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sto ed ucciso Seiano, come narra Dione lib. LVII. Era inoltre costume, secondo Cicerone, nel passo citato di sopra di racchiudere in questa orrida prigione i re ed i condottieri delle nazioni vinte portati in trionfo, i quali non sempre mettevansi a morte, come quel passo insinua, ma secondo le circostanze alle volte uccidevansi, ed alle volte trasportavansi in città fortificate. Imperciocchè è ben vero, che Giugurta nel trionfo di Mario fu posto in questo carcere e lasciato morir di fame, secondo Plutarco nella vita di Mario c. XII. ma ad ognuno sono noti i delitti commessi da quel re ambizioso e crudele: è pur certo per testimonianza di Giuseppe Guerra Giudaica lib. VII. c. V. che Simone figlio di Giora capo degli Ebrei menato in trionfo da Vespasiano e Tito fu mandato in questa prigione e spento; ma è altresì un fatto, che Siface re de'Numidi nel trionfo di Scipione Affricano, Perseo re di Macedonia condotto da Emilio Paolo, e Bituito re degli Arverni non farono giustiziati nel carcere; ma solo ivi lasciati durante il sagrificio trionfale, e quindi mandati a Carseoli, ed Alba, città fortificate, come apprendiamo da Livio, Floro, e Plutarco. I corpi de'rei spenti nel Tulliano venivano esposti a pubblico esempio sulle Scale Gemonie, e poscia con uncini trascinati pel Foro e gittati nel Tevere. Veggansi Livio lib. XXXVIII. c. LIX. Valerio Massimo lib. VI. cap. IX. §. 13. Svetonio in Tiberio c. LXXV. Avea il carcere un vestibolo, che è ricordato da Livio nella narrazione del giudizio di Manlio lib. VI c. XVI. il quale sembra che fosse dietro la chiesa odierna di s. Giuseppe, dove era l'ingresso alla prigione per mezzo delle scale Gemonie. Il carcere superiore sembra, che dovesse essere più grande di quello che oggi apparisce, poichè è ben vero che quando fu edificato da Anco Marzio la città era ristretta principalmente sopra

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quattro colli, cioè il Palatino, il Capitolino, il Celio, e l'Aventino, ma è vero altresì che questo fu il solo carcere di Roma dopo che si estese sui sette colli, durante il suo splendore ne'tempi delle repubblica, onde Giovenale Sat. III. v. 311 e seg. esclama:

Felices proavorum atavos, felicia dicas

Saecula, quae quondam sub regibus atque tribunis Viderunt UNO CONTENTAM CARCERE ROMAM.

Il carcere superiore non avea altro accesso che un foro in mezzo alla volta, che ancora rimane: tutte le altre aperture sono state fatte ne'tempi posteriori, allorchè venne consagrato al culto: lo stesso dicasi del carcere inferiore. E questo carcere superiore nella pianta presenta un trapezio e per la costruzione è tutto fasciato di grandi massi quadrilateri di tufa litoide capitolino, che formano pure la volta: ha 27 piedi di lunghezza, 20 di larghezza, e 14 di altezza: presso l'angolo occidentale sono visibili gl' indizii della rupe naturale della latomia originale, alla quale appoggiansi i massi della volta. Nel lato orientale è la fenestra, o piuttosto feritoia oggi chiusa, la cui soglia è di travertino. Nel pavimento vedesi il foro, pel quale i rei venivano discesi nel Tulliano: è questo di forma rotonda ed ha circa 2. piedi di diametro. I rei pertanto che erano chiusi in questa prigione superiore vedevano il carcere inferiore, udivano le strida, e i lamenti di que' che in esso erano dal carnefice tormentati, o messi a morte, e durante la notte erano risvegliati dallo strepito della catarratta di ferro che chiudeva questo foro, allorchè, o per qualche nuovo rec, o per qualche esecuzione schiudevasi. Mirabilmente fedele è la descrizione che ne ha lasciato Calpurnio Flacco nella Declamazione a favore del Parricida: Video carcerem publicum, saxis ingentibus structum, angustis foraminibus tenuem lucis um

bram recipientem in hunc coniecti robur Tullianum prospiciunt: et quoties iacentes ferrati postis stridor excitat, exanimantur, et alienum supplicium spectando suum discunt. Sonant verbera, cibus recusantibus spurca manu carnificis ingeritur: sedet ianitor inexorabili pectore, qui matre flente siccos teneat oculos : illuvies corpus exasperat, manum catenae premunt. Oggi discendesi dal carcere superiore nell'inferiore per una scaletta moderna composta di 11. gradini. La pianta di questa prigione è curvilinea, e la forma ad imbutò, meno verso mezzodì che è rettilinea: ha 13 piedi di lunghezza, 20 di larghezza, e 6 e mezzo di altezza. Il pavimento è di mattoni a coltello, lavoro eseguito l'anno 1665 della era volgare: nel resto è di massi di tufa ne'quali la trascuratezza posta in non far cadere le commettiture di uno strato nel pieno dell'altro è prova dell' antichità remota, come pure la forma ad imbuto. La volta poi costrutta pure di massi di pietra vulcanica è di una curva quasi insensibile. In questo carcere inferiore è un altare, una colonna di granito, alla quale dicesi che venissero legati i rei, ed una sorgente di acqua Jimpida, che la tradizione vuole che fosse fatta sgorgare dai ss. apostoli affine di battezzare i ss. Processo e Martiniano custodi della prigione, fonte che si ricorda fin dal primo periodo del secolo IX. dall'anonimo riportato dal Mabillon nel tomo quarto degli Aneddoti: Fons s. Petri ubi est carcer eius. Per lo scolo di quest'acqua è aperta una forma che va a cadere nella cloaca massima. Il piano di questo carcere è circa 12 piedi sotto l'antico suolo di Roma: quindi era priva di luce e perciò Giovenale Sat. X. v. 244. e seg. gli dà l' epiteto di niger:

Dabit in laqueum vestigia noster
Perfidus et NIGRI patietur carceris uncum.

Niuno però più graficamente di Sallustio lo descrive, il quale De Bello Catil. c. LV. narrando la fine de' complici di Catilina così si esprime: Est locus in carcere, quod Tullianum appellatur, ubi paullulum descenderis ad laevam, circiter duodecim pedes humi depressus. Eum muniunt undique parietes, atque insuper camera lapideis fornicibus vincta (e questa è la camera superiore testè descritta, parte del carcere mamertino): sed incultu, tenebris, odore, foeda atque terribilis eius facies est. In eum locum postquam demissus Lentulus, quibus praeceptum erat laqueo gulam fregere...... De Cethego, Statilio, Gabinio, Coepario eodem modo supplicium sumtum est. Sulla faccia esterna del carcere rivolta ad oriente leggonsi in una fascia di travertino i nomi di Caio Vibio Rufino figlio di Caio, e Marco Cocceio Nerva, consoli suffetti l'anno di Roma 775, 21 della era volgare, che per decreto del senato ristaurarono il carcere:

C. VIBIVS. c. f. rvfinvs. m. CocceivS..........NERVA. EX. S. C.

Incerto è fino a quale epoca continuasse a servire all'uso primitivo: certamente coutinuava ad essere carcere nel secolo IV. poichè Ammiano Marcellino lib.XXVIII c. I. narrando i fatti dell' anno 368 della era volgare dice che Doriforiano, dichiarato reo di morte, gittato nel carcere tulliano fu dall' imperadore per consiglio della madre tolto di là e fatto fuor di Roma morire frai tormenti: et Doryphorianum pronuntiatum capitis reum, trusumque CARCERE TULLIANO, matris consilio princeps exinde rapuit, reversumque ad lares per cruciatus oppressit immensos.

TEMPIO DELLA CONCORDIA. Il carcere occupava tutto lo spazio fra il Clivus Sacer e le Gemoniae: fra il Clivus Sacer poi ed il Clivus Capitolinus veggonsi ancora in piedi varii edificii. Di questi il primo, ade

rente al clivo sacro è il masso imponente di un tempio, ehe estendevasi fin sotto la cordonata odierna, e per conseguenza non era separato dal carcere che dal clivo sacro ora prossimo al Carcere si dice da Dione libro LVIII. c. XI. il tempio della Concordia, il quale da Plutarco nella vita di Camillo c. XLII. si dichiara rivolto al Foro ed al Comizio e da Festo nella voce Senacula si pone sulla falda capitolina, fra il tempio di Giove Ottimo Massimo, ed il Foro. Circostanze sono queste, che unisconsi insieme nel sito, dove stanno gli avanzi sovraindicati, e che si accordano pure con altri fatti. Imperciocchè un frammento rimane della pianta antica di Roma colle lettere...ORDIA,cioè CONCORDIA, nel quale questo tempio ci si presenta col portico men largo della cella, come appunto ritrovasi ne' ruderi in questione, e con quel frammento, e co'ruderi si accor⚫ da ancora la medaglia di Tiberio che offre il prospetto di questo tempio da lui riedificato. Che se ancora potesse rimaner dubbio anche ai più difficili si aggiungano le lapidi seguenti scoperte nella cella di questo tempio l'anno 1817. La prima appartiene a Marco Artorio Gemino legato di Augusto e prefetto dell'erario militare:

M.ARTORIVS.GEMIN VS
LEG.CAESAR.AVG.PRAEF.AERAR.MIL
CONCORDIAE

La seconda frammentata è priva del nome di chi la dedicò, ma ricorda quello di Tiberio per la cui salute offrì alla Concordia cinque libre di oro e dieci di argento:

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