI. c. XXVII. §. LXVII. lapis obsidianus perchè trovato nella Etiopia da un tale Obsidio, e da Arriano,Ulpiano, ed Isidoro chiamato opsianus, molto in uso presso gli Egizii per la scultura, pietra alla quale riducesi pure come una varietà il granito delle due colonne già esistenti nel portico di s. Sabina, ed oggi ornamento del Braccio nuovo nel Museo Vaticano.

CARISTIO gli antichi chiamavano il marmo, che noi diciamo cipollino, il quale da Stazio ha l' epiteto di ondoso perchè venato ad onde, Sylv. lib. I. §. V. v. 34 dicendo, che nel bagno di Claudio Etrusco non erano ammessi nè il marmo tasio, nè il caristio, come troppo communi:

Non huc admissae Thasos aut undosa Carystos: e siccome tali vene ondulate e simili ai flutti sono di un verde porraceo variato, perciò Stazio stesso altrove lib. I. §. II. v. 148 lo designa colla frase di concolor alto vena mari, e Seneca Troas v. 834 di colori variati:

An ferax varii lapidis Carystos?

Il nome antico lo ebbe dalla città della Eubea di quel nome, presso la quale si cavava, e che presso i Greci odierni conserva il nome medesimo, travolto dai Veneziani quando erano possessori di quella isola in Castel

Rosso; il nome volgare poi deriva dall' essere in fondo del colore delle foglie della cipolla e stratificato come questo vegetabile. Strabone lib. X. c. I. §. 6 descrivendo la Eubea dice che Caristo stava a piè del monte Ocha 2 e presso ad essa erano Styra e Marmarion dove erano le cave delle colonne caristie. La prossimità di queste al mare portò ben presto i Romani ad usarlo negli edificii di Roma, e Plinio lib. XXXVI. c. VI. §. VII. nota che Mamurra prefetto di Cesare nelle Gallie nella sua casa non ebbe altre colonne che di marmo, e solide, cioè caristio, o lunense. I massi più grandi di questo marmo che abbiamo in Roma sono le colonne del portico di Antonino e Faustina.

CHIO. Teofrasto nel trattato delle Pietre p. 392 dice che in Chio, isola celebre sulla costa asiatica dell'Arcipelago che oggi più communemente appellasi Scio cavavasi un marmo a fondo negro lucido : μελας διαφανής: che Plinio dice macchiato di varii colori lib. XXXVI. c. VI S. V, cioè bianco, rosso, bigio ec. quindi è chiaro che questo marmo corrisponde all' odierno marmo affricano, nel quale ravvisansi questi caratteri. Le sue cave ricordate da Strabone fornirono i materiali per le mura di Chio, narrando Plinio su tal proposito l'aneddoto, che Cicerone andando a visitare quella città, e mostrandogli que' di Chio con ostentazione le mura fabbricate di questo marmo, disse motteggiando tal vanità, molto più rimarrei ammirato se le aveste futte di pietra tiburtina, volendo dire, che non era gran cosa fabbricar le mura di una città con pietra locale, ma bensì con pietra tratta da lontani paesi. In Roma questo marmo fu molto in uso nella decorazione delle fabbriche, sia per colonne, sia per impellicciature di muri e pavimenti, e frequentemente incontrasi negli scavi. Le pareti del Panteon, ed il pavimento della Basilica Ulpia

nel Foro Trajano mostrano di fatto ciò che asserisco. La colonna poi più grande che siasi veduta di questo marmo è quella che sembra essere stata isolata e monumentale nel centro dell'area della Tellure presso Tor de' Conti scoperta l'anno 1825, poichè il rocchio ivi trovato avea da 4 piedi e mezzo di diametro.

CONCHITE fu detto il marmo formato da un'agglomerazione di conchiglie, conchae onde non cade dubbio che corrisponda alla odierna lumachella bianca degli scalpellini. Pausania lib. I. c. XLIV indica, che se ne traeva una specie dalle vicinanze di Megara, e Strabone lib. IX. dice dal promontorio di Anfiale: quindi appellavasi questa ancora marmo megarico, e di un tal marmo par che fossero le megarica signa domandate da Cicerone ad Attico lib. I. ep. VIII. e IX. Nelle rovine questo marmo s'incontra di rado, e par che fosse principalmente usato nelle impellicciature.

CORALITICO, marmo, che, secondo Plinio lib. XXXVI. c. VIII. §. XIII cavavasi nell' Asia in piccioli massi che non oltrepassavano due cubiti, era per candore prossimo all' avorio, col quale avea una certa somiglianza: candore proximo ebori, et quadam similitudine. Esso ebbe nome dal lago Coralis, che Strabone lib. XII. c. VI. S. 1. mostra essere nella Licaonia, e che Leake inclina a credere quello che oggi chiamano di Carageli: veggasi la sua opera intitolata Journal of a Tour in Asia Minor p. 69 e la carta, che l'accompagna. I caratteri indicati di sopra mostrano la stretta corrispondenza fra questo marmo ed il palombino antico, che trovasi usato sempre in picciole lastre fralle rovine, principalmente ne' pavimenti, frai quali noterò a modo di esempio quello a scudetti triangolari e romboidali di un atrio di casa antica scoperto da me l'anno 1828 sotto le fondamenta del tempio di Venere e Roma fra la chiesa di s. Francesca Romana ed il così detto tempio della Pace.

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CORINTIO appella Isidoro Origin. lib. XVI. c. V. un marmo, del quale dice che facevansi colonne grandi, e limitari di porte il nome dichiara che dalle vicinanze di Corinto traevasi il carattere poi di essere nel fondo del colore dell' ammoniaca screziato da vene di diverso colore parmi che lo dimostri identico a quello che oggi chiamiamo giallo brecciato, il quale si rinviene nelle rovine antiche usato per le colonne, pe' rivestimenti de' muri, e pe' pavimenti.

EFESIO: candidissimo marmo era questo per testimonianza di Vitruvio lib. X. c. II. §. 15. che fu in modo straordinario scoperto presso Efeso, donde trasse nome, e di che venne costrutto il celebre tempio di Diana. Siccome però non se ne conoscono i caratteri particolarmente, cosa che sarebbe facile a farsi, scavando le rovine di quel tempio, la cui posizione è nota, perciò non si può dire a quale de' tanti marmi bianchi che incontransi nelle rovine di Roma esso corrisponda.

FENGITE fu detto un marmo scoperto a' tempi di Nerone nella Cappadocia secondo Plinio lib. XXXVI. c. XXII. per la sua lucentezza, dal verbo peyyo riluceφεγγω re: Nerone costrusse di questo il tempio della Fortuna Seia incluso nella sua Casa Aurea, e Domiziano ne fece impellicciare i portici del Palazzo Imperiale, ne' quali éra solito di passeggiare, perchè a guisa di specchi gli riflettessero ciò che facevasi dietro di lui: veggasi Svetonio nella sua vita c. XIV. Havvi chi crede che corrisponda a quel marmo, che i moderni chiamano bianco e giallo.

FRIGIO. Celebre oltremmodo ed in grande uso presso gli antichi era il marmo frigio, detto ancora Docimite, Docimèo, e Sinnadico, perchè le sue cave erano nel centro della Frigia presso Docimea, villaggio posto di là da Synnas, siccome si trae da Strabone lib. XII.

e da Stefano nella voce Aoxiμetov. Ovidio Heroid. epist. XV. v. 142. lo chiamò Mygdonium :

Antra vident oculi scabro pendentia topho,

Quae mihi mygdonii marmoris instar erunt. E siccome Stazio Sylv. lib. I. §. V. v. 37 e seg. lo descrive bianco screziato di vene sanguigne:

Purpura: sola cavo Phrygiae quam Synnados antro

Ipse cruentavit maculis lucentibus Atys:

e Strabone per tali vene e lucidezza lo mostra simile all' alabastro, perciò concordemente si crede che corrisponda a quel bellissimo marmo che chiamiamo pavo→ nazzetto appunto perchè bianco listato di vene purpuree tendenti al pavonazzo. Strabone di sopra citato dichiara che a' suoi giorni le cave di questo marmo erano in piena attività, e che traevansene grandi lastre e colonne di un sol masso per abbellimento di Roma. Infatti allora di già era stata edificata in Roma la basilica Emilia, alla quale pretendesi con ragione che appartenessero le 24. colonne bellissime che perirono nell'incendio della basilica di s. Paolo l'anno 1823, dalle cui rovine sonosi salvati de' pezzi per ornamento della nuova chiesa, e fra questi quelli di una colonna bellissima per le vene, e che era una dimostrazione patente dal passo di Stazio riferito di sopra. Di questo marmo medesimo erano le colonne che davano ingresso alla Basilica Ulpia, e parte di quelle de' portici delle Biblioteche dello stesso Foro Trajano: sei se ne ammirano ancora nell'interno del Panteon, dove come nell'interno della Basilica Ulpia, del tempio della Concordia ec. vedesi usato questo marmo nella impellicciatura del muro e nel pavimento. Servì ancora per panneggiamento nelle sculture, specialmente rappresentanti soggetti barbari, come sono i prigionieri al Foro Trajano ed all'arco di Costantino.

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