Immagini della pagina
PDF
ePub

ne, che dal Corsini Series Praef. Urbis si pone circa l'anno della era volgare 262, cioè nel regno di Gallieno, e del quale una lapide coloziana riferita dallo Smezio, dal Grutero, dal Contelori e da altri fa menzione in questa guisa:

M. AVR. VICTORI

C. V.

PRAEF. FERIAR

LATIN. SACERDOTI

DEI. SOLIS

RELIGIOSISSIMO

IOVINVS CALLIDIANVS

CONDISCIPVL.PATRON.DIGNISSIMO

Circa que'giardini di Gallieno, de' quali testè si fece menzione è da notarsi ciò che narra Trebellio nel passo riferito di sopra, che li chiama hortos nominis sui: portarono questi pertanto il suo nome di famiglia, che era Licinio, poichè è noto che egli appellavasi Publio Licinio Gallieno: quindi chiamavansi horti liciniani. Egli li avea ereditati da'suoi antenati, e probabilmente gli avea nobilitati di fabbriche e di delizie. Or fin da’tempi della repubblica i Licinii aveano fondi sull'Esquilie ne' dintorni della chiesa di s. Bibiana, poichè a quelli Cicerone pro Quintio c. VI. allude dicendo: ipse suos necessarios AB ATRIIS LICINIIS et faucibus Macelli corrogat; quindi la chiesa stessa di s. Bibiana dagli scrittori ecclesiastici si pone, con frasario de'tempi bassi, iuxta PALATIUM LICINIANUM donde ricavasi la tradizione del nome essersi continuata nella contrada almeno fino al secolo IX. Chiaro pertanto apparisce, perchè Marco Aurelio Vittore volendo far cosa grata a quell'imperadore erigesse l'arco nel sito dove oggi si vede; imperciocchè di là necessariamente passava Gallieno nell'andare ai suoi giardini. Apparisce inol

[ocr errors]

tre essere molto probabile che la fabbrica nota oggi col nome di tempio di Minerva Medica, che si vede dietro la chiesa di s. Bibiana a que' giardini appartenga ; e con tale opinione concorde è lo stile di quell'edificio. Che poi Gallieno amasse che l'Esquilino da lui frequentato venisse ornato con monumenti in suo onore, ricavasi ancora da ciò che narra Trebellio c. XVIII. che ordinò che si ergesse sul vertice dell'Esquilino, appun to dove l'arco in questione si trova, una statua sua che per mole sorpassasse del doppio quella colossale di Nerone, che, come è noto avea 120 piedi di altezza, e questa cogli attributi del sole, statua che non fu che cominciata, e poco dopo distrutta dai suoi successori Claudio II. ed Aureliano, come un delirio, giacchè dovea avere un carro e cavalli corrispondenti, ed essere collocata sopra una base altissima: sed ea imperfecta periit ..... sed et Claudio et Aureliano deinceps stulta res visa est, siquidem etiam equos et currum fieri iusserat pro qualitate statuae, atque in acutissima basi poni.

La prima linea della iscrizione è una forte dimostrazione, che l'adulare non è vizio solo de' tempi moderni; imperciocchè si noti il titolo di CLEMENTISSIMO PRINCIPI dato a Gallieno, come pure la frase CVIVS INVICTA VIRTVS SOLA PIETATE SVPERATA EST. Or quanto alla sua clemenza Trebellio dice che quel tiranno tanta crudeltà mostrò da fare uccidere contro i patti tre, e quattromila soldati al giorno: Fuit tamen nimiae crudelitatis in milites: nam et terna millia et quaterna militum singulis diebus occidit. La sua INVICTA VIRTUS poi si dimostra dalla insurrezione de'trenta tiranni, che durante il suo regno dilaniarono l'impero, e da ciò, che scrive Trebellio c. XVI. dopo aver narrato la sua morte; Haec vita

Gallieni fuit breviter a me literis intimata, qui naIus abdomini et voluptatibus, dies ac noctes vino et stupris perdidit: orbem terrarum triginta prope tyrannis vastari fecit: ita ut etiam mulieres illo melius imperarent. Nè diverso è il carattere che ne fa Sesto Aurelio Vittore, forse discendente da quello che eresse l'arco. Imperciocchè nel trattato de Caesaribus scrive di lui, che frequentava tutti i bagordi e le classi depravate Inter haec ipse popinas, ganeasque obiens, lenonum ac vinariorum amicitiis haerebat expositus Saloninae coniugi, atque amori flagitioso filiae Attali Germanorum regis Pipae nomine. Veggasi inoltre ciò che questo stesso storico narra nella Epitome. Quanto poi alla sua PIETAS, virtù che presso gli antichi designava la religione insieme e la pietà filiale, apparisce chiara dalla scellerata inerzia, che pose in riscattare il vecchio suo padre Valeriano caduto prigione in mano di Sapore re di Persia, a segno che all'annunzio di tale sciagura freddamente ritorse il detto antico di Senofonte all'annunzio della morte del figlio suo Grillo: sciebam me genuisse mortalem coll'esclamare: sciebam patrem meum esse mortalem : Trebellio c. XVII. Prova poi insieme e della pietà filiale sua e della clemenza è l'aneddoto riferito dal lodato biografo c. IX. che non dandosi alcuna briga de' clamori universali sulla sua indifferenza per riscattare il padre, ma dedito solo ai piaceri, ed ai giuochi, introdusse nella pompa circense a guisa di trionfo chi figurasse il re di Persia, e i Persiani prigioni; laonde alcuni buffoni si misero a guardare in mezzo a quel corteggio con gran cura le faccie ed i lineamenti di ciascuno ed interrogati cosa cercassero con tanta ansietà essi risposero, il padre dell' imperadore: PATREM PRINCIPIS QUAERIMUS: detto, che giunse alle orecchie di Gallieno, il quale non si com

:

mosse nè per pudore, nè per tristezza, nè per pietà verso il padre, ma ordinò che gli autori di quella burla fossero arsi vivi: quod quum ad Gallienum pervenisset, non pudore non moerore non pietate commotus est, scurrasque iussit vivos exuri. Crudeltà che altamente spiacque al popolo, ma specialmente ai soldati, che poco dopo se ne vendicarono coll'ucciderlo.

Quest'arco ne'tempi bassi per la prossimità della chiesa di s. Vito fu detto l'arco di s. Vito, nome, che ancora ritiene presso il volgo. Or fino all'anno 1825 ivi rimasero appese ad una catena due chiavi, che alcuni attribuivano a Tivoli, altri a Tusculo, città domate ne'tempi bassi dai Romani, e dicevansi ivi poste come un trofeo municipale: veggansi il Fanucci nelle note al Fulvio p. 114, il Pinarolo Ant. di Roma T. II. p. 212. il Totti Roma moderna p. 484 ec. Erano esse un trofèo municipale di Roma de'tempi bassi, ma non delle due città sovrammenzionate, delle quali può dirsi, che Tivoli non fu mai presa in guisa da portarne a Roma le chiavi, e che Tusculo fu totalmente spianata; esse ricordavano secondo il Lancellotto pag. 6. ed il Caferri Synth. vetust. sive Flores Hist. p. 210 la sommissione di Viterbo avvenuta nel secolo XIII quando il popolo di quella città intimidito per le forze spedite dai Romani contro di essa conchiuse un trattato di sottomettersi colle condizioni di cedere la campana del commune, che fu posta in Roma nel Campidoglio; essa i Romani portarono pure la catena della porta Salsicchia che affissero all'arco di s. Vito, ossia di Gallieno. Veggasi inoltre il Bussi Storia di Viterbo p. 106, ed il Casimiro Memorie de' Conventi ec. p. 386.

e con

ARCO detto di GIANO. Così communemente si appella il monumento ancora superstite al Velabro in un modo men proprio, imperciocchè secondo ciò che ven

ne notato nelle nozioni preliminari sugli archi in prin cipio di questo articolo, la parola ianus volta da noi in giano equivaleva a passo, arco, fornice, ossia arco di transito; quindi chiamar questo fornice arco di Giano induce in primo luogo la idea falsa, quasi che l'arco fosse in qualche modo sacro a quel nume a guisa di un tempio, il che non era: in secondo luogo astraendo il nume dal monumento, il nome di arco di Giano sarebbe un pleonasmo di sinonimia, cioè arco di arco. Ap-. pellazione giusta da darsi a questo monumento è quella di Giano semplicemente, la quale a maggior chiarezza potrebbe accompagnarsi coll'epiteto di Quadrifronte per la faccia quadruplice che presenta.

Esso è formato da quattro enormi piloni fasciati di massi di marmo, che sostengono una volta a crociera, onde aprire un ricovero in caso di pioggia, prestare ombra neʼraggi cocenti del sole, uso al quale questi fornici erano particolarmente destinati, siccome fu indicato a suo luogo. Ciascuna faccia presenta 79 piedi di larghezza, e ne'piloni dodici nicchie, cioè sei per ciascun pilone divise in due ordini, tre per tre: di queste nicchie, le faccie settentrionale e meridionale quattro sole presentano vere, e sono le due centrali di ciascun pilone: le altre otto sono soltanto indicate. Facile è indovinare la causa di quest'anomalia riflettendo che se fossero state scavate le nicchie angolari avrebbero queste compenetrato quelle delle faccie occidentale ed orientale, che erano state scavate. Queste nicchie contenevano statue di numi, protettori della contrada. I piloni presentano un gran basamento sotto le nicchie, il quale sosteneva colonne di marmo bianco di ordine corintio, corrispondenti all'intervallo fralle nicchie: quindi nella faccia esterna ciascun pilone era ornato da due ordini di colonne, uno sovrapposto all' altro quanti sono gli

« IndietroContinua »