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di Ianiculum particolarmente proprio della punta, oggi ancora così appellata, e volgarmente Montorio; imperciocchè Dionisio lib. IX. c. XIV. narrando la scorreria de' Vejenti nell'Agro Romano fatta l'anno 277 di Roma, 477 avanti la era volgare dice, che giunsero fino al monte Gianicolo non distante da Roma neppur 20 stadii, che è quanto dire 2 m. e mezzo, distanza che non può affatto applicarsi alla vetta di s. Pietro in Montorio, che allora era parte di Roma, ma al prolungamento del monte verso Veii, cioè a quella parte oggi nota col nome di Monte Mario. Ed è quel dorso che Marziale lib. IV. ep. LXIV. designa col nome di longo Ianiculi iugo, parlando de'giardini di Giulio Marziale, che vi erano situati. La natura di questo monte è simile a quella del Vaticano, cioè nettunia, non mancano però tratti coperti da depositi fluviali, e da banchi di prodotti vulcanici. L'altezza massima della punta di questo colle imminente alla Fontana Paolina è di piedi romani 322 sopra il livello del mare.

Fin qui ho dato un prospetto delle eminenze che sono racchiuse entro le mura attuali: ora è d'uopo passare a descrivere le valli e le parti piane poste sulle due rive del fiume, cominciando dalla sinistra. Una vasta pianura dilatasi fra il dorso del Pincio, il Quirinale, il Campidoglio ed il Tevere, oggi coperta dalla parte più popolosa della città, e ne'tempi antichi fuori del suo recinto. Questa fu riservata da Romulo all' appannaggio della casa reale, e continuò ad essere destinata a questo uso fino alla espulsione de'Tarquinii, ed all' abolizione della monarchia. Allora, secondo Livio, lib. II. cap. V. questo fondo fu consacrato a Marte, e venne appellato Campo Marzio, nome non ancora dimenticato dopo tanti secoli e tante vicende che la città ha incontrato; Ager Tarquiniorum, qui inter urbem ac Tiberim fuit, con

secratus Marti, Martius deinde campus fuit. Dionisio narrando questo fatto medesimo lib. V. c. XIII. insinua un'altra tradizione, che le terre de'Tarquinii furono divise frai cittadini che non aveano fondi, e che da questo riparto fu eccettuato il campo fra la città ed il Tevere, di già precedentemente consacrato a Marte, ma, che i Tarquinii aveano usurpato e chiuso nelle terre loro, e che allora fu destinato a servire come campo pubblico, di pascolo ai cavalli, e di luogo di esercizio per gli uomini; diversità che può conciliarsi facilmente supponendo che il terreno destinato ad appannaggio della casa reale fosse pur quello, ma che i Tarquinii alcuna piccola parte sacra a Marte avessero usurpato, e che allora questa non solo fu resa all'uso primitivo, ma diè nome a tutto il campo. Comunque voglia intendersi questo tratto particolare della storia di Roma, è chiaro che Campo Marzio fu il nome della pianura esistente fra la città ed il Tevere: ora ai tempi di Livio e di Dionisio, siccome apparirà nel paragrafo seguente, la città non oltrepassava le rupi del Capitolio e del Quirinale, quindi è chiaro che per Campo Marzio s'intese principalmente la pianura fra questi colli ed il Tevere, cioè tutto il tratto della pianura compreso partendo dalla ripa del Tevere dai dintorni del ponte Quattro Capi, e seguendola fino presso alla piazza del Popolo, quindi rivolgendo per la via del Babuino direttamente alla falda del Quirinale che è imminente alla via del Tritone, e per essa raggiungendo le falde del monte Capitolino ed il Tevere, confini, che non si vogliono indicare, se non come approssimativi, onde avere una idea di questo celebre campo di Roma antica, che presenta la circonferenza di 20,000 piedi romani, ossia di 4 miglia. In questo tratto ne'primi tempi di Tiberio esistevano il Circo Flaminio e varii templi intorno ad esso, l'Isèo, il Serapèo, il

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Minervio, e la Villa Pubblica, l' anfiteatro di Statilio Tauro, i teatri di Pompeo, Balbo, e Marcello, i portici di Filippo, di Ercole, di Pompeo, di Cneo Ottavio e di Ottavia sorella di Augusto, il Panteon e tutte le fabbriche erette nelle vicinanze di questo da Agrippa, il Mausoleo di Augusto e tutte le adiacenze di esso. Ora Strabone lib. V. c. III. §. 8. che vivendo a quella epoca fu testimonio di quelle magnificenze, sopra questo campo così si esprime: Imperciocchè Pompeo, ed il divo Cesare, ed Augusto, ed i figli di lui, e gli amici, e la moglie, e la sorella, sorpassarono ogn'impegno ed ogni spesa nelle fabbriche; delle quali la maggior parte ha • il Campo Marzio, che ha ottenuto dalla volontà degli ⚫ uomini un accrescimento all'ornamento della natura. Imperciocchè la grandezza del campo è ammirabile insieme per fornire uno spazio senza limiti alla corsa de'carri, ed agli altri esercizii equestri, ed insieme a tanta moltitudine di gente, che si esercita alla sfera, al disco ed alla palestra: e gli edificii che lo circondano, ed il suolo erboso tutto l'anno, e le corone de'colli che di là dal fiume fino al suo letto si estendono, formando una veduta scenografica presen<< tano uno spettacolo, che incanta. E vicino a questo campo havvene un'altro, che racchiude molti portici a intorno, e boschi, e tre teatri, ed un anfiteatro, e templi ricchi e fra loro contigui, in modo da far comparire il resto della città un accessorio. Laonde riguardando questo spazio, come il più augusto edificarono ivi i monumenti sepolcrali degli uomini e delle donne più illustri. Frai quali il più degno di esser ricordato è il Mausolèo così detto, che è un gran tumulo presso il fiume sopra un basamento alto di marmo bianco, adombrato fino alla sommità di alberi sempre verdi e sulla sommità è la immagine in bronzo

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di Augusto Cesare e sotto il tumulo sono le celle sepolcrali di lui, de'congiunti, e de'famigliari. Dietro è un gran bosco, che contiene viali magnifici. In mezzo al campo poi è il recinto del rogo, anche esso co• strutto di marmo bianco, cinto intorno da ripari di

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ferro, e dentro piantato di pioppi. Sembrerà forse ad alcuno superfluo inserir qui questa descrizione del Campo Marzio data da Strabone, ma siccome è strettamente legata con ciò che è il soggetto di questo paragrafo credetti opportuno di farlo. Imperciocchè distinguendo quello scrittore il Campo Marzio propriamente detto dal campo occupato dalle fabbriche enumerate, sembrerebbe doversi credere la parte destinata al pubblico, ed agli esercizi ginnastici essere stata ai tempi di Strabone di là dal bosco dietro il Mausoleo di Augusto, cioè fra la piazza del Popolo ed il ponte Mulvio, e questa opinione fu seguita da molti; ma io credo che la parte descritta da quel geografo, come erbosa, scevra di fabbriche, e destinata ad esercizii ai tempi suoi fu quella circoscritta fra le fabbriche di Pompeo, di Agrippa, e di Augusto, cioè il tratto oggi compreso fra il Tevere partendo da piazza Nicosia, e le vie di Ripetta, e della Scrofa, la piazza di s. Luigi de'Francesi, piazzza Navona, la Cancelleria, il palazzo Farnese e Ponte Sisto, spazio, sempre approssimativo, e che ha una circonferenza di 12000 piedi, o poco più di due miglia ed un terzo e che dopo Strabone fu in parte successivamente occupato da altre fabbriche imperiali da Nerone, Adriano, ed Alessandro Severo. Questa pianura, che certamente venne formata dai depositi lasciati dal fiume, che la lambisce, contenne in origine ristagni di acque, frai quali uno ricordato fin da'tempi di Romulo col nome di Palude Caprea, presso la quale quel fondatore di Roma peri vittima di una cospirazione senatoria, secondo la

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tradizione più ricevuta: questa stando ad un passo raccorciato, e probabilmente mutilato di Festo fu colmata, ed il luogo ritenne il nome di Caprilia: Caprilia appellatur ager, qui vulgo ad Capreae paludes dici solet. Questionano gli antiquarii sul sito di questa palude fatta celebre da un avvenimento così importante per Roma propendesi generalmente pe'dintorni del Pantheon, ed a questa opinione commune parmi doversi accedere, considerando, che, secondo Plutarco nella vita di Romulo c. XXIX quella palude fu fuori di Roma, anche dopo la fondazione del recinto di Servio Tullio, come lo era il Campo Marzio, e che anche oggidì quella contrada, meno alcune parti delle ripe stesse del Tevere rimane la più bassa di tutte le parti piane di Roma, malgrado i rialzamenti fatti, non solo ne'tempi moderni, ma anche ne'tempi antichi, come fan prova gli allagamenti annuali del fiume, che di tutto il Campo Marzio primieramente appariscono in quel fondo. E forse la idea di Agrippa in consagrare il Pantheon in quel luogo non fu intieramente distaccata da quella tradizione patria, che ammetteva in quel punto essere avvenuta la morte del fondatore di Roma in mezzo ad un orribile temporale, mentre faceva la rassegna delle truppe. Su tal proposito io noterò per coloro che credono essere tutta favola la storia di Romulo, che almeno è di tale antichità, che è fondata sopra fatti positivi, e che non può in modo alcuno ostare alla esistenza de'fatti medesimi; quindi supposta favola la morte di Romulo presso la palude Caprea, da ciò non deriva che la esistenza pure della palude fosse inventata, poichè coloro che ammisero quel racconto aveano presente la palude. Inoltre Plutarco nella vita di Romulo 1. c dice che il dì della morte di quel fondatore veniva appellato POPLIFVGIVM, e NoNAE CAPROTINAE, perchè andavasi a sagrificare alla pa

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