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Mordent aurea, quod lupata cervi,
Quod frenis libyci domantur ursi,
Et quantum Calydon tulisse fertur
Paret purpureis aper capistris:
Turpes esseda, quod trahunt bisontes,
Et molles dare iussa, quod choreas
Nigro bellua nil negat magistro :
Quis spectacula non putet deorum?
Haec transit tamen, ut minora quisquis
Venatus humiles videt leonum,

Quos velox leporum timor fatigat.
Dimittunt, repetunt, amantque captos,
Et securior est in ore praeda;
Laxos cui dare, perviosque rictus
Gaudent et timidos tenere dentes;
Mollem frangere dum pudet rapinam:
Stratis cum modo venerint iuvencis.
Haec clementia non paratur arte,
Sed norunt, cui serviant leones.

Passo, che serve a dimostrare quale ricercatezza ai tempi di Domiziano ponevasi ne' giuochi anfiteatrali, che non sempre presentavano scene sanguinose, siccome ricavasi da altri epigrammi dello stesso poeta. Questi stessi custodi con altri modi, quando faceva di bisogno, sapevano farle montare in ira, come ricavasi da Marziale medesimo de Spect. ep. XIX. e XXII. da s. Cipriano epist. CIII. e da altri.

Il trasporto delle belve a Roma facevasi per mezzo di carri, e di barche, e le belve stesse portavansi, secondo la fierezza loro, o legate, o chiuse entro gabbie rozze di legno; siccome graficamente descrive Claudiano Secund. Cons. Stilichonis v. 322. e seg:

Haec laqueis innexa gemunt haec clausa feruntur Ilignis domibus. Fabri nec tigna polire

Sufficiunt: rudibus fagis texuntur et ornis Frondentes caveae. Ratibus pars ibat onustis Per freta, per fluvios. Exanguis dextera torpet Remigis, et propriam metuebat navita mercem. Per terram pars ducta rotis, longeque morantur Ordine plaustra vias, montani plena triumphi: Et fera sollicitis vehitur captiva iuvencis, Explebat quibus ante famem; quotiesque reflexi Conspexere boves, pavidi temone recedunt.

E prosiegue narrando, come è naturale, la difficoltà che incontravasi dal canto delle belve per imbarcarle. Da una lettera di Simmaco a Paterno, che è la LXII. del libro V. si trae, che esigevasi per pedaggio in tali trasporti un dazio, dal quale andavano esenti quelli dell' ordine senatorio: Quaestores ordinis nostri numquam ferarum suarum portorium contulerunt: e questo dazio nella epistola LXV. si fa ascendere al 40 per cento sulla stima. Quadragesimae portorium sive vectigal non recte poscitur a senatoribus candidatis Quaeso igitur ut humanitatem .... nostri ordinis editoribus dignanter impertias, et ursorum transvectionem cupiditati manTM cipum subtrahas. Da un'altra lettera poi di questo stesso scrittore lib. X. epist. XIX apparisce, che questo trasporto facevasi con carri publici, e con vetture private, quando quelli non erano sufficienti: Plures de Dalmatia ursos in apparatum domus nostrae proxime venturos fides asserit nunciorum: quorum subvectionem dispositis vehiculis etiam privatim debemus instruere.

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Giunte le fiere alla città destinata per la celebrazione de'giuochi, quegli che dovea darli avea cura di farle depositare in luogo sicuro, ed anche in casa sua siccome rilevasi da Apuleio Met. lib.IV. In Roma però era stato costrutto un recinto a tale uopo, che chiamavasi Vivarium, perchè conteneva le belve vive, del quale

Gellio Noctium Atticar. dà la definizione seguente: Vivaria, quae nunc dicuntur, septa quaedam luca in quibus ferae vivae pascuntur, M. Varro in libro de Re Rustica tertio dicit leporaria appellari, e riportando le parole di Varrone medesimo mostra, come fin da'suoi dì il nome di leporaria, che dapprincipio davasi solo ai recinti, dove custodivansi le lepri era divenuto generico di recinto degli animali, dove cioè venivano nudriti: soggiunge poi: Vivaria quae nunc vulgus dicit sunt, quos Пapadaσovs Graeci appellant. Era pertanto il vivario un recinto ampio, che comprendeva le celle per gli animali feroci, e campi e selve pel nutrimento de'cervi, delle damme, delle lepri, ed altre bestie selvatiche, che si esibivano ne' giuochi. Procopio Guerra Gotica lib. I. cap. XXII. ci ha conservato la memoria, che il gran Vivarium di Roma stava presso la porta Prenestina, ossia presso la porta Maggiore di oggi, ed era allora, cioè l'anno 537 della era volgare parte del recinto della città, che per essere più debole venne assalita con gran forza da Vitige. Una lapide scoperta in Roma l'anno 1710 e riferita dall' Almeloveen Fastor. p. 620, che appartiene all'epoca di Gordiano III. cioè all'anno 241 della era volgare, mostra che il Vivarium era custodito dai soldati delle coorti pretorie ed urbane, a segno che dicevasi Vivarium Cohortium Praetoriarum et Urbanarum:

PRO S. IMP. M. ANTONI. GORDIANI. PII FELICIS AVG. ET TRANQVILLINAE SABI NAE AVG. VENATORES IMMVN. CVM CV STODE. VIVARI. PONT. VERVS. MIL. COH VI PR. CAMPANIVS VERAX. MIL. COH. VI PR. FVSCIVS. CRESCENTIO ORD. CVSTOS VIVARI. COHH . PRAETT ET VRBB

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DIANAE AVG. D. S. EX. V. P. DEDICATA XII. KAL NOV. IMP.D.N.GORDIANO.AVG.ET POMPEIANOCOS

Collo stesso metodo delle gabbie trasportavansi la belve dal Vivarium all'Anfiteatro, o al Circo, esponendole nel di precedente alla vista del popolo, perchè traesse idea della loro fierezza, rarità, e numero. Tal mostra probabilmente facevasi nell'arena, come luogo più adatto, e quindi al cominciar de'giuochi si ritiravano, introducendole colla stessa gabbia a misura che lo spettacolo preparato esigeva.

Questo spettacolo presentava punti molto variati, voli, scene mitologiche, come Orfeo attirante le belve, Prometeo al Caucaso, e sovente pure l'arena cangiavasi in selva, o aprivasi in una voragine, dalla quale uscivano belve siccome si trae da Marziale, da Calpurnio, e da Erodiano. Le macchine a tale uopo destinate appellavansi pegmata e si apprestavano in Roma nella piazza dinanzi l'Anfiteatro Flavio, donde poi venivano introdotte nell'arena, siccome attesta Marziale de Spect. epig. II ed indica Dione lib. LXIX c. IV. Nè sempre tali combattimenti erano cruenti, poichè sovente consistevano in lotte fra bestie innocue a varii giuochi addestrate, come lepri, cervi, damme ec. alle volte si mettevano insieme bestie di questa natura con quelle di un carattere più fiero, come tori, leoni, ec. ma ammaestrate a non nuocere, e Marziale più volte, lib. I. ep XLIX. LXI. ricorda il giuoco di una lepre, che inseguita da' cani rifuggiavasi nella gola aperta di un leone, senza che questo le facesse ingiuria. Sovente però erano quelli spettacoli cruenti e questa seconda specie consisteva in far combattere le belve fra loro, o nel farle attaccare dagli uomini. In questo caso i ven atores, o bestiarii, che così gli uomini a tale uso destinati, si appellavano, armati magnificamente davano varii spettacoli di caccia correndo addosso alle belve a piedi, o a cavallo colle aste, o scoccando strali, mostrando insieme arte e co

raggio: e questi non erano condannati a morire divorati, ma si dedicavano a simil mestiere volontariamente ed ammaestravansi a tal caccia sotto un magister, come i gladiatori alle pugne diverse sotto un lanista, formando una delle classi di Roma. Ma non sempre il combattere colle fiere era volontaria intrapresa, poichè alle volte questo davasi in pena dai padroni ai servi colpevoli, e dall'autorità publica ai delinquenti. In questo ultimo caso i rei di delitti gravissimi e capitali in prima classe non aveano scampo, ed erano esposti inermi e legati a tal pena, dando però allo spettacolo l'apparenza men triste, che potevano; imperciocchè Marziale de Spect. VII. narra il supplizio di Laureolo, che fu esposto ad essere divorato da un orso come Prometeo da un avvoltojo. I Cristiani erano sovente condannati ad essere divorati dalle fiere, siccome apprendiamo da Tertulliano, e da altri apologisti, come pure dagli atti de'martiri. Ricorderò a tal proposito che s. Ignazio vescovo di Antiochia fu divorato dalle fiere nell'Anfiteatro di Roma, del quale debbo parlare, e che gli atti affermano essere rimaste di lui solo le ossa più forti : Mova γαρ τα τραχύτερα των άγιων αυτον λειψάνων περιελείφθη come pure, che negli atti autentici delle ss. Perpetua e Felicita martirizzate a'tempi di Settimio Severo in Tuburbi nell'Affrica, atti che vennero per la prima volta dati in luce dall'Olstenio si legge, che essendo stati i fedeli condannati alle fiere, il tribuno, che dovea fare eseguire la giustizia voleva costringere gli uomini ad assumere le vesti di sacerdoti di Saturno, e le donne quelle di sacerdotesse di Cerere, ingiunzione alla quale giustamente si opposero, come contrarie alle promesse lor date, onde andarono al martirio, come trovavansi : Et quum ducti essent in portam et cogerentur habitum induere, viri quidem sacerdotum Saturni, fae

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