Immagini della pagina
PDF
ePub

Severo, il quale certamente edificò un Ninfèo entro i limiti della V. regione, o Esquilina, dove appunto trovansi questi avanzi. Imperciocchè in Rufo, Vittore, e nella Notizia dell' Impero concordemente s'inserisce fralle fabbriche di questa regione un Nympheum Divi Alexandri. Essendo la costruzione analoga ad altre opere di quel tempo, e presentando la fabbrica vestigia di un ninfeo, parmi che la denominazione di Ninfèo di Alessandro Severo possa adottarsi.

Un'altra conserva di costruzione laterizia analoga ad altri avanzi degli Orti Variani costrutti da Elagabalo, e dentro i limiti di quelli, vedesi entro la vigna Conti rasente la via di porta Maggiore, fra questa porta e la chiesa di s. Croce in Gerusalemme: il Piranesi, e dopo lui il Venuti, ed altri topografi posteriori la designano, come pertinente alle Terme di s. Elena, poichè nella stessa vigna un brano d' iscrizione monumentale esisteva, retta da due vittorie in bassorilievo, di cui il Ficoroni Vestigia di Roma Antica p. 122 pubblicò il disegno. Il frammento secondo questo disegno era il seguente:

[merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small]

Questa fu trasportata sul finire del secolo passato nella sala a croce greca del Museo Vaticano e ristaurata

così:

D. N. HELENA. VENERABILIS. DOMINI. N. CONSTANTINI. AVG. MATER. ET AVIA. BEATISSIMOR. ET. FLORENTISSIMOR. CAESARVM. NOSTRORVM THERMAS. INCENDIO. DESTRVCTAS. RESTITVIT

Essendo questa iscrizione fuor di luogo ed opponendosi la costruzione della conserva per supporla opera de' tempi costantiniani, questa lapide non può dar peso alla denominazione commune.

Frai monumenti superstiti in Roma relativi alle acque contasi la Meta Sudante che torreggia nella piazza dell' Anfiteatro Flavio. Il suo nome si legge fralle fabbriche della IV. regione in tutti e tre i regionarii, e derivò dalla forma e dall' uso; imperciocchè la forma è quella di una meta circense, e perciò fu detta Meta: l'uso fu di servir di fontana saliente, onde ricadendo l'acqua sopra il cono, e frangendosi, quasi la meta sudasse, venne appellata Sudans. Cassiodoro nel Chronicon pone: Domitianus IX. et Clemens II. His coss. insignissima Romae facta sunt. . . . .. Meta Sudans. Quel consolato non è il IX. di Domiziano, nè il secondo di Clemente, come può trarsi dai consolati che precedono, e che seguono nella stessa cronaca ; ma il XVII. di Domiziano, ed il primo di Tito Flavio Clemente che coincide coll' anno 97 della era volgare; quindi dovrebbe credersi che la fontana in questione fosse costrutta in quell' anno; io credo però che Domiziano in quell'anno altro non facesse che, o ricostruirla, o abbellirla, poichè nella medaglia di Tito, che ha per rovescio l'Anfiteatro, e che porta la data dell'ottavo suo consolato, cioè dell' anno 80 della era volgare, questa fontana vedesi espressa, come successivamente in quella battuta dopo la sua morte, ed in quella di Domiziano stesso battuta contemporaneamente a quella di Tito l'anno 80. Inoltre Seneca epist. LVI. §. 5, enumerando le specie di strepito, che lo tormentavano, come quello di un fabbro inquilino, e di un ferraio vicino, vi aggiunge pure uno che presso la Meta Sudante esercitavasi a suonare trombe, e tibie, e che non cantava, ma gridava : aut hunc qui ad Metam Sudantem tubas experitur et tibias, nec cantat, sed exclamat dove è da notarsi ciò che osserva il Ruhkopf, dotto commentatore di quel filosofo, contra il Lipsio, che supponeva nu' altra Meta

per

Sudante a Baja. La forma di questa fontana, e la sua decorazione vedesi nelle medaglie sovraccitate, colle quali si accordano gli avanzi superstiti, che nella costruzione del cono presentano la opera laterizia, simile a quella che in altri lavori della era de'Flavii si osserva. Non così nelle vestigia del bacino esterno che sembra essere stato rifatto circa i tempi costantiniani: avvertendo di non prendere antica la costruzione moderna a quella sovrapposta affine di conservare l'antica. Così pure è d'uopo avvertire, che la Meta Sudante effigiata a bassorilievo nel corridore delle lapidi nel Vaticano è una moderna imitazione di quella che si vede espressa sulle medaglie. Il cono, ed il bacino erano rivestiti di marmo : ed il cono formava piccioli risalti, come nelle mete circensi si osservavano: l'ultima fascia poi verso il bacino era ornata di figure di Ninfe entro nicchie, versanti acque : e la sommità del cono reggeva una specie di globo, dal quale usciva il getto dell' acqua che era grandissimo, se vuol starsi al diametro dell' incavo, entro cui passava il condotto, che ancora si traccia. Quale acquedotto fornisse questa fontana è incerto, come pure se dal Celio, o dall'Esquilino venisse, ricerca sulla quale si sono dibattuti il Ficoroni, ed il Cassio, senza nulla decidere. Egli è certo per gli ultimi scavi, che il condotto vi entrava dal canto dell' Esquilino: è però incerto, se nella piazza dell' Anfiteatro non rivolgeva di nuovo verso il Celio, o verso il Palatino ancora; quello poi di che non può dubitarsi, e che è di una importanza molto maggiore è il vedere in questa fontana la prova di fatto che gli antichi conoscevano la proprietà dell' acqua di risalire

l'arte di farla risalire con forza, osservazione dalla quale mi dispenserei, se anco questa cognizione degli antichi non fosse stata dall' arroganzá de' moderni messa in dubbio. E si domanderà ancora qual motivo po

tesse aver guidato gli antichi a dare a questa fontana la forma di una meta; io credo che di tale problema la soluzione si trovi nel sito, dove questa meta esiste; imperciocchè essa è sul limite di quattro regioni, cioè della IV. alla quale la Meta apparteneva, dalla III. alla quale spettava l' Anfiteatro, dalla II. alla quale fu ascritta la falda del Celio, e della X. a cui appartenne il Palatino.

A questa serie di fabbriche relative alle acque dovrebbe unirsi il Ninfèo noto col nome di Egeria; ma siccome quello non fu fornito da alcun acquedotto particolare, e piuttosto dee riguardarsi come parte di una villa suburbana privata, perciò ne tratterò separatamentę in fine del volume.

ARTICOLO II.

DEGLI ANFITEATRI E PARTICOLARMENTE DELL' ANFITEA➡ TRO CASTRENSE, DELL' ANFITEATRO FLAVIO VOLGarmente detto IL COLOSSÈO, E DI QUELLO DI STATILIO TAURO, OGGI MONTE CITORIO.

Avanti di descrivere gli avanzi ancora esistenti degli anfiteatri di Roma, cioè di quelli che gli antichi designarono co'nomi di Castrense, e di Flavio, parmi opportuno dare un cenno generale sulla origine di questi, sopra i giuochi che vi si davano, e sulle parti che li costituivano, poichè da queste nozioni generali più chiara apparirà la descrizione di quello che ancora di tali fabbriche rimane.

Il nome di anfiteatro è di origine greca, sebbene i Greci non fossero gl'inventori della fabbrica che lo portava, poichè fu questa tutta d'invenzione romana. I Greci chiamavano Gearpov, spectaculum, una fabbrica, o un luogo di forme e parti determinate, nel quale davano rappresentazioni drammatiche, nome che venne adottato dai Romani, che lo hanno tramandato ai popoli moderni, i quali chiamano teatro l'edificio dove si vanno a godere gli spettacoli scenici. E come il nome, così pure la forma fu seguita, la quale di natura sua è semicircolare, più, o meno geometrica, forma procedente dall'uso, poichè nella parte semicircolare, o curvilinea seggono gli spettatori, e nella retta, che unisce le estremità del semicircolo gli attori danno le loro rappresentazioni. Ma i giuochi, che davansi nell' anfiteatro esiggevano uno spazio maggiore di quello del teatro ordinario, e perciò rimanendo inutile la parte rettilinea, e dall'altro canto esigendo la natura de' giuochi uno spazio piuttosto circoscritto, e non soverchiamente vasto, P. I.

25

« IndietroContinua »