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il candelabro in luogo di aver come l'originale le branche ripiegate ad angolo retto, come il tridente ha le cuspidi, le avea curve, appunto come nel bassorilievo dell'arco si vede effigiato. Nel quadro opposto è rappresentato Tito sul carro trionfale colla Vittoria in atto di coronarlo. Giuseppe nel passo sovraindicato aggiunge, che in quel trionfo si videro sopra carri separati prima Vespasiano, e poi Tito, e che in ultimo luogo veniva Domiziano sopra un destriere degno di meraviglia. L'arco però non essendo dedicato che a Tito, il solo Tito fu rappresentato sul carro, supponendo l'artista quello di Vespasiano, come già passato, e Domiziano come non ancor giunto. Il carro di Tito vien preceduto da Roma personificata quasi in atto di guidarlo: ed è circondato dai senatori togati e dai littori co' loro fasci.

La composizione di questi due quadri è ricca e animata: la espressione delle teste vivissima e variata: puri sono i contorni ed i panneggiamenti ben ordinati ed aggruppati con eleganza: la esecuzione poi non può dirsi a qual punto di perfezione sia portata, mentre neppur l'ombra di maniera apparisce.

La situazione di transito necessario in che quest'arco si trova fu nei tempi bassi cagione che non venisse intieramente chiuso dai faziosi, che però profittarono delle parti superiori di esso per fortificarsi e furono cagione de'guasti a' quali andò soggetto. I Frangipani signori del Colosseo, che aveano occupato la Torre Cartularia contigua a quest' arco dal canto del Palatino, e della quale si veggono ancora le rovine, furono quelli che della parte superiore formarono una torre, di cui fino all'anno 1822 rimasero le traccie, che nel ristauro del monumento vennero abbattute. Queste mostravano che fin dal secolo XII. in che l'arco era stato fortifica

to mancava già di quelle parti delle quali anche oggi va privo, onde io credo che l'anno 1084 andasse soggetto a gravi rovine nella terribile scorreria di Roberto Guiscardo. Nello stesso tempo, come ne apprende l' Ordo Romanus dell'anno 1140 la rappresentazione del candelabro ricordata di sopra lo faceva appellare Arcus Septem Lucernarum.

ARTICOLO VI.

DEL CAPITOLIO DALLA FONDAZIONE DI ROMA FINO AL

SECOLO XV.

Scrivea Cassiodoro Var. lib. VII. ep. VI, quando già la luce del romano potere si era eclissata, che il salire sul Capitolio era vedere gl'ingegni umani superati: Capitolia celsa conscendere hoc est humana ingenia superata vidisse. Imperciocchè questo colle potea riguardarsi come il compendio delle gesta portentose dei Romani. Quindi mi parve opportuno consacrare a questa parte così interessante delle antichità di Roma un articolo separato, nel quale più strettamente che sia possibile si trovi insieme raccolto tutto ciò che apprendiamo dagli scrittori antichi, e dalle memorie de' tempi bassi sopra questo colle famoso, dalla epoca, in che Roma venne fondata, fino al secolo XV. cioè prima che cangiasse intieramente di aspetto. E siccome la materia si restringe entro uno spazio di 4400 piedi di circonferenza, perciò a procedere con ordine in primo luogo ricorderò i cenni generali sulla topografia fisica del monte, poscia indicherò gli abbellimenti, che successivamente ebbe, ed accennerò le vicende storiche principali, e finalmente descriverò i monumenti esistenti tanto sopra di esso quanto alle falde, seguendo il metodo topografico. Nulla dico delle etimologie de'nomi, che ebbe successivamente, di Saturnio, Tarpeio e Capitolio, perchè ne fu discorso sufficientemente nella introduzione, e solo ricorderò lo strano travolgimento che si è fatto ne'tempi moderni di Capitolium in Campidoglio.

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Notai a suo luogo, che la forma di questo monte può assomigliarsi ad una ellissi prolungata di cui le estremità curvansi verso occidente, ed innalzansi a modo

di promontorii lasciando fra loro un seno, e che queste tre parti designansi negli antichi scrittori co'nomi di ARX, CAPITOLIUM, ed INTER LUCOS, che Arx chiamossi la punta culminante verso il Tevere, Capitolium la punta opposta, ed Inter Lucos, o Inter duos Lucos il seno intermedio: e che Saxum, Saxum Carmentae, Saxum Tarpeium, Rupes Tarpeia fu particolarmente il nome del ciglio dirupato dell'Arx, rivolto al Tevere; e diedi la origine di tali nomenclature. Mentre poi la circonferenza totale del colle presa alla base è di 4400 piedi, il ripiano dell'Arx, ne ha 2000, quello del Capitolium 1400, e quello de l'Inter Lucos 1600.

Trasportando la mente alla epoca antichissima della fondazione di Roma questo colle veduto dalla valle palustre, che lo separava dal Palatino spiccavasi dirupato in mezzo a boscaglie e paludi, onde Properzio lib. IV. el. I. v. 7. cantò:

Tarpeiusque pater nuda de rupe tonabat:

ed il solco che aprivasi fralle due cime era vestito di una selva di quercie, che distendevasi nella valle paludosa sottoposta, e costeggiando il lembo del Velabro andava a terminare alla ripa del Tevere nel nemus Argileti ricordato da Virgilio lib. VIII. v. 345. Tetro ed imponente perciò n'era l'aspetto, e contribuir dovea ad insinuare negli animi de'rozzi abitatori di queste contrade la opinione che fosse il soggiorno di un nume, tradizione che Virgilio 1. c. v. 342 e seg. ci conservò :

Hinc LUCUM INGENTEM, quem Romulus acer Asylum Retulit.

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Hinc ad Tarpeiam sedem et Capitolia ducit
Aurea nunc, olim sylvestribus HORRIDA dumis.
Iam tum religio pavidos terrebat agrestes
Dira loci, iam tum sylva, saxumque tremebant.
Hoc nemus, hunc, inquit, frondoso vertice collem,

Quis deus incertum est,HABITAT DEUS.Arcades ipsum Credunt se vidisse Iovem, quum soepe nigrantem Aegida concuteret dextra, nimbosque cieret.

Essendo questo colle isolato affatto dagli altri, per la natura sua dirupata era da ogni parte inaccessibile, meno nel solco, dove a traverso il bosco che lo copriva tracciavansi sentieri, che poscia servirono di guida ad aprire strade ed accessi, onde pervenire alle parti diverse di esso. La selva di questo monte nudriva le sorgenti, che scaturivano a' piedi di esso, e che erano in parte cagione delle lagune che ristagnavano nella valle: alcune di queste acque essendo calde e fumanti testificavano la natura vulcanica del suolo, queste sgorgavano a piè della falda orientale non lungi dal sito della chiesa di s. Martina, siccome si trae da Ovidio Metamorph. lib. XIV. v. 785 e seg. e Fastor. lib. I. v. 269 e seg. cioè vicino al tempio di Giano fra il Fo ro Romano ed il Foro di Nerva. Servio negli scolii all'Aeneid. lib. VIII. v. 361. mostra la tradizione antica abbellita poi da Ovidio poeticamente ne'passi citati, in questa guisa Romani Sabinis instantibus fugientes, eruptione aquae ferventis et ipsi liberati et hostes ab insequendo repressi: aut quia calida aqua lavandis vulneribus apta fuit, locus Lautulus appellatus est. Vale a dire che la fama assegnava lo sgorgar di quelle acque alla epoca della pugna fra i Romani e i Sabini, come la circostanza del luogo di quelle sorgenti mosse Ovidio a farne autore Giano, tradizione che leggesi pure in Macrobio Saturn. lib. I. c. IX. Ora essendo due i templi sacri a questo nume, uno a piè della falda orientale, l'altro a piè di quella occidentale del monte Capitolino, e tutte e due presso a sorgenti fece confondere a Servio, o piuttosto al grammatico compilatore che assunse il suo nome queste sorgenti medesime, ed

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