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di un terzo di tutta l'acqua che ai tempi di Frontino veniva in Roma: ed infatti i canali de' due acquedotti alla porta Maggiore presentano, quello della Claudia 6 p. di altezza e 3 di larghezza, e quello dell'Aniene Nuova 9. p. di altezza e 3 e mezzo di larghezza.

Questo acquedotto dopo la sua costruzione fu risarcito più volte. Le iscrizioni esistenti alla porta Maggiore mostrano che fu ristorato da Vespasiano e Tito: e quella relativa a Vespasiano dice, che quell'imperadore nella seconda sua potestà tribunicia, cioè l'anno di Roma 824 ossia 71 della era volgare ristaurò il condotto della Claudia che per nove anni avea cessato di scorrere: laonde dopo la dedicazione fattane da Claudio, come si vide, l'anno 805, quest' acqua non avea fluito che 10 anni, e quindi per rotture avvenute era mancata. Quella di Tito poi mostra, come nella decima potestà tribunicia di quell'imperadore, ossia l'anno di Roma 834, 80 della era volgare, essendo il condotto per vecchiezza caduto fin dalle sorgenti, e per conseguenza essendosi smarrite le acque procurò con una nuova forma, che venissero ricondotte in Roma. Quindi io osservo, che la opera di Claudio, per quanto magnifica fosse non avea una solidità proporzionata al peso ed all'urto dell'enorme volume di acqua, che portava, e perciò ben presto ebbe bisogno di grandi risarcimenti, e presso le sorgenti perfino di un nuovo braccio. Questi ristauri de’Flavii appariscono lungo tutto il tratto dell'acquedotto, e specialmente nelle prime due miglia fuori di Roma, e sono di una opera laterizia bellissima a tutta cortina, legata da corsi di tegoloni. Altri ristauri e miglioramenti vi fece Trajano: altri presentano il tipo de'tempi di Settimio Severo, ed altri della era di Costantino. Essendo stato troncato da Vitige l'anno 537 della era volgere fu ben presto risarcito, e dall'anoni

mo di Mabillon apparisce, che sul principio del secolo IX. fluiva ancora, e che portava il nome di Forma Claudiana: poscia assunse quello di Forma Lateranensis pel ramo di essa, che dirigevasi per gli archi neroniani al Laterano, siccome si trae da un documento del secolo XII. dal quale può arguirsi, che ancora scorreva; questa è la ultima memoria che si ricorda dell'uso di questo acquedotto. Malgrado però le rovine successive fatte dal tempo, e più ancora dagli uomini della opera arcuata di esso, lunghissimi e magnifici tratti ne rimangono presso Roma lungo la via Latina, ora a sinistra, ora a destra di essa.

Allorchè Claudio costrusse quest'acquedotto portollo fin poco al di dentro della porta Maggiore attuale, imperciocchè entro la prima vigna a sinistra di chi esce si vede ancora il castello di riparto, dove andava a terminare ridotto oggi a casa rustica. Il Piranesi Antichità ec. T. I. §. 124, che lo riconobbe quando era meno alterato nella forma di quello che è oggi, dice che nel risarcir quella casa verso la metà del secolo passato furono in quell'avanzo veduti alcuni incavi indicanti l'andamento delle fistole, che diffondevano l'acqua nella città: e nel tratto fra questo ed il monumento della Claudia a porta Maggiore si trovarono sei grossi pilastri di tufa e peperino avanzi dell'arcuazione, che dal monumento portava l'acqua al castello. Frontino §. XX. determina il sito di questo castelio, come situato dietro gli orti del famoso Pallante liberto potentissimo a' tempi di Claudio per testimonianza di Tacito, e che promosse il matrimonio di Agrippina, e l'adozione di Nerone, il quale poscia lo costrinse a prendere il veleno l'anno 63 della era volgare, onde impadronirsi delle ricchezze immense che avea ammassato: Anio Novus et Claudia, dice Frontino 1. c. a piscinis in altiores arcus recipiun

tur ita ut superior sit Anio. Finiuntur arcus earum post hortos Pallantianos: et inde in usum Urbis fistulis deducuntur. Nerone però volendo fornire di acqua il Celio, e soprattutto il suo stagno, diramò una parte della Claudia con una nuova arcuazione laterizia bellissima pel dorso di quel colle, la quale ebbe principio all'angolo che forma l'acquedotto fra la odierna basilica di s. Croce in Gerusalemme ed il monumento di porta Maggiore, contrada che gli antichi designarono col nome di Ad Spem Veterem, e terminò presso il tempio di Claudio, che vedremo essere stato nel ripiano dell'orto de'ss. Giovanni e Paolo. Questa direzione degli archi neroniani così descrivesi da Frontino 1. c. Partem tamen sui Claudia prius in arcus, qui vocantur Neroniani ad Spem Veterem transfert: hi directi per Caelium montem iuxta templum divi Claudii terminantur. E di questi archi belle rovine si veggono, che mostrano la precisione che regna nella opera di Frontino: la opera laterizia non può essere più perfetta, e specialmente attira ammirazione il tratto che traversa la strada detta via di porta Maggiore, perchè dalla piazza di s. Croce in Gerusalemme mena a quella porta; imperciocchè esistendo in questa direzione anche anticamente una via si fece una specie di arco monumentale con iscrizione, ma di opera laterizia che per l'accuratezza e nitore della costruzione potesse stare a fronte di qualunque lavoro di materiali più nobili. La iscrizione oggi manca; ma se ne vede il luogo originale. Quest'arcuazione dopo il monumento sovraindicato di via di porta Maggiore fino alla piazza di s. Giovanni Laterano, e più oltre fino a quella detta della Navicella vedesi ristaurato nella epoca di Settimio Severo con opera laterizia analoga a quella delle terme di Caracalla e molto inferiore alla primitiva neroniana

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e perciò facile a distinguersi. Di tale risarcimento si ha memoria in una lunga lapide riferita dal Grutero Inscr. p. CLXXXVII. n. 3. nella quale si dice che Lucio Settimio Severo nella VIIII potestà tribunizia, essendo stato acclamato imperadore per la undecima volta, ed essendo stato console per la seconda: e Marco Aurelio Antonino suo figlio nella quarta potestà tribunicia ristaurarono dal suolo gli archi celimontani in molti luoghi caduti, o malmenati per la vecchiezza: ARCVS. COELIMONTANOS. PLVRIFARIAM. VETVSTATE. CONLAPSOS.ET. CONRVPTOS A SOLO. SVA PECVNIA. RESTITVERVNT. Sull' autenticità di questa iscrizione non cade dubbio, essendo stata tratta dal Mazzocchi, che la vide nella regione della Regola, dove chi sa come era balzata nel principio del secolo XVI; imperciocchè attesta il Fabretti de Aquis et Aquaed. Diss. I. §. X. che in un vecchio manoscritto conservato nella biblioteca di Marcello Severoli leggevasi che stava questa lapide affissa nell'arco dell' acquedotto allora esistente avanti l'ospedale di s. Giovanni Laterano. L'anno della IX potestà tribunicia di Severo e della IV. di Caracalla coincide col 954 di Roma, o 201 della era volgare. Nerone avea portato la sua arcuazione fino al tempio di Claudio, siccome si vide: poscia fu protratta al Palatino, all'Aventino ed al Trastevere, siccome mostra Frontino l. c. e §.LXXXVII. La costruzione laterizia degli archi superstiti di questo prolungamento sul Palatino, de'quali tre ne rimangono nella strada dall'arco di Costantino a s. Gregorio è identica a quella delle parti laterizie dell'Anfiteatro Flavio e perciò la credo opera, o di Vespasiano, o di Tito, che come si disse ristaurarono questo acquedotto. Quella poi degli archi aventinensi superstiti presso s. Prisca è simile all'acquedotto trajanèo, e perciò credo, che fos

sero fatti da Trajano, che tanto operò per gli acquedotti. De'trastiberini poi non rimangono a mia notizia

avanzi.

Fino al principato di Nerva, Frontino dice, che la Claudia e l'Aniene Nuova fuori di Roma distribuivansi separate, dentro Roma poi confondevansi insieme e nella quantità di 3824 quinarie erogavansi per le 14 regioni mediante 92 castelli, cioè 779 a nome dell'imperadore 1839 ai privati: e 1206 per gli usi publici, cioè a 9 alloggiamenti di soldati 104: a 18 edificii publici 522 a 12 luoghi di spettacolo 99: ed a 226 fonti versanti, lacus, 481.

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Oltre gli avanzi dell'arcuazione della Claudia e dell'Aniene Nuova si hanno ancora quelli del loro gran castello presso la porta Maggiore entro la ultima vigna a sinistra di chi esce da Roma; quelli del monumento magnifico alla stessa porta, e quelli della gran fontana sull'Esquilie volgarmente nota col nome di Sette Sale. E quanto al castello, notai di sopra cosa intendessero gli antichi con tal nome cioè un ricettacolo dell' acqua portata dall' acquedotto, donde diramavasi per mezzo di fistole ai luoghi destinati. Vitruvio lib. VIII. c. VII. nota che allorquando l'acquedotto giungeva presso le mura della città, dovea farsi il castello, il cui immissario fosse triplice, onde dal centrale partissero le fistole per le fontane, o versanti, o salienti, e dagli altri due quelle pe'bagni, e quelle per le case private: quumque venerit ad moenia efficiatur castellum, et castello coniunctum ad recipiendam aquam triplex immissarium, collocenturque in castello tres fistulae aequaliter divisae inter receptacula coniuncta, uti quum abundaverit ab extremis in medium receptaculum (aqua) redundet. Ita in medio ponentur fistulae in omnes lacus et salientes : ex altero in balneas ve

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