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IASENSE. Questo marmo ebbe nome da Iaso, città della Caria, da Strabone lib. XIV. c. II. §. 21, e da Stefano posta in una isoletta presso terra, ma che oggi è divenuta penisola col nome di Asyn Kalesi in fondo al golfo di Lero. Paolo Silenziario nella descrizione di s. Sofia P. II. v. 213 lo descrive come cavato sul monte del distretto di quella città, e venato di color sanguigno e bianco livido in modo tortuoso: così pur lo descrive sotto il nome di marmo cario l'autore inedito di Salmasio citato da Cariofilo de Antiquis Marmoribus p. 27. caratteri corrispondenti a quelli del bel marmo, che noi chiamiamo fior di persico e che sovente incontrasi nelle rovine antiche impiegato per impellicciature, ed alle volte ancora per colonne.

ILIACO. Un solo verso di Stazio Sylv. lib. IV. §. II. v. 27 nomina il marmo iliaco così:

Mons libys, iliacusque nitent, et multa Syene Et Chios, et glauca certantia Doride saxa, Lunaque portandis tantum suffecta columnis: quindi parmi, che piuttosto che farne un marmo diverso, quel Iliacusque sia invece di Phrygiusque, tanto più che si trova unito insieme col marmo libico che vedremo essere il giallo antico, marmo che costantemente nelle rovine esistenti incontrasi unito al frigio, o pavonazzetto, e che i poeti spesso hanno posto Frigi per Trojani, e Trojani per Frigi promiscuamente.

IMETTIO; marmo che ebbe nome dal monte Imetto presso Atene, celebre per la candidezza, al quale alluse Senofonte nel trattato sulle rendite degli Ateniesi c. I. §.4: e che Strabone appella bellissimo. Orazio lib.II. ode XVIII. mostra che si usava in Roma specialmente per le intavolature, e di tutti i marmi fu il primo ad essere introdotto in Roma l'anno 662 dalla fondazione della città, quando l'oratore Lucio Crasso per ornar l'a

trio della sua casa sul Palatino ne fece venire sei colonne di 12 piedi di altezza, come narra Plinio lib.XXXVI.c.III. il quale dice che fu per tal lusso motteggiato da Marco Bruto col nome di Venere Palatina, tanto rara cosa fu allora considerato avere sei colonnette di marmo bianco. Olivier Viaggio nella Persia T. IV. c. XXIX dice che alle volte è bianco, alle volte è bigio tendente all'azzurro, specie di marmo che frequentemente incontrasi nelle rovine e nelle sculture, e che gli scalpellini designano col nome di marmo cipolla.

un

LACEDEMONIO, O DI LACONIA appellavano gli antichi marmo duro, verde, assomigliato perciò quanto al colore all'erba, ed allo smeraldo, che si traeva dalle vicinanze di Lacedemone, o Sparta nella Laconia e perciò avea i nomi sovraindicati: e circa la sua durezza e colore Stazio Sylv. lib. I. §. II. v. 148, così si esprime: hic dura Laconum

Saxa virent: veggasi inoltre lib. II. §. II. v. 90, e Procopio Edificii Giustin. c. X: così Marziale lib. VI. ep. XLII dice :

Illic Taygeti virent metalla

poichè le cave erano precisamente alle falde del Taigeto, come mostrano Strabone lib. VIII. e Pausania lib. III. c. XXI, il quale inoltre indica ivi dappresso il villaggio di Crocee, e che non trovavasi in grandi massi, circostanze tutte che nel serpentino così detto si accordano, il quale è un porfido verde; quindi male si apposero coloro che lo confusero colla ofite di Plinio, e col verde antico odierno. Gell che visitò il Taigeto afferma che dappertutto veggonsi frantumi di questa pietra. Di essa particolarmente servironsi ne'pavimenti e nelle impellicciature a segno che Roma moderna abbonda di frantumi di serpentino e non è raro vederlo impiegato nelle strade, e nelle piazze, come i salci ordinarii. Raro però

oltremodo è trovarlo in grandi pezzi, ed eminentemente lungo e costoso il lavorarlo. Due colonnette di più pezzi striate a spira veggonsi nella cappella di s. Giovanni Battista al Battisterio Lateranense.

LESBIO. Ancor questo marmo dalla isola donde tracvasi avea nome: Plinio lib. XXXVI. c. VI.§. V, mostra che era bianco livido, e che fu usato nella scultura, quindi potrebbe essere il marmo che oggi gli scalpellini appellano greco livido. Filostrato nella vita di Erode Attico c. IX. dicendo che quel sofista ne impellicciò tutta la facciata della casa onde mostrare la intensità del suo lutto per la morte di Regilla sua moglie mostra che era fosco e negro, e perciò convien dire che due specie di marmo lesbio vi fossero, una bianca tendente al bigio, l'altra bigia tendente al nero, e due specie diverse di tal genere osservò il Tournefort in quella isola.

LIDIO, marmo che traeva nome dalla provincia dell' Asia, donde veniva, e che corrisponde alla nostra pietra di paragone, siccome si rileva da Teofrasto e da Plinio lib. XXXVI. c. XX. il quale lo chiama perciò Basanites, come Pindaro presso Ateneo lib. XIII. Bagavos, ed Esichio Bacavotns. Ovidio Metam. lib. II. v. 707 lo chiama index e ne deriva la etimologia dallo avere Mercurio trasformato in questa pietra Batto:

periuraque pectora vertit

In durum silicem, qui nunc quoque dicitur index. Paolo Silenziario P. II. v. 220 mostra che dalla Lidia traevasi pure un marmo rosso misto di color bianco che perciò sembra corrispondere a quello che oggi chiamano rosso brecciato.

LUCULLEO. Plinio 1. c. afferma che Lucio Lucullo, il quale fu console l'anno 679 di Roma diè il nome di Lucullèo, come il primo che lo portò in Roma, ad un marmo negro variato da macchie, che scavavasi in una

isola del Nilo. Egli lib. XXXVI c. II. ci ha conservato la notizia, che Marco Scauro ne'giuochi celebri che diede come edile l'anno di Roma 695 portò per ornamento della scena del suo teatro temporario 360 colonne, fralle quali le più alte che aveano 38 piedi di altezza erano di marmo lucullèo e furono poi collocate nell'atrio della sua casa sul Palatino.

LUNENSE. Marmo bianco italico che ebbe nome da Luni, città della Etruria, presso la quale cavavasi secondo Strabone, e le cui rovine sono circa 3 miglia a sud-est di Sarzana. Quindi non può cader dubbio che corrisponda al marmo bianco di Carrara, tanto in uso oggidì. La notizia più antica che si abbia delle cave di questo marmo e dell'uso fattone in Roma è quella conservataci da Plinio lib. XXXVI. c. VI. delle colonne

di questo marmo portate in Roma da Mamurra prefetto de'fabbri di Cesare ad ornamento della sua casa sul Celio, il che avvenne circa un mezzo secolo avanti la era volgare. Poscia specialmente ne'grandi abbellimenti fatti da Augusto a Roma fu molto usato sia per la scultura, sia per colonne ed altre parti degli edificii: e fralle sculture nominerò a cagione di esempio l'Apollo di Belvedere, come fra i monumenti di architettura varie parti del Panteon, il tempio di Giove Tonante, e la Colonna Trajana. Strabone che è lo scrittore più antico a parlare di questo marmo dice lib. V. c. II. §. 5. che le cave del marmo di Luni davano massi bianchi, e massi variati da vene tendenti al ceruleo di tanta quantità e di tale grandezza che se ne ricavavano tavole e colonne di un pezzo solo, che servivano per le opere magnifiche di Roma e delle altre città, attesa la facilità del trasporto per la vicinanza delle cave al mare, e dal mare pel Tevere a Roma. Aggiunge Plinio 1. cit. c. V. che a'suoi giorni erasi rinvenuta nelle cave lu

nensi una specie di marmo candidissimo. Quanto poi a quel marmo venato cilestre, intese Strabone così indicare le varie specie di bardiglio.

MILASENSE fu detto secondo Strabone lib.XIV.c.II. S. 23 un marmo bianco bellissimo, che cavavasi dal monte sovrastante a Milasa città della Caria, del quale erano edificate le fabbriche magnifiche di quella città e di tutto il distretto. La vicinanza di queste cave al golfo di Cos che oggi chiamano di Budrun avrà facilitato il trasporto di questa pietra in Roma; ma non conoscendosi altri caratteri di essa, che quelli indicati da Strabone non può bene determinarsi quale de'tanti marmi bianchi, che trovansi nelle rovine di Roma, e che rimangono ignoti, quanto alla provenienza, vi corrisponda: solo per conghiettura farò osservare, che essendo stati rodii gli artisti del Laocoonte,ed essendo stata quella statua scolpita a Rodi, isola tanto prossima a quelle cave, è probabile, che il marmo impiegato per quel capolavoro, il quale è appunto un marmo bianco non conosciuto, sia un esempio del milasense.

NUMIDICO più communemente appellossi un marmo dagli antichi perchè traevasi dalla Numidia, provincia dell'Affrica che essi chiamavano pure Libia, confinante col territorio punico, quindi fu pure indicato co' nomi di libico da Marziale lib. VI. ep. XLII. e di punico da Properzio lib. II. el. XXIII. E circa la sua provenienza scrive Plinio Hist. Nat. lib. V. c. III. §. II. dove parla della Numidia, che Tabraca, oggi Tabarca era città abitata da cittadini romani, e che il fiume Tusca che ivi mette nel mare, e che oggi appellasi Wady Zaine dai naturali era il confine della Numidia verso la Zeugitana, ossia l'Affrica cartaginese, come oggi lo è fra lo stato di Algeri e quello di Tunisi. Soggiunge poi 'che quel tratto della Numidia non dava altro che il marmo nu

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