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sta parte però non è che poco più del terzo dell' ambito intiero comprendendo 18 de' 48 archi. Poche vestigia rimangono dell' interno di questo edificio, oggi ridotto ad ortaglia. Scavi vi furono fatti nel primo periodo del secolo passato riferiti dal Ficoroni: Vestigia di Roma Antica p. 121, il quale essendo contemporaneo narra di aver veduto il piano antico dell'arena, e sotto esso un vuoto ripieno di stinchi ed ossa di grossi animali, così che supponendo esatta la narrazione, d'uopo sarebbe conchiudere che questo anfiteatro, come tanti altri avesse un ipogeo sotto l'arena. Altri scavi si fecero l'anno 1828 che non fornirono lumi maggiori e che mostrarono essere stato il terreno molte volte sconvolto. Probabilmente questo anfiteatro ebbe due precinzioni, oltre il podio, così naturalmente deducendosi dalla sua altezza esterna, e dalle necessarie distinzioni degli ordini militari.

ANFITEATRO FLAVIO volgarmente detto il COLOSSEO. Di questo portento della grandezza romana, che nelle sue rovine arreca singolar lustro alla città moderna, non dee recar meraviglia, che tanti scrittori insigni imprendessero a descriverlo, e tanti artisti illustri a farne disegni e ristauri; poichè Marziale, confrontandolo colle meraviglie del mondo antico, de Spect. epig. I. conchiude:

Omnis caesareo cedat labor amphiteatro :

Unum pro cunctis fama loquatur opus.

E fra tanti monumenti antichi superstiti di Roma è l'unico, del quale possa tracciarsi una storia quasi seguita, non solo dalla sua fondazione, ma dalla idea primitiva, che ne venne formata, fino ai giorni nostri. Augusto, siccome riferisce Svetonio in Vespasiano c. IX. immaginò di fondare un anfiteatro nella parte centrale di Roma, idea, che rimasta senza effetto, venne eseguita

da Vespasiano dopo la guerra giudaica. Egli scelse a tale uopo il sito ridotto da Nerone a foggia di lago, che perciò stagnum Neronis dicevasi: Marziale citato di sopra Ep. II. ne ha conservato la memoria in quel

distico:

Hic ubi conspicui venerabilis Amphitheatri

Erigitur moles, STAGNA NERONIS erant. Molte questioni si fecero sull' architetto di questa gran fabbrica, e finalmente i più inclinarono a crederlo un Gaudenzio, appoggiandosi ad una iscrizione cristiana, trovata secondo l'Arringhi Roma Subt. lib. III. c. XX. presso s. Agnese sulla via nomentana, e riportata dal Muratori Inscr. T. IV. p. 1878 n. 4. dal Marangoni Mem. dell' Anf. Flavio p. 18, dal Venuti e da altri. Muratori la dice già esistente presso Pietro da Cortona e schedis Ptolomaeis; oggi è nel sotterraneo della chiesa di s. Martina, e per lo stile presenta tutta l'apparenza del secolo quinto della era volgare; essa non dichiara che Gaudenzio fosse l'architetto, ma può dedursi che lavorasse nella costruzione di quest'anfiteatro: SIC PREMIA SERVAS VESPASIANE DIRE

PREMIATVS ES MORTE GAVDENTI LETARE
CIVITAS VBI GLORIE TVE AVTORI

PROMISIT ISTE DAT KRISTVS OMNIA TIBI

QVI ALIVM PARAVIT THEATRV IN CELO Vespasiano non diè compimento al lavoro, nè ve lo diede Tito, quantunque possiamo con sicurezza asserire, che egli lo dedicasse l'anno 80 della era volgare, chiara essendo la testimonianza di Svetonio, confermata dalle medaglie. Imperciocchè l'anonimo pubblicato dall' Eccardo, tenendo conto dell' andamento della fabbrica, dice di Vespasiano, che tribus gradibus amphitheatrum

dedicavit di Tito che Amphitheatrum a tribus gradibus patris, sui duos adiecit: e finalmente enumerando le fabbriche erette da Domiziano pone fra queste amphitheatrum usque ad clypea. Ricavasi ad clypea. Ricavasi pertanto da queste notizie, che Vespasiano portò la cavea fino ad un certo numero di gradini, che Tito l'innalzò fino ai superiori, e che Domiziano la compiè portando l'anfiteatro fino agli scudi, clypea, cioè a quelli ornamenti rotondi che coronavano la cornice estrema dell' anfiteatro, formando una specie di merlatura, siccome apparisce dalle medaglie. Nella dedicazione fatta da Tito narra Svetonio nella vita di quell' imperadore c. VII. che furono dati giuochi sontuosissimi e di grande apparecchio, descrivendoli in questi termini: Amphitheatro dedicato thermisque iuxta celeriter extruclis munus edidit apparatissimum, largissimumque. Dedit et navale praelium in veteri naumachia; ibidem et gladiatores: al❤ que uno die quinque millia omne genus ferarum. Eutropio lib. VII. narra lo stesso circa le belve uccise: et quinque millia ferarum in dedicatione eius occidit: e questo numero medesimo si ripete da Cassiodoro nel Chron. Ma non può negarsi, che il passo riferito di Svetonio, come oggi si legge non sia involuto, poichè non è chiaro a prima vista cosa intenda colla indicazione della naumachia vecchia, e certamente niuno crederà mai che in un giorno solo uno die si scannassero 5000 fiere. Più chiaramente si esprime Dione lib. LXVI. c. XXV. dicendo: E dedicando il teatro venatorio ed il bagno che porta il suo nome, diè molti spettacoli e straordinarii: imperciocchè le grù fra loro combatterono, é quattro elefanti, e furono uccise altre 9000 fra bestie selvatiche e fiere, e ad ucciderle prestarono l'opera anche le donne, sebbene non illustri: e molti gladiatori pugnarono a duello, molti in truppa

in battaglie terrestri e navali: conciossiachè avendo fatto riempire all'improvviso quello stesso teatro dí acqua v'introdusse cavalli e tori, ed altri animali mansueti ammaestrati a fare entro l'acqua tutto ciò che erano assuefatti a fare sulla terra e 'introdusse sopra barche anche uomini, e questi ivi combatterono divisi in Corintii e Corciresi. Poscia descrivendo le feste date nel bosco di Cajo e Lucio cesari, corrispondente al Nemus Caesarum di Svetonio, termina col dire che que' giuochi durarono 100 giorni: EQ' Exaτov nμspas eyeveto: quindi Dione serve di chiosa e dilucidamento a Svetonio, e fa conoscere che questo scrittore non tenendo conto del combattimento navale dato nell' Anfiteatro alluse a quello dato nel Nemus Caesarum colla frase in veteri Naumachia, giacchè ivi come notossi fu la naumachia scavata primieramente da Augusto, e che l'uno die, o è una interpolazione, o un errore de' copisti in luogo di cento giorni. Quanto poi al combattimento navale dell' Anfiteatro fu una vera parodia di quello de' Corintii e Corciresi descritto da Tucidide lib. I. cap. XXIX. Alla dedicazione dell' Anfiteatro fatta da. Tito, ed ai giuochi sontuosi allor celebrati alludono due medaglie, che portano ambedue nel dritto la figura di Tito che presenta l'olivo, assisa sopra trofei, e nel rovescio il prospetto dell' Anfiteatro, che mostra avere avuto a sinistra la Meta Sudante, a destra un portico a doppio ordine di colonne, prospetto corrispondente alla parte dell' edificio rivolta al Celio, il cui arco prossimo al centrale del primo ordine esterno portava il numero I. Di queste due medaglie una ha intorno alla figura di Tito i nomi ed i titoli dell' imperadore come vivente, coll'ottavo consolato fra questi, onde appartiene all' anno 80 della era volgare in che Tito fu console per la VIII. volta insieme.

do

con Domiziano, che lo fu per la settima: IMP T CAES VESP AVG P M TR. P. P. P. COS VIII S. C. l'altra mostra Tito già morto avendo il titolo di divo: DIVO AVG DIVI VESP F VESPASIAN S C. Io credo, che ambedue queste medaglie siano state battute poco ро la sua morte da Domiziano, che affine di conservar la data della dedicazione fatta dell'anfiteatro dal fratello uni all'una i titoli, come ancora vivente, e sull'altra marchio l'apoteosi col titolo DIVO. E tanto più m'induco a seguir questa ipotesi, che la sola medaglia superstite di Domiziano col tipo dell'Anfiteatro, mentre presenta nel rovescio qualche leggiera varietà di particolare, nel dritto dà la testa di Domiziano laureata, accompagnata dal semplice titolo di Cesare, e colla data del settimo suo consolato, onde sembrasse battuta nella stessa occasione : CAES DIVI AVG VESP F DOMITIANVS COS VII; dall'altro canto il vedere in questa la testa laureata, mostra evidentemente, che di già era di fatto imperadore. Comunque però voglia supporsi essere andata la cosa, riman sempre fermo anche per l'autorità delle medaglie, che Tito dedicò l'anfiteatro. Cassiodoro Variar. lib. V. epist. XLII. attribuisce tutta la gloria e tutta la spesa di questo edificio a Tito, dicendo che vi versò un fiume di ricchezze: Hoc Titi potentia principalis DIVITIARUM PROFUSO FLUMINE cogitavit aedificium fieri, unde caput urbium potuisset. Barthelemy, ed il padre Jacquier formando un calcolo della spesa, secondo i prezzi in vigore ai loro giorni, cioè dopo la metà del secolo passato, stabilirono, che il solo muro esterno di esso costerebbe 17 millioni di franchi; or s'immagini cosa deve avere costato tutto intiero, e con tutti gli ornamenti? Spettacoli sontuosi vi diede pur Domiziano, i quali sono ricordati da Svetonio c. IV, e fra questi ancora una pugna navale. Grandi

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