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co di Scipione Affricano, ed il portico di Nasica: e presso di esso il tempio della Fede. I due querceti, l'Asilo, qualche ara e qualche statua erano nell'Intermonzio. I templi della Mente, di Venere Ericina, que' di Giove dedicati da Marcio Ralla, la statua e fano di Vejove, il tempio di Feretrio, le case di Romulo e Tazio, la Curia Calabra, il tempio di Moneta e quello di Opi empievano l'area della rocca (arx).

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Pochi monumenti nuovi sorsero sul Capitolio dallo stabilimento della dinastia di Augusto fino alla caduta dell' impero occidentale da quel cesare fondato molti di già esistenti furono riedificati ed abbelliti con quella sontuosità, che la splendidezza imperiale promosse a danno del vigore nazionale, splendidezza che andò successivamente mancando dopo le prime incursioni de'barbari in Italia, e che si estinse, come era naturale, col trionfo della religione di Gesù Cristo poichè questa era in opposizione diretta col culto ordinato da Numa. Frai monumenti nuovi, che appariscono in questo periodo sono, l'Ara della Gente Giulia ricordata in molte epigrafi riferite dal Marini negli Atti degli Arvali, e che era collocata sopra un podio, onde è d'uopo credere che fosse di una certa magnificenza, il tempio di Giove Tonante eretto da Augusto dopo la sua guerra ispanica, quello della Fortuna di poco posteriore, l'arco eretto a Nerone, ricordato da Tacito Ann. lib. XV. c. XVIII, il magnifico tempio di Giove Custode innalzato da Domiziano, l'Ateneo costrutto da Adriano, ed il portico degli Dii Consenti eretto circa lo stesso tempo. Fra quelle ristaurate, riedificate, od abbellite presentansi il tempio di Giove Feretrio ristaurato da Augusto, siccome apertamente ricorda Livio lib. IV. c. XX. ed attesta Cornelio Nepote nella vita di Attico: quello della Concordia riedificato ed ampliato da Augusto, che

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ne commise la dedicazione a Tiberio l'anno 11 della era volgare, secondo Dione lib. LVI: il Carcere Mamertino ristaurato l'anno 22 della era volgare nel consolato di Rufino, e Nerva, come apparisce dalla iscrizione superstite il Serapèo esistente di nuovo almeno fin dall'anno 70 della stessa era, come ricavasi da Svetonio e da Tacito, dove narrano la fazione fra i partigiani di Vitellio e quelli di Vespasiano, che in fine restò vincitore. Quella fazione medesima cagionò l'incendio del Capitolio, e particolarmente arse il tempio grande di Giove, che fu riedificato da Vespasiano, e che poco dopo la sua morte, l'anno 80 della era volgare arse di nuovo. Questa nuova catastrofe avvenne poco prima della morte di Tito. Il suo fratello e successore, l'imperadore Domiziano riedificò ed abbelli con gran magnificenza quel tempio, l'ultimo, che rimase superstite, e fu testimonio di tutte le rovine di Roma nel secolo quinto della era commune. Orosio lib. VII. c. XVI. ricorda un incendio avvenuto ai tempi di Commodo nel Capitolio, che fu cagionato da un fulmine e che fece ardere la Biblioteca, probabilmente parte dell'Ateneo: e questo è l'ultimo fatto, anteriore alle prime spoliazioni di questa parte cospicua di Roma, del quale abbiamo memoria. Imperciocchè dopo quella epoca la maestà di questo colle famoso decadde insieme con quella dell' imperio romano: il Capitolio, non più l'arce di Roma, era ridotto a luogo di ceremonie di uso: caddero anche queste pel cangiamento di religione, e mancò ogni sostegno alla conservazione de'monumenti, che rammentavano le leggende antiche anzi la religione trionfante cercò di annientare ogni traccia del culto antico, ed i tempii del Capitolio successivamente, prima spogliati degli ornamenti preziosi, poscia abbandonati e vilipesi, divenuti cave di materiali, disparvero, e solo al

cuni pochi avanzi restarono, che, o per la solidità, per le fabbriche posteriori, alle quali servirono di appoggio, poterono resistere alla devastazione universale.

Le prime memorie delle devastazioni e degli spogli precedono quelle della prima invasione de'Goti. Imperciocchè s. Girolamo nel libro secondo contra Gioviniano mostra già il tempio di Giove caduto in squallore: ora da Zosimo apprendiamo lib. V. c. XXXVIII, che Teodosio I. dopo avere spento Eugenio, avendo tolto le rendite assegnate pe'sagrificii, e rimosso dai templi i sacerdoti di ambedue i sessi, i templi rimasero deserti, in tale stato era quello di Giove Capitolino sul principio del quinto secolo, allorchè Stilicone primo ministro di Onorio distaccò dalle porte di questo le lamine di oro che le fasciavano traendone gran quantità di quel metallo. Morto questo l'anno 408 sopraggiunse poco dopo la guerra gotica e la presa di Roma fatta da Alarico l'anno 409, catastrofe, che particolarmente pesò sopra gli edificii più ricchi, onde grandi depredazioni furono fatte sul Capitolio. Ma queste non furono le sole, imperciocchè l'anno 455 venuto in Roma Genserico fralle altre spoliazioni che commise vi fu quella della metà delle tegole di bronzo dorato, che coprivano quel tempio medesimo. Dopo quel la epoca i templi rimasti abbandonati furono i primi ad essere, o smantellati, o cangiati ad altro uso. Fino però alla guerra gotica di Belisario non credo che l'aspetto notabilmente fosse alterato. Ma durante quella guerra, e dopo di essa ne' due secoli susseguenti il Capitolio cangiò affatto di aspetto, e solo l'antica celebrità gli conservò il grado di sede del governo municipale, e la naturale fortezza quello di cittadella. La cronaca casauriense riportata dal Muratori ne' Rerum Italic. Scriptores T. II. p. 778 ricorda, come su que

sto colle fu coronato imperadore Lodovico da papa Adriano II. insieme col senato, e col popolo romano, l'anno 850. L'anno 1084 fatalissimo a Roma lo fa particolarmente al Capitolio; imperciocchè Enrico IV. volendo abbattere la potenza de'Corsi famiglia allora potentissima ne distrusse le case sul Capitolio; e poco dopo la sua partenza sopraggiunto Roberto Guiscardo incendiò tutta quella parte di Roma che è fra il Laterano ed il Capitolio: veggansi Pietro Diacono, Bertoldo da Costanza, Landolfo seniore, Romualdo Salernitano, e Goffredo Malaterra presso il Muratori. La rovina accaduta in quella epoca distrusse una gran parte de'monumenti ancora superstiti; ma i Corsi tornarono ad annidarvisi e nel 1109 portarono papa Pasquale II. secondo Pandolfo Pisano nella sua vita, ad assalirli, ed a demolire di nuovo dopo un breve, ma fiero combattimento le case e le torri loro: parum post Capitolium ascendit parvo praelio sed horrendo satis, captis domibus, subversisque turribus adeo sunt omnes exterriti ec. Dopo quella epoca sempre più chiaro apparisce essere il Capitolio riguardato come il centro del potere municipale. Allorchè l'anno 1118 Cencio Frangipane commise il sacrilego attentato sopra la persona di papa Gelasio II. Pietro prefetto di Roma con altri ottimati fece prendere le armi alle dodici regioni di Roma, ai trasteverini, ed agl'isolani, e sali sul Capitolio, onde accorrere alla liberazione del pontefice, siccome narra lo stesso scrittore nella vita di quel papa: Regiones duodecim romanae civitatis, transtiberini et insulani arma arripiunt cum ingenti strepitu Capitolium scandunt, nuncios ad Fraiapanes iterato remandant, papam captum repetunt et exoptant. Così poco dopo, morto quel papa il suo vicario Pietro vescovo di Porto convocò i cardinali, ed i Romani più

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fedeli sul Capitolio, e lesse loro le lettere ricevute che annunziavano la morte di Gelasio, come scrive Falcone Beneventano nella Cronaca presso i Rerum Italic. Scriptor. T. V. p. 92: illico cardinales cum eo manentes pluresque Romanorum fidelium convocans Capitolium ascendit, ibique literas missas ostendit et legi praecepit. Un documento importante rimane dello stato del Capitolio nel primo periodo di questo secolo, ed è una bolla o costituzione dell' antipapa Anacleto II diretta a Giovanni abbate di s. Maria e s. Giovanni Battista in Capitolio, chiesa corrispondente a quella di s. Maria di Araceli di oggidì, bolla che venne inserita per intiero in quella di papa Innocenzo IV. riguardante la stessa chiesa. Questo documento importante fu prima dato in luce dal Waddingo, e poscia riprodotto dal Casimiro nella storia di quella chiesa: quindi venne particolarmente illustrato dal Valesio nel tomo XX. degli opuscoli del Calogerà Esso appartiene all'anno 1130 come par più probabile certamente non è nè anteriore a quell'anno nè posteriore al 1134. Siccome è una descrizione minuta di questo monte famoso, parmi di prima importanza doversi inserire in questo articolo, aggiungendovi gli schiarimenti opportuni. Apparisce da quell'atto, che allora fu tutto intiero il monte donato a quella chiesa in questi termini: Concedimus et confirmamus totum montem Capitolii in integrum cum casis, cryptis, cellis, curtibus, hortis, arboribus fructiferis et infructiferis -cum Porticu Camellariae cum terra ante Monasterium qui locus Nundinarum vocatur, cum parietibus, petris, et columpnis, et omnibus generaliter ad eum pertinentibus Qui istis finibus terminantur: - A primo latere via publica quae ducit per clivum Argentarii, (la salita di Marforio) qui nunc descensus Leonis Prothi appellatur.

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